GDF PARMA: contrasto all’evasione fiscale: scoperta società fittiziamente residente all’estero attiva nell’intermediazione di immobili di pregio
Nella giornata di ieri finanzieri del Comando Provinciale di Parma hanno eseguito una ordinanza di misura cautelare personale e contestuale decreto di sequestro preventivo emessi dal Giudice delle Indagini preliminari del Tribunale di Parma, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di cinque indagati, cui vengono contestati a vario titolo reati tributari ed ipotesi corruttive.
Il cittadino italiano è stato scovato dalla Polizia all’interno di un appartamento nel quartiere “1 Maji” a Valona
Chiude la partita Iva e lavora in nero per prendere il reddito di cittadinanza. Denunciato dalla Guardia di Finanza. Un cittadino marocchino ha chiuso la partita Iva nel 2017 ma ha continuato a fare lo stesso lavoro in nero usufruendo del sussidio per lui e la sua famiglia. Incrociando dell’Anagrafe Tributaria i finanzieri sono riusciti a risalire al giro d’affari dell’uomo, che ora dovrà restituire 22 mila euro.
I finanzieri del Comando Provinciale di Parma hanno eseguito nei giorni scorsi un provvedimento di confisca di oltre 1,4 milioni di euro nei confronti di due imprenditori arrestati per frode fiscale dalle Fiamme Gialle di Parma nel 2018, dopo una breve latitanza in Svizzera.
I militari del Gruppo della Guardia di finanza di Parma hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Parma a seguito di richiesta della locale Procura della Repubblica (Pubblico Ministero dott. Umberto Ausiello), sui saldi di conto corrente, nonché sui beni mobili ed immobili nella disponibilità di un imprenditore parmigiano, per i reati di omessa dichiarazione e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
L’attività investigativa è nata da un controllo di routine al confine italo svizzero, effettuato nei confronti di un imprenditore parmigiano attivo nel settore del commercio di orologi di lusso (tra cui Rolex, Panerai, Audemar-Piguet, Cartier, Tudor), nel corso del quale i finanzieri in servizio di polizia valutaria hanno sequestrato 50.000 euro in contanti, celati all’interno di un calzino, nonché una decina di orologi di pregio.
La successiva attività di polizia giudiziaria, svolta dal Gruppo della Guardia di Finanza di Parma in esecuzione di delega da parte della Procura della Repubblica di Parma, ha permesso di ricostruire il meccanismo fraudolento attraverso il quale P.C, di 73 anni, è riuscito ad occultare al fisco italiano, dal 2013 al 2018, ricavi superiori a 14 milioni di euro, con un’imposta evasa pari a 3.200.000 euro.
In particolare, è emerso come l’imprenditore, pur operando stabilmente su tutto il territorio nazionale, agisse formalmente con una propria società con sede a Londra, attraverso la quale acquistava gli orologi di lusso nuovi, provenienti da rivenditori italiani concessionari ufficiali delle più note griffe del settore. Gli orologi, che di fatto non sono mai stati trasportati nel Regno Unito, venivano rivenduti, sul territorio nazionale, a gioiellerie, ad altri rivenditori ed a soggetti privati come beni usati, con un notevole illecito risparmio fiscale.
Tale stratagemma, che ha alimentato tra l’altro il c.d. “mercato grigio”, ha consentito all’imprenditore parmigiano di piazzare sul mercato, a prezzi altamente concorrenziali, orologi di lusso di elevatissimo valore.
Le investigazioni di polizia economico-finanziaria -eseguite attraverso perquisizioni personali e locali, esame di documentazione contabile ed extracontabile ed escussione di persone informate sui fatti- hanno consentito di dimostrare come l’azienda inglese fosse, in realtà, una società esterovestita, ovvero un’impresa fittiziamente situata all’estero, di fatto residente nel territorio nazionale, utilizzata allo scopo di avvalersi di un regime fiscale, nel caso specifico, molto più vantaggioso.
L’ingente ammontare dell’imposta evasa ha fatto scattare a carico dell’amministratore la denuncia alla locale Autorità Giudiziaria per il reato di omessa dichiarazione finalizzata all’evasione dell’imposta sui redditi e dell’IVA.
Peraltro l’imprenditore in questione, dopo l’avvio degli accertamenti da parte della Guardia di Finanza, aveva fraudolentemente donato al coniuge tutti i beni immobili a lui intestati, evidentemente allo scopo di sottrarli alle pretese del fisco.
