Domenica, 04 Giugno 2023 07:08

Ucraina, Alemanno: “Meloni espone gli italiani a un gravissimo pericolo” In evidenza

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Giulia Bertotto Roma, 3 giugno 2023 (Quotidianoweb.it- Gianni Alemanno, all'anagrafe Giovanni, già ministro delle politiche agricole e forestali dal 2001 al 2006 nei governi Berlusconi II e III e sindaco di Roma dal 2008 al 2013. A gennaio su La Stampa ha definito la guerra nel cuore del vecchio continente “un'escalation verso l'abisso”.

Così per evitare di sprofondare nella Terza guerra mondiale sta cercando di dare il suo contributo con il Comitato Fermare la guerra. Informare la cittadinanza, attivare la sua partecipazione con il sostegno ai due quesiti referendari contro l’invio di armi e l’invio di armi in Ucraina, promossi dai Comitati “Ripudia la guerra” e “Generazione futura” nella campagna “Italia per la Pace”.

Onorevole Alemanno, quella del sostegno ai comitati referendari Ripudia la guerra e Generazioni Future l'ha definita una scelta “Necessaria di fronte all’ostinazione della politica ufficiale, di destra e di sinistra, a compromettere sempre più l’Italia in una posizione di cobelligeranza contraria al nostro interesse nazionale e che contribuisce a fare del popolo ucraino il capro espiatorio di un conflitto tra contrapposte logiche imperialiste''.

Questa è una guerra tra NATO e Russia, mentre l'Ucraina viene usata come teatro dello scontro?

In larga parte è così, ma questo ovviamente non giustifica l’invasione di Mosca e occorre mantenere una forte condanna verso questa scelta che è stato un errore gravissimo. D’altro canto non bisogna dimenticare che prima di questo atto di Putin ci sono stati otto anni di provocazioni da parte della NATO. E tutt’ora non c’è alcuna volontà da parte degli Stati Uniti di porre fine a questa guerra.

Quando è esploso il conflitto, nel febbraio 2022, la prima cosa che ho fatto con la Fondazione di Alleanza Nazionale è stata quella di andare in Polonia per portare in Italia cinquanta profughi ucraini. La mia prima reazione è stata quindi quella della solidarietà verso un popolo sotto attacco. Ma quando ho visto che i messaggi mediatici alimentavano una propaganda a senso unico, ho organizzato un convegno (al quale hanno partecipato tra gli altri lo storico Franco Cardini, il generale Marco Bertolini, il giurista Luciano Barra Caracciolo e il giornalista Francesco Borgonovo). Ci siamo trovati su posizioni simili riguardo all’interpretazione del conflitto. La reazione all’interno del mondo di destra per questa nostra iniziativa è stata molto positiva, da lì ho capito che la posizione ufficiale della destra parlamentare sulla guerra non rispecchia buona parte della destra diffusa, della destra degli elettori. Per dare voce a questa fascia di popolazione che non si riconosce nelle posizioni governative ho fondato il comitato Fermare la guerra.

La premier Meloni ha affermato che l'appoggio all'Ucraina è garantito al di là dell'opinione pubblica: l'aiuto militare a Zelensky "Sarà assicurato in ogni ambito fino a quando sarà necessario, continueremo a farlo senza calcolare ogni tipo di impatto sul consenso, perché è giusto farlo, anche sul piano dei valori. L’aiuto militare all’Ucraina è necessario".

Una posizione di questo genere è comprensibile, ma non per questo condivisibile, se il presidente del Consiglio è Draghi, un economista cresciuto all’ombra delle banche d’affari americane, un tecnico conforme agli interessi di Bruxelles e Washington. Quando è subentrata la Meloni ci si aspettava un cambio di rotta o almeno una moderazione di quelle posizioni. Ciò non solo non è avvenuto, ma la premier sta esponendo gli italiani ad un pericolo grave e inedito. Nella storia repubblicana l’Italia non ha mai preso una posizione così dura in un conflitto così grave. Forse solo quando D’Alema mandò i caccia in Serbia. Craxi o Fanfani non hanno mai pensato di metterci in una situazione analoga a questa! Anche se né la Seconda guerra del Golfo, né l’attacco in Serbia o Libia sono state guerre conformi al nostro interesse nazionale.

Inoltre dal punto di vista economico interno e del sistema-paese io non credo che possiamo permettercela. Al di là di quelli che possono essere i vincoli etici e costituzionali, non siamo neppure preparati dal punto di vista militare e di intelligence.


Cosa rispondere a coloro che affermano che bisogna stare sul presente? Alcuni dicono che non conta ciò che è avvenuto nella storia recentissima, Kiev è l'aggredito e quindi occorre difenderlo senza se e senza ma.

Questa semplificazione logica la noto più tra i giornalisti, politici e “intellettuali”; il sentire della gente “comune” è invece quello della preoccupazione e del rifiuto della partecipazione al conflitto. La maggioranza dei cittadini italiani, non vuole che l’Italia continui a inviare armi, e questo risulta palese anche dai sondaggi.

Tuttavia la risposta a coloro che portano avanti questa obiezione è: questa semplificazione nasce da un equivoco rispetto al modo in cui si ferma un conflitto. I media stanno diffondendo l’idea che per risolvere il conflitto si debba prima arrivare alla risoluzione di tutti i problemi che lo hanno causato. Ma non è così: un conflitto si ferma innanzitutto con un “cessate il fuoco” (naturalmente da entrambe le parti), e solo così poi si possono iniziare le cosiddette “procedure di raffreddamento” del conflitto e i negoziati. Così possono partire le trattative, non in altro modo. Queste trattative possono anche essere interminabili, ma meglio una trattativa interminabile di un conflitto interminabile. Anche perché più si continua con le bombe e più non resteranno che macerie fumanti. Le aree contese stanno diventando solo cumuli di rovine. Trascinare ancora questo conflitto non è nell’interesse del popolo ucraino, e non lo è nell’interesse del popolo italiano e di tutta l’Europa. E’ questo che vogliamo affermare sostenendo i due quesiti referendari.

