Perché nel nostro Paese non viene preso in considerazione il corporativismo? Perché non vi è un’analisi seria dello stesso? L’attuale crisi del sistema democratico-parlamentare tiene l’Italia in una condizione di impasse.
E’ dai tempi antichi che appaiono forme corporative di vita associata. Occorre depurare il corporativismo dal significato deteriore che il pensiero dominante gli ha assegnato, restituendogli la sua essenza più autentica. Quindi non l’arroccamento delle “corporations” (termine anglosassone che indica potentati economici propri del sistema liberal-capitalista) ad esclusiva tutela dei loro interessi e a danno della comunità, ma l’esatto contrario, ossia il contributo di ciascuna categoria produttiva al bene e al progresso della nazione intesa in senso organico.
Nel panorama politico odierno i partiti riversano le loro energie nella strutturazione di alleanze improbabili e strampalate (obiettivo prioritario è vincere la tornata elettorale e conquistare il posto di comando, sottraendolo agli avversari), mentre gruppi oligarchici e bellicose categorie economiche dominano lo scenario nazionale.
Si accentua sempre più l’incapacità degli organi di governo nell’affrontare sia le problematiche eccezionali sia quelle di ordinaria amministrazione. Ciò vale anche per le rappresentanze, i sindacati, strumentalizzati dalle loro correnti interne e dai partiti.
Quanto esposto vale altresì per le organizzazioni imprenditoriali, dove alcuni gruppi ottengono dalle Istituzioni condizioni a loro più favorevoli, in termini di credito e/o di operatività aziendale. Ne derivano concentrazioni di ricchezze frutto di clientelismi, sviluppo per alcuni, recessione per altri, in uno stato continuo di tensione sia tra lavoratori che tra aziende.
Nella concezione liberale il lavoro è considerato alla stregua di una merce, escludendo il lavoratore che produce dall’esercizio decisionale. Ciò impedisce che siano poste basi adeguate per il progresso e lo sviluppo dell’intero corpo nazionale. Solo attraverso la rappresentanza corporativa, intesa come partecipazione di tutti i cittadini (in qualità di produttori, consumatori e contribuenti), può essere realizzata una valida programmazione economica.
L’aggettivo “corporativo”, come visto, non va inteso alla stregua di una difesa degli interessi settoriali. Nel diritto romano l’espressione “corpus habere”, da cui deriva, indicava il possesso di personalità giuridica. nel medioevo le corporazioni parteciparono direttamente al governo di importanti città europee. Il corporativismo, oggi, potrebbe rappresentare la soluzione per accorciare le distanze dei cittadini dalle Istituzioni, queste ultime lontane dai bisogni del Paese reale.
Le insufficienze strutturali dello Stato democratico-parlamentare, di scuola liberale, rendono non più dilazionabile un cambiamento dell’architettura statuale e la relativa risoluzione dei problemi posti dalla società moderna.
Ne “La società corporativa”, Gaetano Rasi scriveva: “Mancando non solo la coincidenza, ma anche la sintonia degli operatori con i legislatori, le diagnosi giungono alterate agli organi decisori e le cure, che ne derivano, affatto adeguate alle esigenze”. E’ una Camera corporativa l’Istituto che manca e presso il quale deve aver luogo la verifica di consenso sugli obiettivi della pianificazione. Nella competenza e nelle funzioni di tale Camera, in cui avrebbero posto anche i rappresentanti degli interessi territoriali, dovrebbero essere perseguite la compatibilità e l’adeguatezza degli obiettivi. La crisi politica, sociale ed economica trae origine principalmente dalla spaccatura tra società e Stato e tra i corpi sociali e gli istituti attraverso cui i primi dovrebbero farsi sentire. Talvolta, questi istituti non esistono. Solo attraverso la ricomposizione di tale frattura, diventa possibile attribuire alle nuove Istituzioni quell’autorità che è l’elemento fondamentale del governo effettivo e del progresso.
Perché il Paese reale abbia corrispondenza con quello legale, appare necessario integrare la pluralità dei gruppi e dei soggetti che costituiscono la società (famiglie, imprese, categorie professionali, partiti, organizzazioni spirituali, morali e culturali) nelle Istituzioni dello Stato.
Il corporativismo rimane, quindi, l’unica strada percorribile per rispondere alle esigenze sociali e politiche. Perché l’Italia sia realmente di tutti e non di pochi privilegiati.
Uno dei principi corporativi, la partecipazione alla gestione delle aziende, lo si rinviene nell’articolo 46 della Costituzione. Questa norma avrebbe dovuto ricevere attuazione da parte del legislatore, affinché fosse garantita una effettiva partecipazione dei lavoratori negli organi direttivi delle aziende. Al contrario, la partecipazione dei lavoratori è stata ridimensionata con il solo controllo dei sindacati elevati a contraltari del potere aziendale, in una logica conflittuale anticorporativa. L’obiettivo del Costituente era il superamento della contrapposizione fra i soggetti della produzione e ridurre i toni di scontro tra capitale e lavoro.
Sarebbe opportuno che il dibattito sulle riforme riparta da qui, per realizzare quella che da subito appariva una conquista sociale, mai attuata (tale articolo trae ispirazione dai consigli di gestione operai che, durante la Repubblica Sociale Italiana, furono creati per consentire ai lavoratori di partecipare in modo attivo alla “socializzazione delle imprese”).
Matteo Pio Impagnatiello
(membro Unidolomiti);
Raffaele Amato
(storico)