Laddove essa (la legge) accoglie un certo valore, questo è sempre modulabile, contingente, ossia dipendente dal continuo bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti a seconda del sentire sociale che diventa la vera fonte privilegiata dei contenuti della legge.
Quello che rileva, dunque, scrive il prof. Paolo Grossi (1933-2022) nella voce "Legge positiva" del "Dizionario della Dottrina sociale della Chiesa", è il fatto che questa consiste in un "atto di volontà espresso dal detentore della sovranità", ovvero in "un comando esprimente un imperio supremo". In questa prospettiva, è irrilevante il problema della possibile ingiustizia della legge, posto magistralmente da san Tommaso d'Aquino (1225-1274) nella "Summa", coincidendo quest'ultima con la legalità e questa, a sua volta, con l'atto potestativo di chi possiede ed esercita concretamente il potere sovrano.
In questo modo, si pongono le premesse per la separazione tra legge ("lex") e diritto ("ius") che troverà compiuta teorizzazione in Kant (1724-1804), Hegel (1770-1831), Heidegger (1889-1976).
La legge, in altri termini, non esprime più un ordine dato, accessibile alla ragione umana, ma è unicamente un atto di volontà che si impone sia pure con le forme della "geometria legale".
Il criterio, pertanto, di legittimazione della legge deriva dalla legge stessa e, dunque, dalla volontà politica del momento e non più da ciò che la precede, cioè il diritto, lo "ius", quell'ordine finalistico di ciascun ente tale in virtù della sua natura, della sua essenza (la "quidditas" (1)) e di cui la norma positiva è manifestazione.
- Nota: (1) quidditas, der. diquid«che cosa». Termine usato dalla filosofia scolastica per designare il carattere essenziale, il quid, che fa essere una cosa quella che è. (da Treccani)
(Daniele Trabucco)