Di Giulia Bertotto Roma, 1 marzo 2023 (Quotidianoweb.it) - Il Porto di Trieste è il principale porto petrolifero del Mediterraneo, nonché il primo porto sul territorio nazionale per traffico merci. I suoi gestori sono l'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale - Porto di Trieste.
Un centro economico di fondamentale importanza per il Pil del paese, un affascinante e vivo crogiolo di scambi attivi per 2.304.000 mq, nel via vai febbrile di traghetti che fischiano al vento salmastro. Ma può essere anche un luogo infernale per coloro che ci lavorano, precisamente 950 persone. Abbiamo intervistato Stefano Puzzer, il più conosciuto di loro.
Stefano Puzzer, lei che mansione ha svolto nel Porto di Trieste?
Lavoro nel Porto dal 1996 e ho fatto di tutto, ho iniziato a 18 anni facendo lo scaricatore di porto, svolgevo qualsiasi tipo di compito venga assegnato in un magazzino, poi ho iniziato ad usare i mezzi più semplici come il muletto, in seguito sono diventato responsabile di magazzino. Ho cambiato azienda, Trieste Marine Terminal dove sono andato nel Terminal container e lì ho acquisito tutti i patentini e le abilitazioni per guidare veicoli come il transtrainer, ossia una gru di dimensioni medie, poi quelle più grandi che lavorano direttamente sulle navi. Dopo sono venute le ralle, trattori stradali con semirimorchio che trasportano i rimorchi per il terminal. A 23 anni ho lasciato il Porto per una piccola attività imprenditoriale nell'ambito dei locali, poi sono tornato.
In questi anni ho lavorato per tre aziende, la Cooperativa La Fenice, poi una compagnia privata, fino all'Agenzia per il Lavoro Portuale di Trieste, ovvero l'ex compagnia portuale, cioè l'Articolo 17, un'azienda che somministra lavoro, concessionaria del Molo VII. Al suo interno ci sono lavoratori altamente specializzati, con prestazioni a chiamata giornaliera. Si lavorava ogni giorno in un terminal differente con una mansione diversa. Quando abbiamo fondato il CLPT ho subìto mobbing e discriminazioni sul lavoro, perché sono uno che non sta mai zitto. La faccenda si è conclusa con 60mila euro di buona uscita, nel 2014.
Uno che non sta mai zitto e che si è dedicato a battaglie di ogni tipo: per le barriere di contenimento dei lavoratori, per avere gli indumenti visibili di notte, per orari consoni al benessere della persona, tutte lotte che lei ha intrapreso prima che la questione Green Pass la rendesse noto. Lei era uno dei membri più attivi del sindacato CLPT e questo le è costato caro in termini di ritorsioni da parte di alcune aziende.
In Porto, in tutti i porti, ciclicamente accade un infortunio grave, se non un decesso, come nel caso di Roberto Bassin e di Paolo Borselli.
Con il CLPT abbiamo fatto pressioni per la sicurezza, essendo l'unico sindacato che davvero fa il suo lavoro per la tutela di chi lavora, e questo è anomalo nel panorama italiano. Il nostro antagonismo lo facevamo nelle ore libere, sottraendo tempo alla famiglia e al riposo. Perché per noi essere un sindacato non significava girare con la cartellina, non abbiamo neppure un ufficio o spazi ufficiali (perché mai ci è stato concesso), rappresentiamo una vera opposizione dal basso. Al massimo ci sono state concesse alcune ore libere nel caso in cui ci fossero in agenda riunioni importanti. Io ho fondato con altri il CLPT e ne sono stato orgogliosamente il portavoce e presidente. Dopo la questione della cocaina mi sono dimesso dal ruolo di presidente perché non volevo ci andasse di mezzo il sindacato, pur rimanendo un membro del direttivo.
Ora ci arriviamo. La lotta contro il Green Pass è stata la più eclatante a livello mediatico ma non la più significativa per lei.
Sì, anche perché i giornali hanno creato un personaggio, ma io per fortuna sono rimasto sempre la stessa persona. Non mi sono mai sentito un fenomeno al momento della ribalta, francamente mi dà anche fastidio essere riconosciuto per strada. Se vogliamo cambiare le cose in questo paese, devono farlo le persone normali, comuni, e devono farlo insieme. Con Andrea Donaggio abbiamo fondato il comitato La gente come noi, dal motto dei cori che ci hanno sostenuti e che abbiamo cantato in quei durissimi giorni, ed è ancora attivo. Il comitato ci dava una visibilità di cui in fondo non sapevamo che farcene, se non cercare di comunicare con la gente, dire alle persone che le ingiustizie si devono portare alla luce del sole. Il comitato collabora tuttora con il CLPT grazie ad uno statuto che abbiamo redatto subito, raccogliendo donazioni sia per i lavoratori sospesi perché non si sono piegati al Green Pass, sia per lavoratori che sono andati incontro ad effetti avversi da vaccino anti-Covid.
Voi non siete mai stati ideologicamente contrari alla vaccinazione anti-Covid, ma insistevate su un punto di coerenza. Nessun DPCM sulla sicurezza veniva rispettato, ma tutti gli oneri della prevenzione della malattia cadevano su di voi, come i tamponi a vostre spese e poi la somministrazione senza garanzie.
