Sabato, 18 Gennaio 2025 06:29

“L’Agorà del Diritto” – una domanda, una risposta: riflessioni sul libro “Dante e la libertà” In evidenza

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Di Emilio Graziuso 18 gennaio 2025 - Nelle scorse settimane ho avuto il piacere di partecipare, in qualità di relatore, ad una conferenza organizzata dalla Società Dante Alighieri relativa alla presentazione del libro del prof. Luciano Canfora “Dante e la libertà” (edito dalla casa editrice Solferino).

L’iniziativa è stata per me particolarmente stimolante in quanto mi ha offerto l’occasione di conversare con il nutrito pubblico su alcune sfaccettature particolari del tema della libertà.

Sfaccettature che derivano dall’autorevole riflessione del prof. Canfora, il quale non ha bisogno di presentazioni,  sul concetto di libertà in Dante, in generale, e nella Commedia in particolare.

Nel testo l’autore cerca di mettere a confronto tre personaggi storici: Cesare, Catone l’Uticense e Giustiniano (nelle parole di quest’ultimo troviamo la summa del pensiero di Dante su Cesare e Catone).

E poi in via residuale, il prof. Canfora getta nella mischia Ulisse, relegandolo, però, in uno spazio angusto e residuale del libro, rispetto ai tre personaggi citati.

E questa scelta operata da un grecista come il prof. Canfora non la si comprende, anche perché da un intellettuale dal pensiero emancipato rispetto alla visione provvidenzialistica dantesca ci si sarebbe aspettati un approfondimento diverso che, sicuramente, l’uomo dal “multiforme ingegno” meritava e merita, anche per le ricadute di tale figura sul pensiero e, quindi, sull’uomo occidentale.

Junger nel libro “La forbice” sostiene, infatti, che senza Ulisse non esisterebbe l’occidente e non ci sarebbe stato neppure lo sbarco sulla luna.

Ma andiamo con ordine.

La riflessione del prof. Canfora  prende le mosse dal rapporto tra Cesare e Catone l’Uticense.

Catone avversava la politica di Cesare ed una volta che quest’ultimo prese il potere, il primo si tolse la vita per non essere privato della libertà.

Gesto estremo che fa ergere, nell’ottica Dantesca, Catone a rappresentante della libertà, in questo caso da un sistema politico.

In ogni caso, Catone, meritevole dell’amore per la libertà, non tiene conto, sempre secondo Dante che la presa del potere di Cesare ed il principato che, secondo la ricostruzione di Svetonio,  ripresa da Dante, con lui inizia è il frutto di un preciso disegno della provvidenza, come ci illustra Giustiniano nel canto del paradiso ad esso dedicato.

Nonostante Cesare, così come Catone, fosse pagano, Dante lo tratteggia in un’ottica cristiana quale punto di partenza che porterà alla realizzazione del Sacro Romano Impero, secondo un preciso disegno del Dio dei cristiani.

La stessa aquila romana viene vista come uccello divino in chiave cristiana e di questo ci sono ampi riferimenti nel canto dedicato a Giustiniano.

Anche la morte di Catone, quindi, risponde a tale disegno.

È vero che detto suicidio è un atto prettamente personale ed apparentemente libero  ma nella visione dantesca fa parte di un storia già scritta, una strada già tracciata ed in alcuni casi sembrerebbe inevitabile per raggiungere il fine del terminare con le guerre civili, unificare l’impero e, quindi, porre le basi al ceseropapismo che trova il suo apice in Giustiniano.

Non è un caso, come evidenzia il prof. Canfora, che Virgilio quando non può più seguire Dante andando oltre il Purgatorio lo veste con la corona di alloro, impero, e la mitra, papato.

Tornando all’intervento della provvidenza nelle vicende umane il prof.  Canfora accenna al rapporto tra libertà e libero arbitrio facendo riferimento a Sant’Agostino ed a Tommaso D’Aquino.

Pensatori di chiara matrice aristotelica e, quindi, della scolastica, filosofia cristiana medievale, della quale Dante era intriso.

E proprio attraverso tale prisma Dante legge l’eroe di Ulisse ponendolo nelle fiamme dell’inferno, non per gli inganni del cavallo di Troia, di Achille e del furto del Palladio ma perché, perdonate il gioco di parole aveva osato osare.

Per seguire “virtute e canoscenza” aveva oltrepassato i limiti, aveva sfidato l’ignoto e si era avvicinato troppo alla montagna del purgatorio.

Ed eccoci, a mio parere, arrivati al cuore della questione ed in particolare al concetto di libertà.

Anche se il prof. Canfora sembra appiattirsi su una lettura in chiave dantesca del personaggio di Ulisse. Sicuramente per rispetto al Sommo Poeta ma credo che se si vuole dare un contributo al concetto di libertà non si può prescindere dal leggere la figura di Odisseo attraverso il prisma dell’ellenismo e, quindi, del neo platonismo contrapposto, quindi, alla scolastica.

