In realtà, l'autonomia, come ho avuto occasione di ribadire in alcune circostanze, è primariamente "cultura dell'autogoverno responsabile", ma si tratta di un aspetto del tutto ignorato in quanto elettoralmente poco spendibile.
La pessima riforma del Titolo V approvata nel 2001, con la formulazione dell'art. 116, comma 3, della Costituzione repubblicana vigente, ha "illuso" le Regioni a Statuto ordinario, come il Veneto in cui le richieste autonomistiche sono da sempre molto forti, di poter negoziare con lo Stato, mediante intesa, "ulteriori forme e condizioni di autonomia", arrivando a chiedere ben 23 materie. In realtà, a parte il fatto che il disegno di legge di iniziativa governativa cosiddetto "Calderoli" (A.S. n. 615), in discussione al Senato della Repubblica, non conferisce l'autonomia richiesta da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, contenendo semplicemente le modalità di attuazione dell'art. 116, comma 3, del Testo costituzionale (serviva davvero o, come insegna Omar Chessa dell'Università degli Studi di Sassari, bastava un'interpretazione costituzionalmente conforme?), sulle c.d. "materie", pagine bianche riempite dalla giurisprudenza costituzionale fin dagli anni '70 del secolo scorso che ha visto l'avvio del regionalismo ordinario, pendono i criteri elaborati dal giudice delle leggi dopo la riforma del Titolo V del 2001: uniformità, prevalenza, chiamata in sussidiarietà (sent. n. 303/2003 Corte cost.) etc. cui si aggiunge il fatto che molti ambiti materiali sono smaterializzati, "trasversali", ossia valori che Stato e Regioni, nell'ambito delle rispettive competenze, sono chiamati a realizzare (esempio: l'ambiente sent. n. 407/2002 Corte cost. o la tutela delle minoranze linguistiche).
Questo significa che, sulle intese prima e sulla legge di autonomia negoziata in eventuali giudizi di costituzionalità poi, i criteri di cui sopra avranno un effetto prepotentemente condizionante, riducendo di molto la sfera di autonomia conferita.
In conclusione: di fronte a richieste legittime delle Regioni si risponde con un metodo, sia pure previsto dalla Costituzione, non congruo.
Forse, ma la maggioranza parlamentare di centro destra ha deluso anche su questo, si poteva ragionare in grande, riflettendo seriamente sulla trasformazione federale dell'ordinamento costituzionale nel rispetto dei principi supremi di unità ed indivisibilità della Repubblica ex art. 5 Cost. (sul punto si vedano le considerazioni attualissime di Carlo Esposito (1902–1964), allievo di Donato Donati e Santi Romano.).
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
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