Esattamente. Noi non siamo virologi ma una cosa ci era ben chiara: si voleva scaricare sui lavoratori le mancate misure di prevenzione sanitaria. Non ci davano neppure le mascherine né ci fornivano disinfettanti per i mezzi. Saremo anche facchini e non dottori, ma nel Porto arrivavano navi dall'Oriente, e volevamo avere tutele in merito ai lavoratori con cui entravamo in contatto; abbiamo chiesto alle aziende, alla Capitaneria e all'Autorità Portuale di stilare un protocollo nel caso in cui la pandemia fosse arrivata anche in Italia.
Nel marzo del 2021 ci hanno risposto che le misure di contenimento del virus non potevano già essere pronte, ma noi avevamo mandato queste sollecitazioni ben due mesi prima!
Sempre nel marzo 2021, mentre uscivano a raffica i DPCM di Conte, -che nel Porto non sono mai stati osservati- è stato reso obbligatorio il Green Pass. Qualcosa non tornava.
Ma come, dicevamo, fino a ieri non ci davate neppure i guanti?!
Chiedevamo che tutti fossero sottoposti a tampone gratuito -e sottolineo gratuito- che presentassero o meno la certificazione verde, perché vedevamo che il virus era contagioso anche tra i vaccinati. Infatti il Green Pass non tutelava proprio nessuno, come oggi è chiaro a tutti.
L'obiettivo tamponi gratuiti è stato raggiunto, eravamo pronti a rompere le fila, ma in quel momento altre categorie di lavoratori erano nella stessa situazione, sotto ricatto vaccinale. Ci siamo sentiti in dovere di dare supporto a queste categorie. Allora mi sono dimesso per seguire quello che io sentivo doveroso, senza mettere nei guai il CLPT, per dire alle persone che la lotta continuava e che uniti potevano farcela.
Qual è la misura o la norma più urgente di cui hanno tuttora bisogno i lavoratori del Porto di Trieste?
Sono tante le cose importanti, nessun operaio dovrebbe lavorare da solo innanzitutto, ma quella fondamentale secondo me è la presenza di un presidio medico fisso con ambulanza nel Porto. Perché anche con tutte le accortezze possibili, quando si lavora con mezzi pesanti l'imprevisto, o un piccolo errore, può essere mortale. Noi facciamo molti corsi di primo soccorso ma nessuno può sostituirsi alla figura medica con le sue competenze.
Anche qui è un discorso di rimpallo di responsabilità. Che non possono essere scaricate sui lavoratori, ma che devono essere una volta per tutte assunte dalle autorità competenti.
La vicenda della cocaina appare personale ma non lo è affatto perché arriva al culmine di una serie di atti volti a squalificarla come sindacalista attivo.
Oggi c'è una condanna, perché il test delle urine a cui la sottoposero venne manipolato.
Coloro che lavorano con mezzi pesanti come noi hanno l'obbligo di sottoporsi al test annuale anti droga e abuso di alcol. Quell'anno era il 2016. L'azienda mi ha chiamato il giovedì per andare a fare questo esame il venerdì mattina. Quel giovedì avevo il turno di notte fino alle sette del mattino, perciò per legge non ero obbligato a farlo il giorno successivo, ma per non creare interrogativi o problemi mi sono recato a fare questo esame delle urine. Dopo pochi giorni sono stato chiamato dal presidente il quale mi ha riferito che ero risultato positivo alla cocaina. Credo di essermi messo a ridere. A quel punto avrei dovuto fare un percorso di disintossicazione al Sert, non potevo guidare per un mese ma non correvo alcun rischio di licenziamento. Però non potevo accettare questa assurdità e ho deciso di andare a fondo. Ho denunciato.
Chi c'era dietro questa macchinazione?
Solo il medico aziendale era in possesso dei miei dati clinici sensibili. L'amministratore delegato della Trieste Marine Terminal, il signor Roberto Manis, aveva eseguito questa messa in scena, direttamente all'attenzione del mio presidente -nonché segretario generale dell'Autorità Portuale- al fine di screditare me e anche il sindacato.
Nelle mie urine è stata trovata sostanza pura, metabolita negativo: significa che la cocaina che mai è passata nel mio metabolismo. Qualcuno nel laboratorio ha aggiunto sostanza pura.
C'è stata la causa in tribunale e questo amministratore delegato è stato condannato a un anno e mezzo per favoreggiamento perché non ha mai voluto dire i nomi di chi ha inquinato la mia persona. Altri due testimoni sono stati denunciati per falsa testimonianza. La mente di questo piano non è quindi ancora stata punita. L'episodio più grave ritengo però che sia il sabotaggio della mia macchina con verosimile manomissione delle pulegge. Potevano uccidere anche la mia compagna e mio figlio. Mi sembrava di vivere un incubo o un brutto film. Se qualcuno alza la testa contro le ingiustizie in certi ambienti la paga cara. Ho fatto l'ultimo esame delle urine una settimana prima di sposarmi.
Poche settimane dopo Stefano Puzzer sarebbe arrivato all'altare, riuscendo a salvare per un pelo le sue nozze, e anche stavolta la verità e la propria dignità.
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