Il giudice delle leggi, con apposita ordinanza n. 97/2021, aveva optato per la scelta della incostituzionalità annunciata, dando al Parlamento italiano un anno di tempo per modificare la disposizione normativa ed evitare una immediata pronuncia di illegittimità costituzionale dagli effetti dirompenti per contrasto della norma citata con gli artt. 3, 27 della Costituzione e con l'art. 3 della CEDU la Convenzione europea dei diritti umani) la cui legge di attuazione funge da parametro interposto.
Ora, nella passata legislatura era stato presentato un progetto di legge, giá approvato dalla Camera dei Deputati ma non dal Senato della Repubblica (d.l. n. 2574) a causa dello scioglimento anticipato dei due rami del Parlamento, in cui l'art. 4 bis della legge sull'ordinamento penitenziario veniva modificato nel senso di permettere l'accesso ai benefici penitenziari al condannato che abbia dimostrato una condotta risarcitoria e la cessazione dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata. Una nota di Palazzo Chigi ci informa come l'intervento legislativo in via d'urgenza seguirà il testo del disegno di legge n. 2574 sulla quale il partito Fratelli d'Italia si era astenuto, ritenendo (giustamente a mio avviso) la soluzione adottata poco stringente benché contenente vincoli stretti.
Certo, incombe la decisione del giudice delle leggi, l'ombra del Colle è sempre in agguato, il pietismo celato sotto un "diritto alla speranza" tocca le corde degli animi molli del Paese, ma questa prospettiva continuista con la linea della maggioranza precedente pone una questione: perché ciò che era ritenuto permissivo ieri, oggi non lo è più? Non bastano più le parole e neppure la retorica.