Di Tamara Viotto Belluno, 4 ottobre 2023 - Quando si crea una campagna pubblicitaria si cerca ovviamente di darne la maggiore risonanza; parafrasando Oscar Wilde “nel bene o nel male purché se ne parli”, poco importa se a far da collante nella nostra memoria sia una melodia, un gioco di parole, un’immagine.
Molti di noi sono cresciuti col payoff (quella breve frase che accompagna un brand) “dove c’è Barilla c’è casa” e molti ricordano lo spot della bambina che uscendo da scuola, perdendo lo scuolabus, deve rincasare da sola, sotto una fitta pioggia, munita di mantellina gialla e stivaletti, e nel mentre trova un gattino. Il tutto mentre la mamma cuoce la pasta del brand.
Se fosse stata lanciata ai giorni nostri questa pubblicità avrebbe scatenato uno tsunami di commenti, favorevoli da parte dei più romantici e sentimentali, contrari da parte di altri. La lista delle contestazioni è onestamente lunga: dall’autista dello scuolabus che lascia a piedi un minore, alla bambina evidentemente in età non adatta ad uscire da sola da scuola; per non parlare dello stereotipo di famiglia felice o del gattino abbandonato (e se era di qualcuno?) …insomma, a guardar bene avrebbe probabilmente fatto la stessa fine dell’ormai onnipresente spot di Esselunga “La pesca”.
Diventa un aspetto curioso constatare quanto una pubblicità possa diventare, nel mondo contemporaneo, oggetto di commenti, critiche, osservazioni, approvazioni o, in altre parole, di “amplificazione mediatica”.
Non è possibile sapere se la famiglia Caprotti, proprietaria di Esselunga, avesse previsto tutto ciò. Di sicuro sappiamo che il marketing è stato per l’azienda da sempre una priorità, tanto da essere stato seguito direttamente da due dei figli del socio fondatore. Il lavoro di marketing di Esselunga si può definire puntuale, originale e anticipatore dei tempi.
La stessa “grande S” è stata ideata dal grafico Max Huber (lo stesso del marchio de “La Rinascente”) negli anni ’50, quando venne fondata la società milanese. In seguito, dagli anni ‘70 in poi vi fu il connubio con un altro nome importante del mondo della pubblicità, Armando Testa, quello degli spot di Carosello, per intendersi. A metà degli anni ’90 crea la campagna “Da noi la qualità è qualcosa di speciale”, voluta da Violetta Caprotti con lo scopo di uscire dalla logica del prezzo per proporre il marchio Esselunga. Alcuni dei cartelloni pubblicitari, che ritraggono frutta e verdura mentre richiamano altri soggetti, si sono guadagnati il prestigio di essere tuttora esposti al Louvre nella sezione dedicata alla pubblicità. Sempre Testa è l’ideatore di una successiva campagna, degli anni 2000, chiamata “Famosi per la qualità” dove frutta e verdura abilmente camuffati richiamano i volti di personaggi famosi dell’arte, della storia e del cinema.
Arriviamo ad oggi e ci imbattiamo nel cortometraggio “La pesca”. Da precisare che lo stesso fa parte della campagna “Non c’è spesa che non sia importante” attraverso la quale l’azienda vuole trasmettere il concetto che dietro ogni prodotto c’è una storia. Il film è stato girato a Milano dal regista francese Rudi Rosenberg e la campagna è firmata dall’agenzia creativa di New York SMALL nelle persone di Luca Pannese e Luca Lorenzini.
“La campagna vuole mettere in luce l’importanza della spesa che non è solo un atto d’acquisto, ma ha un valore simbolico molto più ampio” spiega Roberto Selva, Chief Marketing & Customer Officer di Esselunga. “Per ogni prodotto che mettiamo nel carrello c’è un significato più profondo di quello che siamo abituati a pensare. Volevamo cambiare il messaggio, uscire dal convenzionale, scattare una polaroid di quello che si vede nella vita di tutti i giorni. Si tratta di un’evoluzione del messaggio che mandiamo ai clienti, andare oltre lo spot commerciale. Lo spot racconta una delle tante storie che riguardano le persone che entrano in un supermercato.”
“Abbiamo voluto uscire dagli stereotipi” racconta Pannese “oggi ci sono tanti tipi diversi di famiglia e in questo momento può essere interessante raccontare la storia di un certo tipo di famiglia che di solito non si racconta”.
Da un punto di vista più tecnico lo stesso Pannese ha dichiarato che “tutti i brand raccontano storie più personali. Quando i grandi marchi entrano sulle piattaforme tv devono suscitare emozioni, magari con un sorriso o una lacrima”.
Sugli schermi della metropolitana milanese sono già visibili altre immagini per lo stesso claim. Tre amiche che, sedute sul divano chiacchierano, discutono, si confidano; la ragazza al centro mangia una tavoletta di cioccolata. La seconda scena vede una nonna che passa un uovo in mano al nipotino per impastare la farina.
Entrambe sono scene di vita quotidiana che Esselunga ha voluto immortalare come tali. Sono persone che hanno fatto degli acquisti, ognuna con motivazioni diverse. Possibile polemizzare anche su queste scene? Certo, a volerla cercare, la polemica, si trova sempre il modo.
Tornando allo spot della pesca, non è possibile individuare una forma di giudizio, una forma di condanna o di approvazione sulla tipicità di quella famiglia. La protagonista è la bambina che cerca di ristabilire un passato che le piaceva. La speranza è l’ultima a morire, si dice, e i bambini sono un grande esempio di resilienza. Si tratta di uno spaccato di vita, ma non è detto che ogni bambino la pensi allo stesso modo.
Davvero però dar voce ad una speranza infantile può destabilizzare il mondo degli adulti? Davvero è necessario ignorare i sentimenti dei bambini per non sentirsi giudicati nella propria scelta?
Non sarà forse che il pianeta social ci permette di dire tanto e di ascoltare poco? Non sarà che ascoltiamo solo chi ci dà ragione mettendo a tacere tutti gli altri? Non sarà che così facendo non siamo più aperti al dibattito e al confronto critico? Non sarà che la platea dei social è diversa da ciò di cui abbiamo bisogno? Meglio allora mangiare una tavoletta di cioccolata con le amiche ed essere davvero ascoltati.