Mercoledì, 18 Gennaio 2023 06:22

Arrestato l’ultimo padrino di Cosa Nostra In evidenza

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Chi è Matteo Messina Denaro?

Nelle ultime ore, i Carabinieri del ROS hanno finalmente arrestato l’ultimo boss di Cosa Nostra, il boss mafioso Matteo Messina Denaro, uno dei latitanti più ricercati al mondo oltre ad essere uno dei più pericolosi.

Di Flavia De Michetti Roma, 17 gennaio 2023 (Quotidianoweb.it) - Le indagini dei militari, coordinata dalla Procura di Palermo, in particolare dai procuratori Maurizio de Lucia e Paolo Guido, hanno portato all’arresto del capomafia, conosciuto soprattutto per la sua ferocia criminale.

A dare l’annuncio è stato il Comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, dichiarando che “il latitante non ha opposto resistenza all’arresto”.

Il boss di Cosa Nostra è stato fermato all’interno di una clinica Maddalena di Palermo, dove si era recato per fare delle analisi per la sua precaria salute.

Insieme a lui, è finito in manette anche Giovanni Luppino, suo collaboratore e autista, risultato commerciante di olive a Campobello di Mazara.

Matteo_Messina_Denaro_1983_2.jpegChi è Matteo Messina Denaro, detto “U siccu”?

Nato a Castelvetrano in provincia di Trapani il 26 aprile 1962, è figlio del boss del luogo, Francesco Messina Denaro, detto “don Ciccio”.

Come dichiarato da Matteo stesso, lui e la sua famiglia si occupavano della manutenzione delle terre dei D’Alì Staiti, personalità importanti all’interno di Trapani.

Questi ultimi sono infatti, i fondatori e proprietari della Banca Sicula di Trapani, il più importante istituto privato bancario della Sicilia, venduto nel 1991 alla Comit, poi Banca Intesa e gestori delle saline di Trapani e Marsala, attraverso la società Sosalt.

Fin dagli anni Cinquanta Francesco Denaro viene accusato di vari reati, tra i quali quello di rapimento, dal quale viene scagionato e fino al 1990 risulta incensurato.

In realtà, alleandosi ai corleonesi di Totò Riina nella guerra di mafia degli anni ‘80, diviene il capo del mandamento mafioso di Castelvetrano.

Nel 1988, due pentiti accusano don Ciccio di essere il mandante dell’assassinio del giornalista Mauro Rostagno (1942-1988), uno dei fondatori del movimento politico Lotta Continua e della comunità socioterapeutica Saman.

In seguito a ciò, il procuratore capo di Marsala dell’epoca, Paolo Borsellino, ordina il sequestro di tutti i beni di Denaro, oltre a numerose altre restrizioni, ma il Tribunale di Trapani respinge la richiesta.

Tuttavia, alla fine del 1990 Borsellino ordina un mandato di cattura contro Francesco per associazione mafiosa, costringendo quest’ultimo alla latitanza che durerà per circa 10 anni.

Il 30 novembre del 1998, però il suo corpo viene ritrovato nelle campagne di Castelvetrano, stroncato da un infarto.

Il figlio, Matteo, ogni anno, fino al 2017, pubblicherà un necrologio nella data della sua morte. Ciò a dimostrazione del grande rispetto e la devozione che nutriva per il padre.

A questo punto, Matteo Messina Denaro, insieme al suo caro amico Giuseppe Graviano, si affianca al mafioso e terrorista italiano Totò Riina, che sarà ai suoi occhi un importante punto di riferimento, come un secondo padre.

“U siccu” diventa un personaggio temuto nel paese e anche fuori.

Nel 1988, infatti, a Partanna, zona gestita dalle due famiglie Ingoglia e Accardo, quest’ultima in particolare legata ai corleonesi e quindi anche ai Messina Denaro, scoppia un conflitto per il controllo del traffico internazionale di droga.

Stando alle testimonianze di alcuni pentiti, Matteo è uno dei sostenitori più convinti di queste stragi e si distingue sempre per una spiccata ferocia criminale, caratterizzata da singolari freddezza e precisione.

Un capo del mandamento mafioso spietato che ama il lusso, la vita mondana e la compagnia di belle donne.  

La Commissione provinciale, l’organo direttivo che riuniva i leader di Cosa Nostra (spesso ribattezzata dalla stampa anche come Cupola), era composta da due uomini fidati in particolare, Salvatore Riina (latitante dal 1970) e Bernardo Provenzano (latitante dal 1963)

Tra il 1981 e il 1984, si scatena quella che oggi conosciamo con il nome di “Seconda Grande Guerra di mafia”, uno dei più drammatici conflitti interni a Cosa nostra, nella quale rimangono uccisi il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa (1982) e il Segretario regionale del Partito Comunista Italiano Pio La Torre (1982), particolarmente attivi nella lotta contro l’organizzazione mafiosa.