Per questo motivo, P.C. è sottoposto ad indagini anche per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, reato previsto proprio per chi compie atti fraudolenti sui propri beni al fine di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Onde garantire il rientro nelle casse pubbliche di quanto non versato, su proposta della Polizia giudiziaria, la Procura della Repubblica di Parma ha richiesto il sequestro dei beni posseduti dall’amministratore, applicando il particolare strumento di contrasto patrimoniale del sequestro per equivalente, ossia il “blocco” di beni riconducibili al soggetto cui è ascritto il reato, per un valore pari al danno cagionato allo Stato dall’evasione fiscale.
Accogliendo la prospettazione accusatoria, il GIP presso il Tribunale di Parma, dott. Mattia Fiorentini, ha disposto il sequestro di disponibilità finanziarie della società e dei soci dell’impresa, tra cui conti correnti, immobili e terreni, per un valore di oltre 3.200.000 euro
di Mario Vacca 6 gennaio 2019 - La Corte di Cassazione, con sentenza n. 41704 del 26.09.2018, ha affrontato la controversia circa la costituzione di un fondo patrimoniale nel quale è stato conferito la sola nuda proprietà di beni immobili, ritenendo l'operazione reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in quanto a totale favore dell'usufruttario e non dei bisogni della famiglia ed in più costituito successivamente alla notifica di tre avvisi di accertamento.
Il tribunale di Siena ha emesso la prima sentenza comminando quattro mesi di reclusione e la confisca della nuda proprietà dei beni conferiti, giudizio al quale il soggetto ha posto inutilmente ricorso avverso la Corte d'appello di Firenze e successivamente in Cassazione, articolando l'ultimo baluardo di difesa deducendo l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, la mancanza dell'elemento psicologico e la qualificazione del bene come diversa dal corpo del reato.
Leggendo il ricorso si indica l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, ritenendo che la costituzione del fondo patrimoniale non sia atto idoneo a rendere inefficace, integralmente o parzialmente, la riscossione coattiva delle imposte, stante l'impossibilità di ritenere il suddetto atto fraudolento; per quanto concerne la mancanza dell'elemento psicologico del reato, si è giustificata la mancata intenzione specifica di sottrarsi al pagamento delle imposte; in ultimo si è contestata la confisca dei beni immobili, esponendo che non potessero essere qualificati tanto come corpo quanto come profitto del reato.
La Suprema Corte ha affrontato tutte le motivazioni questioni in maniera chiara e precisa, effettuando prima una identificazione teorica della fattispecie criminosa descritta dall'articolo 11 D.Lgs. 74/2000.
La norma appena richiamata sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative ad esse inerenti, per un importo complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la riscossione coattiva.
L'oggetto giuridico protetto dalla disposizione esaminata non è il diritto di credito del Fisco, ma la garanzia patrimoniale generica ex articolo 2740 cod. civ., stante la configurabilità della condotta criminosa anche nella ipotesi in cui, dopo il compimento dell'atto fraudolento, avvenga comunque il pagamento dell'imposta.
A parere dei giudici il comportamento tenuto dal ricorrente rientra fra "gli altri atti" descritti dall'articolo 11 citato, essendo interpretabile come una clausola residuale che intende punire tutte quelle operazioni che, pur non rientrando nel novero delle alienazioni simulate, nonostante la loro legittimità formale, alterano la rappresentazione della realtà percepita dai terzi, mettendo a repentaglio o rendendo più difficoltosa la riscossione delle imposte.
Tra l'altro, giacché trattasi di un reato di pericolo concreto, perché si possa addivenire ad una condanna occorre che venga dimostrata la potenziale lesione delle ragioni dell'Amministrazione finanziaria, in ossequio al principio di offensività.
Nel caso di specie, il conferimento in fondo patrimoniale della sola nuda proprietà dei due beni immobili integra una condotta censurabile ai sensi dell'articolo 11 D.Lgs. 74/2000 sia perché rende più difficoltosa l'esecuzione (l'articolo 170 cod. civ. esclude l'esecuzione relativamente ai debiti che il creditore conosceva non essere stati contratti per scopi attinenti ai bisogni della famiglia) sia perché, riguardando non l'intera proprietà ma solo una parte del diritto dominicale, esso non porta alcun vantaggio a favore dei destinatari del fondo patrimoniale, sicché è evidente la natura fittizia e fraudolenta del congegno negoziale, attuato dopo che il contribuente ha avuto contezza delle pretese tributarie a suo carico.
