La UE di Ursula Von der Leyen è stata la prima a scatenare l’attacco alla libertà di parola, approvando l’arma politica del controllo dell’informazione, istituendo il Digital Service Act, pensando così di “mitigare” le notizie ritenute da lei disinformazione, dapprima sul Covid e poi sulla guerra in Ucraina.
Di fatto siamo in balia dal proteggere la Libertà di esprimersi contro il dovere di esprimersi o, per dirla in altri termini, stiamo per assistere alla sconfitta del libero pensiero in favore del totalitarismo “woke”.
Quello che sta emergendo è un potere totalitario a livello mondiale per controllare tutta l’informazione, in modo tale che la gente sia “guidata” nel determinare ciò che è vero da ciò che è falso.
Allora la domanda che dobbiamo porci è: per quanto tempo saremo ancora liberi di esprimerci?
Ne abbiamo parlato con costituzionalista il prof. Daniele Trabucco, professore universitario strutturato di Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato.
Prof. Trabucco, la libertà d’espressione è un fondamento della nostra Costituzione con l’art. 21, ma oggi siamo davvero liberi di comunicare o la libertà di parola è in serio pericolo?
La libertà di manifestazione del pensiero, detta anche libertà di espressione, di cui all’art. 21 della Costituzione repubblicana vigente, è stata definita dalla stessa giurisprudenza costituzionale italiana «pietra angolare» del sistema democratico (cfr. sentenza 19 febbraio 1965, n. 9 Corte cost.). Purtroppo, la narrazione dominante tende a «ghettizzare» tutto ciò che non rientra nel pensiero politicamente corretto, con la conseguenza di restringere sempre di più, ed i social network lo dimostrano in modo inequivocabile, il perimetro di tutela assicurato e garantito dalla disposizione costituzionale. Tuttavia, se il costituzionalismo ha sempre riconosciuto dei limiti (espressi ed impliciti) alla libertà di espressione, ad esempio affinché la stessa non sfoci nell’ingiuria o nella diffamazione tale da compromettere l’onore della persona, a partire dall’emergenza sanitaria (che è terminata quando i media non ne hanno più parlato) abbiamo assistito ad una involuzione sul piano del contenuto della protezione costituzionale: la censura è divenuta la regola e la libertà di espressione, contenente criticità verso il sistema senza turbare l’ordine pubblico, è stata relegata a spazi sempre più interstiziali. Dalle libertà dal potere politico siamo pervenuti, senza alcuna modifica del Testo costituzionale in vigore, alle libertà nel potere. Detto in altri termini, queste sono riconosciute unicamente nella misura in cui il potere (non più statale o sovranazionale, ma globale) le rende effettive secondo i suoi insindacabili parametri. Non si continui, allora, più ad insegnare la favoletta che il costituzionalismo e le Costituzioni, che ne sono il prodotto, hanno come fine la limitazione del potere. Il problema è che, purtroppo, troppi costituzionalisti ci credono ancora.
Il “virtue signalling” è il modello con il quale un libero cittadino espone le proprie idee, i propri valori e i suoi pensieri, ma ciò che non piace alla “comunicazione di massa” controllata dalle piattaforme social, fa intervenire immediatamente il “digitine” che letteralmente è una ghigliottina digitale, cosa che vediamo ormai quotidianamente, professore allora come possiamo difendere il nostro diritto derivante dall’art 21?
La domanda contiene, purtroppo, una grande verità. Per garantire effettivamente la libertà di espressione e, in generale, tutte le libertà fondamentali della persona umana, dobbiamo uscire dalla logica che il loro inserimento all’interno delle Costituzioni ne garantisca l’esercizio. Una volta, infatti, che i diritti sono positivizzati, essi rientrano nella piena disponibilità del legislatore che li bilancia e li limita spesso sulla base di discutibili giudizi di ragionevolezza. Pertanto, solo riconoscendo una precisa idea metafisica dell’uomo, quale essere razionale aperto alla ricerca della Verità, è possibile fondare una pretesa etica e giuridica. Intendo dire che il dover essere, ovvero l’agire morale e poi giuridico, è radicato nell’essenza stessa della persona per cui il compito del potere ed, in primis, delle Costituzioni scritte, è quello di ordinare (e non alterare) questa idea metafisica secondo il bene comune che non è il bene pubblico, come vuole la concezione moderna di Stato, ma il bene dell’uomo in quanto uomo, in quanto quale sostanza individuale razionale.