Colpire personalità così importanti ha come scopo quello di cercare di avere un maggiore controllo sulle Istituzioni che stava inasprendo la lotta contro Cosa Nostra.

Al contrario, invece, poco dopo questi tragici eventi, il Parlamento approva la legge n. 646, del 13 settembre 1982, nota come legge "Rognoni-La Torre" che introduce, per la prima volta, nel Codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis), per cui è prevista la confisca dei beni. Una proposta che il Deputato del PCI aveva avanzato prima di morire.

Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1984 si svolse una delle più grandi operazioni antimafia di quegli anni, il “Blitz di San Michele”, grazie alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, primo capo mafia a collaborare con la giustizia.

Vengono emessi 366 mandati di cattura che riguardavano tutta l’Italia.

È stato perfino mobilitato un Douglas DC-9 (bireattore da trasporto passeggeri) per riuscire a condurre gli arrestati in carcere lontano dalla Sicilia e rinchiusi in carceri del nord e del centro Italia.

Questa importante operazione ha dato il via al famoso Maxiprocesso, incominciato di fatto nel 1986, dopo una lunga istruttoria dibattimentale, che si concluderà nel 1992 con ergastoli e migliaia di anni di detenzione, con alcuni degli arrestati che hanno deciso di unirsi ai collaboratori di giustizia.

La preoccupazione per la severità delle sentenze definitive della Cassazione non riguarda solo i carcerati, ma anche i latitanti, come, appunto, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro.

Nel dicembre del 1991, durante una riunione privata, sotto la guida di Riina e Provenzano, si stabilisce l’eliminazione degli istruttori del Maxiprocesso, Falcone e Borsellino e molti politici.

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Matteo Messina Denaro è stato, in seguito, condannato per:

  • la Strage di Capaci (23 maggio 1992), quando al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, il sicario Giovanni Brusca aziona una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada. Un atto intimidatorio nel quale rimangono vittime Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
  • La Strage di via D’Amelio (19 luglio 1992), dove un’auto bomba (100kg di esplosivo posizionati su una Fiat 126 parcheggiata lì vicino) fa strage di Paolo Borsellino, che si era recato in quella via per fare visita alla madre, e altri cinque agenti.
  • L’attentato di via Fauro a Roma (14 maggio 1993), un agguato progettato da Salvatore Riina, ai danni di Maurizio Costanzo, nel quale un gruppo armato viene inviato dalla Sicilia nella capitale, con l’obiettivo di uccidere il giornalista, che nella sua trasmissione attaccava spesso la mafia. Di questa squadra fanno anche parte Giuseppe Graviano e Messina Denaro. All’altezza di via Fauro esplode un mix di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina, dalla quale Maurizio e la moglie Maria De Filippi escono miracolosamente illesi. A seguito di una chiamata, Riina ordina di ritirarsi e l’operazione rimane incompiuta perché “dovevano occuparsi di cose più importanti”.
  • La strage dei Georgofili (26 maggio 1993), a Firenze, dove esplode un’autobomba nei pressi della storica Galleria degli Uffizi, creando gravi danni al patrimonio artistico e numerose vittime.
  • La strage di via Palestro (27 luglio 1993), a Milano, uccidendo 5 persone e lasciando 12 feriti, tra i quali i Vigili del Fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’Agente della Polizia Locale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, un venditore ambulante di origini marocchine.

La mattina del 16 gennaio 2023, dopo 30 anni di latitanza, Matteo Messina Denaro è arrivato alla clinica privata “La Maddalena” di Palermo, dove, a causa delle sue condizioni di salute molto gravi, era in cura sotto falso nome, quello di “Andrea Bonafede” e sui documenti alla voce “professione” si definiva “geometra”.

Catturato dai Carabinieri del ROS, con la collaborazione dei GIS, non ha opposto alcuna resistenza e ha dichiarato immediatamente di essere la persona che i militari stavano cercando.

Dopo l’arresto, l’ormai ex latitante è stato trasferito in una destinazione segreta.

Il Comandante dei Carabinieri Teo Luzi ha spiegato che “Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo “Dalla Chiesa”, ovvero con l’aiuto di una raccolta di numerosi dati dei tanti Reparti dei Carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative, con un risultato straordinario”.

Oggi, grazie alla determinazione e al lavoro fatto dalle Forze di Polizia, la Sicilia e la Nazione intera hanno fatto un importante passo avanti nella battaglia contro la mafia, infondendo grande coraggio e nuove speranze.

La lotta contro Cosa Nostra non si ferma.