In ordine al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha avvalorato le conclusioni dei giudici precedenti sostenendo che la competente Corte d'appello ha correttamente applicato la norma, ritenendola a dolo specifico e indicando tutte le circostanze di fatto necessarie per stabilire l'esistenza del fattore psicologico de quo.
Non ultimo, la Suprema Corte ha ritenuto infondato anche il motivo attinente alla confisca per equivalente, istituto previsto dall'articolo 240 c.p.: il profitto del reato, infatti, altro non è che la riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del contribuente, e non il debito tributario inadempiuto.
GDF REGGIO EMILIA: "OPERAZIONE MAIL BOXES" - FRODI FISCALI E BANCAROTTA FRAUDOLENTA
Frodi fiscali e bancarotte fraudolente, utilizzando società offshore ubicate in paradisi fiscali. E' quanto emerso da un'indagine condotta dal Nucleo Polizia Economico – Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Emilia e coordinata dalla Procura della Repubblica reggiana che ha indagato 12 soggetti (alcuni dei quali già noti alle Fiamme Gialle) e numerose società ad essi riconducibili.
Le indagini hanno preso avvio dalla verifica della posizione fiscale di una società reggiana operante nel settore della commercializzazione di prodotti informatici nei confronti della quale è stata accertata una rilevante frode fiscale, la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e, successivamente, la bancarotta fraudolenta.
Quindi gli amministratori dell'azienda hanno costituito nuove società trasferendole, grazie anche alla consulenza di professionisti compiacenti, nel Delaware (U.S.A.) e in Inghilterra ed intestandone il capitale sociale e gli assets a soggetti giuridici aventi a loro volta sede all'estero, addirittura presso semplici mail boxes (da qui il nome dell'operazione).
Con questo sistema si impediva, tra l'altro, la riscossione di tutti i crediti, compresi quelli dell'Erario e si frapponeva concreto ostacolo ad ogni attività di controllo.
Peraltro le società estere così create dagli indagati potevano essere gestite successivamente direttamente "on line" dagli stessi, per lo più attraverso server esteri. Al termine delle indagini la Guardia di Finanza di Reggio Emilia, oltre a denunciare i responsabili per i reati sopra descritti, ha richiesto il sequestro preventivo, anche di beni per valore equivalente, del profitto dei reati tributari, ovvero delle imposte evase dalla società reggiana che, negli anni 2012 e 2013 ha nascosto al fisco una base imponibile di circa 70 milioni di euro e IVA per circa 13 milioni di euro.
Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Emilia, accogliendo la prospettazione accusatoria della locale Procura della Repubblica ha disposto il sequestro preventivo per valore equivalente di beni pari a 30 milioni di beni riconducibili agli indagati. La Procura della Repubblica di Reggio Emilia ha altresì disposto le perquisizioni di tutti i locali nella disponibilità degli indagati e, nella giornata di ieri, i militari del Nucleo Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Emilia hanno eseguito perquisizioni in diverse località delle Regioni Emilia – Romagna, Lombardia, Toscana e Liguria, pervenendo al sequestro di 14 fabbricati (tra cui ville ed appartamenti di pregio), auto di lusso (tra cui una Ferrari), quote di partecipazione e numerosi conti correnti bancari.
Da segnalare come molti beni sequestrati, in particolare beni immobili, erano riconducibili agli indagati attraverso le medesime società offshore utilizzate per il compimento delle attività illecite.
I Finanzieri del Comando Provinciale di Bologna hanno eseguito, su tutto il territorio nazionale, un provvedimento di sequestro emesso dal G.I.P. del capoluogo felsineo, dott. Alberto Ziroldi, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica di Bologna, dott.ssa Manuela Cavallo, di beni mobili, immobili (tra cui una villa sui colli bolognesi del valore di circa 2 milioni di euro), autovetture, quote societarie, polizze assicurative e conti correnti, per quasi 25 milioni di euro.
Ai 16 indagati – tra cui 4 bolognesi - è contestata, a vario titolo, "l'associazione per delinquere" finalizzata alla commissione di numerosi crimini tra cui "l'emissione e l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti", "l'omessa dichiarazione fiscale", "l'occultamento o la distruzione delle scritture contabili", la "simulazione di reato", il tutto con l'aggravante della transnazionalità in relazione al fatto che le varie condotte criminali sarebbero state commesse in più stati.
