Un rapporto di Agir pour l’Environnement ha rivelato che, complessivamente, queste organizzazioni hanno investito oltre 1 miliardo di euro in attività di lobbying, impiegando l’equivalente di 7.621 dipendenti a tempo pieno, pari a una media di 10,8 lobbisti per ciascun eurodeputato. Numeri che sollevano dubbi inquietanti sulla trasparenza e sull’equilibrio democratico nell’Unione Europea.
Nel mirino, soprattutto le multinazionali e i colossi industriali. I primi 100 gruppi di pressione hanno speso tra 265 e 297 milioni di euro in soli 12 mesi, una cifra che equivale a quasi 400.000 euro per eurodeputato.
Al vertice della classifica c’è il Cefic, il Consiglio europeo dell’industria chimica, che nel 2023 ha investito ben 10 milioni di euro. Con oltre 1,2 milioni di lavoratori rappresentati e un peso del 14% sulla produzione chimica mondiale, il Cefic simboleggia la capacità delle grandi industrie di influenzare le decisioni politiche.
Seguono le Big Tech, tra cui Meta Platforms (controllante di Facebook, Instagram e WhatsApp), che ha speso circa 9 milioni di euro, e Apple Inc., che ha investito 8 milioni, cifra eguagliata da Microsoft Corporation. Questi giganti tecnologici, con fatturati da centinaia di miliardi di euro, rappresentano un’influenza crescente sul panorama legislativo europeo, dove le normative sulla privacy, sulla concorrenza e sulla tassazione digitale sono cruciali per il loro business.
Il massiccio ricorso al lobbying da parte delle multinazionali mette in discussione il ruolo dei cittadini e delle istituzioni democratiche europee. Se il voto dovrebbe essere lo strumento cardine per definire l’agenda politica, la realtà racconta un’altra storia: un’Unione Europea sempre più permeabile alle pressioni delle grandi aziende, le cui risorse economiche schiacciano quelle di ONG e associazioni civili.
L’attività di lobbying, formalmente legale, è giustificata come uno strumento di rappresentanza degli interessi, ma rischia di trasformarsi in un pericoloso squilibrio di potere. Con 10,8 lobbisti per deputato, la politica europea appare sempre più condizionata dalle risorse finanziarie piuttosto che dalle esigenze dei cittadini.
Diventa urgente un dibattito su come limitare l’influenza delle lobby nel processo decisionale europeo. Tra le proposte avanzate, emerge l’introduzione di un limite alla spesa annuale per il lobbying, che potrebbe bilanciare il potere tra multinazionali, ONG e associazioni civili. Tale misura garantirebbe maggiore trasparenza e salvaguarderebbe il principio democratico che deve guidare le decisioni legislative.
Tuttavia, la vera domanda è un’altra: perché un potere politico, già legittimato dal voto, deve essere riequilibrato da interventi esterni?
Questo paradosso mina alla radice la credibilità delle istituzioni europee. Se il processo democratico è offuscato dall’ombra dei capitali privati, l’Europa rischia di trasformarsi in un prodotto delle multinazionali, piuttosto che in un’espressione della volontà popolare.
In un contesto dove i cittadini percepiscono una distanza crescente tra le loro istanze e le decisioni dei parlamentari, il rischio è che il disincanto verso la politica alimenti l’astensionismo.
Non è un'Europa "pulita" quella la cui commissione ha preso forma qualche giorno fa, perché è ancora quell'Europa delle lobby Neocon che controllano la presidenza Biden e attraverso di essa, anche la Commissione UE.
È ancora quell'Europa guidata dalla Von Der Leyen che, nella sua passata “gestione”, ha alterato la verità sulla pandemia ed è stata capace di imporsi nuovamente contro l'espressione del voto dei cittadini, ma con la concertazione dei rappresentanti degli Stati membri.
E, a questo punto, non ci si deve sorprendere se le urne rimangono vuote: un’Europa dominata dalle lobby è un’Europa che smette di rappresentare i suoi cittadini.
L’attività di lobbying, così come è oggi strutturata, pone interrogativi profondi sulla natura stessa dell’Unione Europea. Sarà capace di rispondere a questa sfida, proteggendo il suo equilibrio democratico, o cederà definitivamente alle pressioni delle grandi multinazionali?
La risposta a questa domanda definirà il futuro dell’Europa come spazio di democrazia e partecipazione.
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