Ulisse, infatti, è l’eroe della libertà, come si è detto, non politica ma interiore, fatta di conoscenza completa del proprio io, del perseguimento della virtù, della consapevolezza e della responsabilità.

Non a caso è stato letto durante l’umanesimo come l’archetipo dell’uomo e, qui, il parallelo iconografico con l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci.

Ma atteniamoci al testo Dantesco che poi è quello riportato dal prof.  Canfora nel proprio libro.

Nella Commedia, Dante rivisita, modificandola sensibilmente, la storia dell’eroe greco.

In questo canto dell’inferno la poetica raggiunge vette altissime in particolare con l’oration picciola i cui versi tutti conosciamo e con  l’esortazione: considerate la vostra semenza, fatti non foste per vivere come bruti ma per seguire “virtute e canoscenza”.

Sebbene il prof. Canfora affermi che Ulisse è collocato all’inferno per aver ecceduto nella sua sete di conoscenza e, quindi, nella sua libertà di agire, a mio sommesso parere un’altra chiave di lettura è possibile.

Ad aver condannato Odisseo alle fiamme dell’inferno dantesco non è stato l’eccesso di sete di conoscenza ma il bisogno di conoscenza in sé per sé.

Abbiamo detto che Dante -  per quanto considerato eretico in quanto messo all’indice per il trattato de monarchia, ma sappiamo bene che non era eretico nel senso vero del termine ma semplicemente per motivi politici – era espressione della cultura cristiana.

E come sappiamo quest’ultima non ha mai visto, se così si può dire, di buon occhio la conoscenza.

Nel libro della genesi infatti troviamo che Dio vietò ad Adamo ed Eva di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza e per la violazione di tale divieto i due furono condannati.

La mela non era il frutto del peccato ma il frutto della conoscenza.

Il peccato originale, quindi, è stato l’aver osato approcciarsi alla conoscenza.

Ed è indubbio che il personaggio omerico di Ulisse sia incentrato tutto sulla conoscenza.

La conoscenza di sé stesso per divenire un uomo completo e libero, la conoscenza del vizio non per motivi moraleggianti come nel viaggio dantesco ma per comprendere che lo stesso alberga in ogni uomo, che non lo si può sradicare ma che bisogna conoscerlo per relegarlo in oscure e profonde prigioni del se ed edificare templi alla virtù.

Solo così può nascere l’uomo nuovo, completo, libero secondo la chiave ellenistica ed umanistica che è propria del pensiero occidentale.

Come ho detto Dante riscrive le vicende di Ulisse e facendo cambiare completamente la traiettoria dell’eroe rispetto al poema omerico nel partire da Circe decide di abbandonare la rotta verso Itaca per esplorare mondi nuovi e superare le colonne d’Ercole dopo di che giunge vicino al monte del purgatorio e nel mare trova la morte con i suoi compagni di viaggio.

Al di là del monte del purgatorio posto di fronte ad un eroe ellenico, classico venuto molto tempo prima del cristianesimo, ciò che mi colpisce è il passaggio “né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ‘l debito amore lo qual dovea penelope far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore”.

Anche in questi versi si evince una sorta di visione negativa e distorta della figura di Ulisse e del suo concetto di libertà.

È vero, Ulisse era, per l’epoca omerica, un nuovo Prometeo volto, nell’odissea a compiere un vero e proprio viaggio iniziatico dentro se stesso in nome della libertà di coscienza, di conoscenza, di ricerca ma non era un irresponsabile.

Al contrario, Ulisse, nel poema omerico, lavora su sé stesso per limitare il proprio istinto di libertà avendo come obiettivo il ritorno ad Itaca, la quale rappresenta la tradizione ed il mondo del dovere dato dal suo ruolo di Re, marito, padre e figlio.

Una libertà, quindi, matura e consapevole, quella rappresentata da Ulisse ma sempre temperata dalla responsabilità.

Ed è proprio sul binomio libertà e responsabilità che dovremmo soffermarci per attualizzarli.

Oggi, purtroppo, la libertà è, a tutti i livelli, un valore abusato e poco conosciuto.

Nella vulgata è il diritto di fare tutto ciò che si vuole senza tener conto della responsabilità che abbiamo verso gli altri ma prima di tutto verso noi stessi.

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(*) Autore

avv. Emilio Graziuso -  Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca.

Svolge la professione forense dal 2002 occupandosi prevalentemente di diritto civile, bancario – finanziario e diritto dei consumatori.

Docente ai corsi di formazione della prestigiosa Casa Editrice Giuridica Giuffrè Francis Lefebvre ed autore per la stessa di numerose pubblicazioni e monografie.

Relatore a convegni e seminari giuridici e curatore della collana "Il diritto dei consumatori" edita dalla Key Editore.

Presidente  Nazionale Associazione "Dalla Parte del Consumatore".

Per Informazioni e contatti scrivere aemiliograziuso@libero.it oppure a coordinamentoconsumatori@gmail.com - Rubrica "L'Agorà del Diritto" www.gazzettadellemilia.it"

Sito WEB: www.dallapartedelconsumatore.com 

 

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