Cosa rimane dopo il caso Ruby. Macerie della giustizia, macerie della politica e della credibilità nazionale. La giustizia nostrana sempre più simile alla sharia? Per fortuna esiste il terzo grado di giudizio.
di Lamberto Colla - Parma, 15 marzo 2015 -
L'assoluzione dell'ex premier e ex cavaliere Silvio Berlusconi per il caso "Ruby" non può e non deve essere archiviata ma diventare oggetto di studio politico, economico, deontologico, sociale e religioso.
Non tanto per la sentenza finita a favore del signor B. qualsiasi, ma per gli interrogativi che spalanca sulla conduzione ma soprattutto sulla pubblicizzazione delle varie fasi del percorso giudiziario e degli effetti privatistici e pubblici che questo ha comportato.
Una magistratura inquirente che, alla luce dei risultati, è apparsa più dedita alla moralizzazione piuttosto che a offrire il meglio del nostro ordinamento giuridico.
Una giustizia, che almeno nelle prime fasi, si è mossa alla pari della sharia (diritto penale islamico. Nel Corano stesso sono descritte le pene da applicare ai casi più gravi lasciando solo i reati minori al sindacabile giudizio degli amministratori della giustizia) mettendo in evidenza, se comunque ce ne fosse stato bisogno, il grado di degenerazione raggiunto dalla nostra classe politica e il ridottissimo tasso di moralità, limitato alla quasi esclusiva facciata di circostanza.
Ben diverso invece il comportamento tenuto dai giudici francesi nel caso che ha visto coinvolto l'ex direttore del FMI (fondo Monetario Internazionale) e candidato all'Eliseo Dominique Strauss-Kahn "reo" di avere il vizietto orgiastico. Una debolezza, peraltro confessata, venuta fuori di pubblico dominio a seguito della denuncia di una inserviente dell'Hotel che lo ospitava a New York che poi si è rivelata solo frutto di una macchinazione, molto probabilmente, ordita per intralciare la sua ascesa alla poltrona più ambita di Francia e proseguita con l'accusa di favoreggiamento della prostituzione nel processo che lo vedeva coinvolto sul giro di squillo all'Hotel Carlton di Lille.
In questo caso la magistratura transalpina decise di non procedere in quanto nulla di legalmente rilevante fu riscontrato. Non venne in mente a alcun magistrato di costruire una linea d'accusa sulla base di comportamenti che rientrano nella esclusiva sfera privata. Al contrario lo stesso pubblico ministero fece richiesta di proscioglimento «puro e semplice». Poi, come era da attendersi, il giudizio morale si è abbattuto sul collo dell'uomo politico emarginandolo come era giusto che fosse.
Uno sviluppo processuale ben diverso da quello riservato all'ex premier italiano.
Già perché se il signor B. è stato assolto perché il fatto non sussiste, la qual cosa comunque non scioglie il giudizio morale sulla persona che ognuno potrà far valere nella segretezza dell'urna.
Ma come si diceva, la questione apre molti interrogativi. Il primo e più scontato è quello che la complicità tra alcuni giornali nazionali e alcuni giudici sia stata orchestrata per favorire la decadenza del potente leader del partito di maggioranza relativa e Capo del Governo senza curarsi degli interessi reali del Paese.
Le bastonate mediatiche provenienti anche dalle testate estere hanno giudicato ancor prima della sentenza contribuendo a scatenare il tornado finanziario che si è potuto misurare con lo spread a "forza" 585 registrato nel 2011 ovvero quasi 500 punti superiori al 2007 quando misurava stazionario intorno ai 90 punti. Proprio quel valore, 585, fu la goccia che fece traboccare il vaso e portò alla sostituzione imperativa del Capo del Governo orchestrata dal Presidente Giorgio Napolitano.
Ed ecco che, dopo anni di saccheggio, lo spread è in questi giorni tornato ai valori del 2007 lasciando però sul terreno le testimonianze della devastazione.
E per fortuna che esiste il terzo grado di giudizio, quello della Corte Suprema di Cassazione che, a quanto pare, sta diventando sempre più l'ultimo baluardo a difesa del diritto, di quella giustizia giusta che cittadini vorrebbero avere come alleata.
Quella Corte Suprema che ha il coraggio di ribaltare anche le sentenze dei due precedenti gradi, come il caso recente degli allevatori lombardi coinvolti nella vicenda "quote latte", o come la vicenda che vedeva contrapposti produttori di un salame tipico e una multinazionale dell'alimentare e, per finire, al caso Berlusconi premier.
Il ricorso alla cassazione sta diventando indispensabile per fare valere i propri diritti. Il guaio è che in pochi possono permetterselo. Il ceto medio è stato sepolto dalle macerie dello spread e il diritto a una giustizia equa si è perciò limitato alla estrema minoranza del Paese e non più alla maggioranza. E poiché è un diritto individuale la difesa del cittadino, se questa non può essere perseguita causa impossibilità economica, il diritto stesso viene compromesso.
Non è proprio il caso, in questo periodo di forte e diffuso sconforto, mettere in cattiva luce il potere giudiziario e con esso le forze dell'ordine, argini maestri di contenimento del fiume "insofferenza" al colmo della sua portata.
Ecco perché sarebbe il momento che, separatamente, il potere politico e il potere giuridico ripensassero i loro comportamenti, o meglio quello di alcuni loro illustri, mediatici e telegenici rappresentati, e sotterrando l'ascia di guerra ricominciassero a dare il buon esempio.
Sono i cittadini che lo vogliono è lo Stato di Diritto che lo pretende.
Non è scritto da nessuna parte che debbano esserci dei vinti e dei vincitori, si può benissimo ripartire azzerando tutto pensando esclusivamente agli interessi della nazione.