Domenica, 12 Marzo 2023 07:01

Dialettica Aggredito/Aggressore, nuovi totem nell'era della superstizione di guerra In evidenza

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La dialettica aggredito/aggressore, che vediamo all'opera dall'inizio dell' “Operazione speciale” russa in Ucraina, è un dispositivo concettuale su cui dovremmo soffermarci. Infatti, non è antropologicamente irrealistico dipingere una nazione come l'incarnazione del male* e un'altra come un soggetto esclusivamente passivo nel subirlo**?

Di Giulia Bertotto Roma, 12 marzo 2023 (Quotidianoweb.it) - La sintesi aggredito/aggressore oltre a costituire una formula interpretativa geo-politicamente povera e gretta, è una scappatoia eticamente pigra.

Ideale in guerra, perfetta per chi ha fretta.

Euromaiden 2014? Protocollo di Minsk 2015? Espansione NATO? Epiteti insopportabili questi, per il pacifista pro-armamenti! Peccato che, senza onestà intellettuale non possa darsi accesso a una memoria franca e così a una strada di pace.

Una guerra contro la guerra: il paradosso del conflitto igienico-pedagogico

Il docente Alessandro Colombo, spiega come nell'ultimo anno sia venuto a mancare il dilemma morale che dovrebbe precedere un coinvolgimento bellico, ad esempio da parte di nazioni come l'Italia, che ripudiano costituzionalmente la guerra, e della sua opinione pubblica, che ne ha un genuino rifiuto.

Nel giro di pochissimo tempo è stata normalizzata, e perfino eroicizzata, l'idea di una guerra giusta, sulla scorta proprio di questo “principio apparentemente incontrovertibile di giustizia”. L'Occidente liberale si è riconciliato con l'uso della forza, scrive Colombo, spalancando un pericoloso e scivoloso “trionfalismo morale”.

Nella sua declinazione attuale, la guerra giusta non è una super guerra, ma una anti-guerra; non richiede di convogliare il massimo dell'intensità politica contro qualche nemico ingiusto ma, tutto al contrario, di reprimere e punire un soggetto criminale proprio in quanto portatore di intensità politica; non ha bisogno di odio per uccidere, anzi può rappresentare perfino l'uccisione di massa dei propri nemici come una forma di profilassi contro l'odio”***.

Intervento anti-infettivo, guerra igienica, pedagogica, etica, una guerra esemplare elevata contro la guerra stessa. La saldatura tra carisma etico e norme sanitarie è in effetti qualcosa che abbiamo già tristemente sperimentato di recente.


Il sociologo polacco Bauman ci aveva ammonito sui paradossi della modernità: “L’immagine popolare della società civilizzata è quella in cui, prima di ogni altra cosa, è assente la violenza: l’immagine di una società moderata, mite, conciliante. La più significativa espressione simbolica di questa immagine dominante della civilizzazione è forse la sacralità del corpo umano: l’attenzione con cui si cerca di non invadere il più privato degli spazi, di evitare il contatto corporeo, di rispettare le distanze fisiche culturalmente prescritte (…). la proibizione culturale dei contatti troppo ravvicinati con un altro corpo funziona pertanto da efficace salvaguardia contro influenze contingenti e diffuse che potrebbero, se consentite, opporsi allo schema di ordine sociale centralmente amministrato. (…) Ma in ultima analisi, il carattere complessivamente non violento della civiltà moderna è un’illusione”****.

La frana gnoseologica

La fortunata adozione dello schema aggredito/aggressore avviene all'interno di un'operazione di rimozione orientata politicamente dagli Stati Uniti, dalla NATO e quindi anche dagli organi di stampa e televisivi italiani.

Aggredito (in questa fattispecie l'Ucraina) e aggressore (si dà il caso russo) piombano a terra come creature totemiche discese da un nuovo iperuranio. E chi non abbraccia questa fede è automaticamente un eretico da bannare.

Ma andiamo più a fondo: il dispositivo aggredito/aggressore nasconde una frana gnoseologica, ovvero la perdita del ragionamento complesso, dello sforzo di argomentare gli accadimenti nelle loro sfumature, pieghe, intersezioni e venature di senso. La posta in gioco è la facoltà cognitiva perché riguarda il pensiero umano, almeno occidentale. E la facoltà cognitiva si fonda sulla memoria; dunque pace nel prossimo futuro e memoria del passato sono i valori (e sono concretissimi) in ballo.

La perdita della memoria

La memoria è di per sé complessa in quanto accumulo, stratificazione, che per sedimentarsi deve darsi senso.
La perdita della memoria del divenire, dello svolgimento, del processo, quindi del senso, alla quale si associano categorie dogmatiche quasi di matrice trascendente come quella di aggredito e aggressore, si oppongono superstiziosamente alla razionalità dell'incedere degli eventi che è la storia. La storia si dà sempre come processo, mai come dato improvviso. Solo l'inizio è un dono, cioè un presente, il resto è flusso crono-logico. E qui si è persa la logica.

Pena l'obbligo di ammettere che l'aggredito e l'aggressore siano balzati fuori direttamente da Adamo ed Eva seminudi nel giardino. Si potrebbe obiettare certo anche il contrario: non possiamo retrocedere fino all'alba dell'umanità ogni volta che accade qualcosa nei rapporti umani sociali e politici. Giusto, ma non è saggio neppure liquidarne le premesse come un tabù morale o rinnegarne le radici come fatti mai avvenuti.

