Non la pensi come noi, allora ti boicottiamo. Accadde a Guido Barilla nel settembre 2013 e ora a Dolce e Gabbana di essere oggetto di boicottaggio per avere espresso un pensiero personale fuori dal coro.
di Lamberto Colla - Parma, 22 marzo 2015 -
Pare sia vietato esprimersi a favore della famiglia tradizionale. Chi osa prendere le sue difese , eterosessuale o omosessuale che sia , viene immediatamente soffocato dalla violenta reazione della lobby gay.
Il primo a farne le spese fu Guido Barilla, nel settembre 2013, quando intervistato a "la zanzara" se ne uscì con una infelice quanto imprudente affermazione a favore della famiglia tradizionale escludendo categoricamente la possibilità di produrre "spot" pubblicitari con famiglie gay perché, insiste Guido, "...non la penso come loro e penso che la famiglia cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica. Nella quale la donna, per tornare al discorso di prima, ha un ruolo fondamentale, è il centro culturale di vita strutturale di questa famiglia».
Un'opinione che ha immediatamente avuto eco sulla stampa tradizionale e viralizzata sui social media e l'hashtag #boicottabarilla è entrato tra i trend, diventando velocemente internazionale con la versione inglese #boycottbarilla. Una reazione che ha obbligato il presidente della multinazionale della pasta a scusarsi e a giustificarsi.
Episodio che, per certi versi, fu utile alla azienda parmense per riposizionare le proprie politiche interne e le campagne "gay friendly" oriented al punto tale da essere diventato un modello internazionale riuscendo a conseguire un punteggio perfetto dalla Human Right Campaign, un'importante associazione per i diritti degli omosessuali che stila ogni anno il Corporate equality index, una graduatoria basata sulle politiche interne ed esterne aziendali.
Molto probabilmente, gli stilisti Dolce e Gabbana, prenderanno esempio dalla Barilla e seguiranno un percorso di redenzione sempre che ne abbiano necessità.
Sorprende ancor più la presa di posizione, verso una famiglia tradizionale, da parte di Domenico Dolce e di Stefano Gabbana che non hanno mai fatto mistero della loro relazione, vissuta, come dovrebbe essere per tutti, nella totale normalità. Una relazione vissuta pienamente con amore prima e con affetto dopo la loro separazione. Una vita privata condotta con la discrezione di ogni coppia etero, senza clamori, lasciando che gli eccessi venissero apprezzati solo nelle collezioni ideate e prodotte dai due artisti e imprenditori.
Dolce e Gabbana da innamorati hanno rappresentato la normalità e come tale sono stati accettati.
Ciononostante il loro pensiero sulla famiglia tradizionale, non è stato apprezzato. E questo ci sta pure peccato che alla loro legittima opinione si sia contrapposta la solita violenza verbale con hashtag #boycottdolcegabbana compreso che in pochi giorni hanno generato ben 455.000 pagine di google.
Una violenza verbale alla quale i social media ormai ci stanno abituando e che rischia la disaffezione, da parte dei più moderati, all'utilizzo di questi straordinari mezzi di comunicazione.
Non concordo pienamente con l'opinione di Fabio Brinchi Giusti dalle colonne de Linkiesta etichetta come "cattivi" la maggioranza dei commentatori di facebook seppure sia indiscutibile che alcuni assidui frequentatori dei social utilizzino il "commento facile", molto spesso con arroganza. Ma quel che è peggio, postando ad libitum, questi opinionisti infaticabili riescono a rendere popolare l'opinione negativa e spesso violenta a discapito di quella più moderata e disponibile al confronto dialettico e culturale.
Vero è che il linguaggio muta con il mutare della società ma non vorrei mai che prendesse il sopravvento l'urlo, l'ingiuria e la vendetta.
Forse la modernità è anche questo prendere la storia, l'etica, il buon senso e la genetica e farne un bel rogo.
Come sarebbe bello, invece, consumare una buona pasta Barilla, inguainati in un elegante outfit di Dolce e Gabbana, coinvolti dalle dolci note di Elton John, in compagna della persona amata.