L'esito delle indagini di polizia economico-finanziaria, svolte dai militari della Compagnia di Imola, ha permesso di risalire ai vertici dell'associazione criminale i quali, dagli uffici bolognesi, avrebbero utilizzato compiacenti "prestanomi" per strutturare e gestire varie catene societarie – costituite da società italiane, società esterovestite (ossia con sede fittizia in Gran Bretagna ma realmente operanti presso la sede bolognese) e società ubicate, tramite l'interposizione di fiduciarie estere, in Paesi off shore (in particolare nei "paradisi fiscali" tra i quali le Isole Vergini Britanniche e di Panama) al plurimo scopo di pervenire, da un lato, al completo camuffamento della reale allocazione reddituale e degli effettivi soci/amministratori e, dall'altro, di impedire la ricostruzione delle "tracce contabili" dei movimenti di denaro.
Il sofisticato sistema di frode, attuato per anni dal sodalizio criminale, ha condotto alla scoperta di un giro di fatture false e/o "gonfiate" per oltre 75 milioni di euro, aventi ad oggetto prestazioni di sponsorizzazione in favore di due note società di basket di livello nazionale, di cui una imolese e l'altra, femminile, con sede in Parma.
Al pagamento della fattura (da parte dello sponsor alla società inglese), seguiva la retro-restituzione di parte del corrispettivo nuovamente allo sponsor, attraverso una preventiva serie di transazioni di valuta in più stati esteri attuata con l'obiettivo di dissimularne l'illecita provenienza.
Tali fatture false venivano emesse da società appositamente costituite a Londra (ove esisteva solamente un mero recapito), ma di fatto organizzate, gestite e dirette a Bologna, le quali avevano acquistato, ad un corrispettivo irrisorio e senza "esclusiva", i diritti di sfruttamento dell'immagine e degli spazi pubblicitari delle due società di basket.
Queste società "fittiziamente straniere", giovando della propria esterovestizione, emettevano fatture senza applicazione dell'IVA e non presentavano in Italia alcuna dichiarazione fiscale conseguendo, in tal modo, una milionaria evasione d'imposta.
A loro volta, gli sponsor, ricevuta la fattura, effettuavano i relativi pagamenti attraverso bonifici bancari su conti correnti accesi presso istituti di credito londinesi da cui, l'organizzazione criminale, li dirottava immediatamente con successive transazioni valutarie su conti correnti bancari aperti nel Principato di Monaco e, con ulteriori transazioni, infine, nella Repubblica di San Marino su conti accesi a nome di varie società di comodo e con l'interposizione di vari soggetti "prestanome".
Da tali conti, il denaro veniva prelevato in contanti per essere poi materialmente riconsegnato agli sponsor i quali, oltre a fruire dell'illecita deduzione fiscale della fattura "gonfiata" conseguivano l'ulteriore vantaggio di rientrare in possesso di gran parte delle somme inizialmente corrisposte alla società estera per la sponsorizzazione.
Ad entrambi i presidenti delle due società di basket viene contestato un ruolo determinante all'interno dell'associazione criminale poiché erano loro stessi a procacciare direttamente gli sponsor (tra l'altro, non per conto delle società di basket bensì a favore della società inglese) provvedendo, inoltre, alla materiale consegna delle fatture false e dei relativi contratti simulati di sponsorizzazione.
L'attività condotta dalle Fiamme Gialle bolognesi s'inquadra nelle rinnovate linee strategiche dell'azione del Corpo, volto a rafforzare il contrasto e la reale aggressione patrimoniale ai più complessi fenomeni di frode – anche internazionale - ed alla tutela della collettività.
L'evasione, di fatto, non solo comporta un ingente danno all'Erario per le imposte non versate, ma incide anche sull'intero circuito economico in virtù della distorsione dovuta dalla vendita di beni/servizi ad un prezzo nettamente inferiore rispetto a quello di mercato, proprio in ragione del mancato versamento delle imposte dovute.
Infatti, tali comportamenti fraudolenti, pervadono la struttura economica del Paese, generando illeciti benefici patrimoniali in danno agli imprenditori onesti, che subiscono lo svantaggio concorrenziale fraudolento.
(Bologna 24 settembre 2018)
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