Ha dichiarato che Zelensky l’ha fatta rabbrividire: “Chiudere qualsiasi porta a una trattativa realistica di pace e dire al Papa non servono mediatori, tratterà da solo. Non trovo legittimo che il presidente chieda le armi, chieda aiuto su tutti i fronti e però poi voglia decidere da solo e non apra a nessuno spiraglio diplomatico”.

Zelensky è venuto a Roma proprio per dire il suo no al Santo Padre. Ancora più agghiaccianti le istituzioni italiane: hanno accolto il presidente con un grande abbraccio incondizionato da parte dell’establishment e dai giornalisti. Lo abbiamo fatto parlare dall’Altare della Patria, un luogo di enorme impatto mediatico e valore simbolico. E’ come dire: l’Italia consegna i simboli della sua sovranità e del suo patriottismo a questa guerra.

L’unico tentativo di pace a cui finora abbiamo assistito è stato il tavolo in Turchia, mentre la presenza russa in territorio ucraino era di gran lunga minore rispetto ad oggi, ma questa trattativa si è conclusa con un nulla di fatto. Kiev sembrava aver accettato quanto stabilito in quell’occasione ma lo stop è arrivato dagli Usa.

Cosa dovrebbe fare l’Italia per tirarsi fuori da questa situazione a orologeria?

Il nostro paese dovrebbe iniziare a dialogare con la Germania e la Francia - visti anche i segnali di Macron - per avviare una trattativa congiunta. L’Europa avrebbe l’occasione per aprire un nuovo periodo storico. Invece continuiamo ad andare verso l’abisso. Se va bene ci attende una deindustrializzazione dell’Europa e un declassamento economico dell’Italia, se va male rischiamo l’olocausto nucleare. In questa situazione così precaria e complessa in qualsiasi momento può avvenire l’incidente che scatena il disastro.

Pensiamo infatti a quello che sta accadendo nel frattempo in Kosovo. Il conflitto si espande, la probabilità di incidenti aumenta.

La crisi ucraina sta infiammando tutte le aree contese: l’isola di Taiwan, la situazione in Georgia, la questione serba. Questo conferma il fatto che dietro questa guerra non c’è solo la questione ucraina, ma l’idea che l’Occidente, con gli Stati Uniti in testa, debbano contrastare con la forza le cosiddette “autocrazie” per giungere ad un punto di equilibrio che sarà la nascita di un nuovo bipolarismo mondiale tra Usa e Cina. Ma in questo mondo a sole due facce non c’è spazio non solo per la Russia ma neppure per l’Europa e questo rischio va assolutamente evitato.

Quello che dobbiamo progettare è invece un mondo multipolare in cui siano protagonisti anche i BRICS, i paesi islamici, tutte le grandi aree geo-politiche del mondo. E’ l’unico futuro in cui l’Europa potrà tornare protagonista, ma l’Occidente si ostina invece a tentare di cristallizzare la condizione di supremazia assoluta di cui finora hanno goduto gli Stati Uniti.

Secondo lei l’Italia dovrebbe uscire dalla NATO?

Il paradosso è che queste scelte di guerra sono state prese perfino contro le disposizioni previste nel trattato NATO, il quale stabilisce che i paesi membri sono tenuti ad intervenire in un conflitto solo quando un paese membro della NATO viene attaccato e che nessuno Stato coinvolto in un conflitto può entrare nella NATO. Nessuno di questi due principi della NATO stessa viene rispettato oggi. Quindi al momento non ci sarebbe neppure bisogno di pensare ad un’uscita dalla NATO, basterebbe rispettare il suo stesso trattato istitutivo!

Parliamo di Roma. Cosa pensa della decisione del sindaco Gualtieri di estendere la Ztl capitolina? Anche contro questa scelta è stato lanciato un referendum.

Una vera follia in cui si mescola cattiva coscienza, e quell’utopismo green che non è autentica attenzione all’ambiente. Cattiva coscienza perché il Comune è terribilmente in ritardo con gli adempimenti imposti dall’Ue per ridurre le emissioni, e quindi ora deve recuperare con un atto eclatante e per evitare una sanzione. Io credo che a Gualtieri convenga fare al più presto marcia indietro perché non si può dire a migliaia di lavoratori romani, dall’oggi al domani, che sono sequestrati nei loro quartieri e abbandonati ad un servizio di trasporto pubblico che versa in una situazione penosa e sempre più grave.

Anche in questo caso, seppur locale e certo non drammatico come quello che si consuma nelle trincee, si osserva un divario allarmante per la democrazia, tra volontà popolare e decisioni del Governo.

Quando c’è un distacco così forte tra decisione politica e sentire popolare il referendum è uno strumento prezioso, per questo abbiamo aderito ai quesiti di Italia per la Pace, e lo abbiamo fatto anche se i comitati promotori sono orientati più a sinistra. Abbiamo anche verificato che questi quesiti sono costituzionalmente ammissibili e quindi possono essere ammessi. Insomma sono uno strumento democratico reale. Per questo l’invito che rivolgo a tutti i cittadini è quello di firmare e diffondere questa iniziativa.

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(Gianni Alemanno a Parma  al tempo in cui era Minisitro dell'Agricoltura)

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