Al di là della valutazione politica oltre che della vaghezza della formulazione (una sorta di norma penale in bianco) tre ragioni di ordine tecnico inducono a dubitare riguardo l'uso della decretazione legislativa d'urgenza ad opera dell'Esecutivo Meloni.
In primo luogo, la riserva di legge in materia penale, ex art. 25, comma 2, Cost., ha un fondamento politico- garantista, nel senso che è diretta a soddisfare un’esigenza di democraticità e rappresentatività nella formulazione della fattispecie incriminatrice. L’art. 25, comma 2, della Costituzione vigente, proprio attraverso il principio di riserva di legge, ha voluto riservare la scelta al Parlamento, cioè all’organo costituzionale che soddisfa maggiormente e direttamente le predette esigenze di democraticità e rappresentatività. La pena incide, infatti, su valori fondamentali della persona (libertà personale, dignità sociale): da qui, dunque, la necessità che la individuazione del nuovo reato e delle relative sanzioni sia compiuta da un soggetto munito di rappresentatività (no incrimination without representation).
In secondo luogo, nel caso di specie, mancano i presupposti giustificativi di straordinarietà, urgenza e necessità di cui all'art. 77, comma 2, Cost. giustificanti il ricorso alla decretazione legislativa d'urgenza. I c.d. "rave party" non presentano una capillarità quotidiana e, pertanto, ben poteva intervenire il Parlamento.
In terzo ed ultimo luogo, i requisiti per la valida adozione di un provvedimento provvisorio avente forza di legge sono, nella maggior parte dei casi, incompatibili con quella esigenza di meditazione e ponderazione che, anche alla luce dell’idea del diritto penale come extrema ratio, dovrebbe precedere l’introduzione di nuove incriminazioni. A ciò va aggiunto che il procedimento parlamentare di approvazione della legge di conversione del decreto-legge, entro il termine perentorio di sessanta giorni, è retto da un’evidente esigenza di speditezza (al fine di assicurare la conversione nei tempi previsti dalla Costituzione). Questo determina inevitabilmente il contingentamento dei tempi di discussione e la conseguente menomazione della dialettica parlamentare e, dunque, la significativa restrizione dei diritti delle minoranze.