Di Eva Bergamo Roma, 7 settembre 2024 - Lo scorso luglio la FDA (Food and Drug Administration) statunitense ha infatti approvato il farmaco Kisunla, nuova terapia contro il morbo di Alzheimer (AD - Alzheimer's Disease) presentato dalla casa farmaceutica Eli Lilly,
Secondo l'azienda il trattamento, somministrato tramite terapia endovenosa mensile, si potrà applicare ai casi di adulti con malattia di Alzheimer sintomatica precoce, che include persone con decadimento cognitivo lieve e persone con uno stadio di demenza lieve dovuta ad AD, con patologia amiloide confermata.
Si tratta della "prima e unica terapia mirata alle placche amiloidi", formatesi dall'aggregazione di proteina amiloide naturalmente prodotta dall'organismo, che in questi pazienti forma degli accumuli tossici, che rappresentano la causa principale delle problematiche al pensiero e alla memoria tipici della patologia.
Il Donanemab appartiene alla categoria degli anticorpi monoclonali (identificabili in genere dal suffisso -mab), cioè proteine sintetizzate in laboratorio, che mimano il funzionamento degli anticorpi presenti nel sistema immunitario umano; lo scopo è quello di stimolare le difese dell'organismo ospite a combattere verso un bersaglio specifico. In questo caso il farmaco aiuterebbe a rimuovere l'eccessivo accumulo di placche amiloidi, rallentando del 35% rispetto al placebo il declino cognitivo e preservando una maggiore autonomia del paziente, così da rallentare il progresso della malattia.
Il costo della terapia è di circa 700 dollari al mese.
Tutto bene quindi?
Non proprio, perché dallo studio clinico svolto su 622 pazienti nordamericani, Kisunla presenta degli effetti collaterali di una certa gravità, dall'edema cerebrale ad emorragie più o meno consistenti, fino a reazioni di tipo allergico che, pur se in rari casi, possono avere effetti anche letali.
Al momento, in base all'approvazione dell'FDA il farmaco può essere commercializzato negli Stati Uniti, ma in Europa non ci sono ancora certezze, essendo tuttora in fase di valutazione da parte dell’EMA (European Medicine Agency) e dell'NHS (National Health Service) del Regno Unito, che pare voler rifiutare l'autorizzazione, sia per i costi considerati eccessivi che per i dubbi sulla sicurezza del prodotto.
Nel frattempo, arriva dalla Svezia un'altra novità relativa al trattamento dell'Alzheimer: si tratta di un test diagnostico che rintraccerebbe uno specifico marcatore nel plasma sanguigno e che secondo gli scienziati dell'Università di Lund potrebbe identificare precocemente l'insorgenza della patologia con un'accuratezza del 90%.
Gli studiosi dichiarano che la semplicità e l'affidabilità di questo test ematico rappresentano un significativo passo in avanti nella diagnosi dell'Alzheimer, "fornendo un metodo efficace per escludere la malattia nelle cure primarie. Un aspetto fondamentale perché la perdita di memoria può derivare anche da altre condizioni curabili come la depressione o la stanchezza cronica".
I risultati della ricerca svedese sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista medica statunitense JAMA Neurology; ora si attendono le linee guida per l'eventuale utilizzo di questo esame nell'assistenza sanitaria.