La maggior parte dei media ci propone fenomeni mostruosi da idolatrare o demonizzare, che improvvisamente esplodono da un eterno presente ottuso. Da parte dei cittadini riceviamo la logica aggredito/aggressore spesso ingenuamente accolta (non in ottica deresponsabilizzante), ma non è così che la intercettiamo da parte delle istituzioni e delle figure politiche, le quali propagandano con colorita retorica questo culto.

La scorciatoia aggredito/aggressore è allora un abbaglio mitico, un'illusione angusta, che rivela il paradigma di una società ostaggio proprio dell'aggressività, vestita da ideologia.

Questa velenosa (!) credenza offende le abilità del pensiero umano, oltre a falciare ogni possibilità di accordo diplomatico e negoziato.


Del resto, cosa aspettarsi, da un sistema economico associato a un potere algocratico***** che determina fortemente, e più o meno deliberatamente, questo stato di cose? Il capitalismo è necessariamente ostile alla tradizione e al passato, quindi avverso alla complessità, da sacrificare in nome del sempre nuovo, del gettito continuo di un sedicente progresso costante. Cosa c'è allora di più appropriato se non un'ossatura concettuale che polarizza il dibattito, svuota la memoria, monca la riflessione?

Antidoto Eros?

Nell'estate del 1932 Albert Einstein, studioso delle profondità del cosmo, domanda a Sigmund Freud, pioniere nella ricerca sulle profondità interiori umane, perché nella storia tutti gli sforzi diplomatici, intellettuali e psicologici vengano inesorabilmente paralizzati da un nuovo conflitto. “Com'è possibile che la massa si lasci infiammare con i mezzi suddetti fino al furore e all'olocausto di sé?” chiede lo scienziato, che definiva la follia come l'atteggiamento di chi ripeta sempre lo stesso atto, aspettandosi però un risultato diverso.

Freud ipotizza l'efficacia di un'autorità centrale di prevenzione della guerra, ma si affretta a definirla fallimentare perché presto o tardi si corromperà. Evoca allora quella contrapposizione tra Amore e Odio, tra attrazione e repulsione che “interviene anche nel Suo campo di studi”, la fisica. Freud qui si esprime come un vero scienziato dell'emotività, esaminando nella provetta del lettino di analisi quelle forze ancestrali di unione e separazione di cui parlava già il presocratico Empedocle. La forza centrifuga e centripeta originarie, di tipo metafisico, hanno costituito il cosmo, e continuano a mantenerlo in essere; l'una dipende ontologicamente dall'altra. Forse qui Freud sta parlando dell'unica dialettica universale.

“Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili”, per questo, scrive testualmente l'austriaco, “non c'è speranza di sopprimere le tendenze aggressive degli uomini”.

Poi sembra tentennare di fiducia, e accenna ad un antidoto: se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva è ovvio ricorrere al suo antagonista, cioè l'Eros, che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini. In effetti, oggi lo sappiamo bene, in ogni guerra si costruisce a tavolino la disumanizzazione del nemico.

Tra le ultime note dell'accorata ma rigorosa missiva, il neurologo scrive della differenza tra l'incivilimento e la civilizzazione: l'uomo è incivilito, perciò è pacifista, ma non civilizzato, per questo non conosce ancora la pace. Abbiamo spostato le mete pulsionali, spiega, ma l'essere umano non è ancora un adulto capace di autodeterminarsi senza farlo contrastando l'Altro.

Questo scambio epistolare è una delle più commoventi e potenti lettere d'amore, di Eros, che l'umanità abbia ereditato.

Non siamo mai stati in un buco nero, ancora non sappiamo se esistano davvero i buchi bianchi o da quale regione cosmica arrivi la pulsione al male, ma ci accontenteremmo intanto se questa guerra venisse raccontata con maggiore responsabilità e coraggio critico.

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Note in calce

*Un esempio su tutti:

Bono, la storia ha un ritmo rock. L’autobiografia del frontman degli U2: viaggio negli ultimi 40 anni tra grandi incontri e il rimorso per una foto in cui ride con Putin al G8 di Genova «prima che lui diventasse il male», La stampa 2 novembre 2022.

**Ci teniamo subito ad affermare che non è nelle intenzioni di chi scrive disquisire in alcun modo sulla sofferenza dei civili, ma proprio per questo non deve cadere l'oblio sugli avvenimenti che hanno portato fino al febbraio 2022.

***Z. Bauman Modernità e olocausto, Il Mulino, 1989, p. 141.

****“La guerra in Ucraina e il trionfo contemporaneo della guerra giusta”, in La Fionda, Guerra o pace i destini del mondo 2/2022.Alessandro Colombo è professore ordinario di Relazioni Internazionali all'Università Statale di Milano.

 *****Algocrazia è un'efficace espressione del filosofo Eugenio Mazzarella in “Contro metaverso. Salvare la presenza” Mimesiseditore 2022.

******Il carteggio Perché la guerra? È edito da Bollati Boringhieri 2013.

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Giulia Bertotto