Come avevamo già avuto modo di scrivere in occasione della serata con protagonista Enzo Iacchetti all’Ecomuseo “Terre d’acqua fra Oglio e Po” di San Matteo delle Chiaviche, frazione del Comune di Viadana, tra gli scopi di “Musica in Castello” c’è anche quello di far conoscere e promuovere alcuni scrigni di cultura disseminati nel sempre più largo raggio di copertura della rassegna culturale estiva (33 comuni di 7 provincie in 4 diverse regioni) promossa 20 anni fa dal fondatore e direttore artistico Enrico Grignaffini.
Questo percorso ci ha portato, ad esempio, venerdì sera 28 luglio 2023, a conoscere Rio Saliceto, piccolo comune della Pianura Padana Reggiana, che secondo Wikipedia – che come fonte cita i dati provvisori Istat del Bilancio demografico mensile anno 2023 – conta 6.005 abitanti. Il toponimo deriva dal canale (Rio), che divideva il territorio con quello di Carpi e dai salici palustri che sorgono nella zona. Prima di arrivare percorriamo parte proprio dell’itinerario che ci aveva condotto, allora, a San Matteo delle Chiaviche, ossia la Cispadana, salvo deviare poco prima di Guastalla: all’arrivo ci accolgono delle eleganti e ben curate rotonde all’interno delle quali persino alcune viti a personalizzare un territorio caratterizzato oltre che per il Lambrusco (declinato alla Sorbara), la prelibata uva Ancellotta (vitigno a bacca rossa. E poi l’arrivo in centro storico, con edifici rurali ben ristrutturati e curati e nelle vie centrali, chiuse al traffico, mercatini, aperitivi e cene en plein air con commercianti e ristoratori locali.
Ma il vanto del Sindaco, Lucio Malavasi, è la sede del Palazzo Municipale, un edificio in stile neoclassico progettato dall’Ing. Giuseppe Aimi su indicazione e supervisione di Pier Giacinto Terrachini ed inaugurato nel 1889, e poi ristrutturato nel 1983-84: “Questa è una architettura del 1863, simbolo del nostro Comune da tanti anni, è una specie di Pantheon…”, dice, orgoglioso, dal palco. Sulla facciata principale, lungo la trabeazione del timpano, sono collocati otto medaglioni di terracotta raffiguranti i volti dei fondatori del comune, sopra il portone di accesso principale è posta una lapide commemorativa dei caduti della Prima guerra mondiale e, nelle lunette del basamento del colonnato, è presente un monumento in onore ai caduti nella lotta di Liberazione dal nazifascismo.
“Io sono molto contento di vedere questo colpo d’occhio: – ha così proseguito, nella sua prolusione, il primo cittadino riesce – quando vado in villeggiatura e vedo le piazze piene, provo un po’ di invidia, perché noi non siamo un paese turistico, ma questa sera l’invidia sparisce perché ci siete voi e siete davvero in tanti, anche arrivati da fuori, ci sono i nostri commercianti là più avanti , c’è un paese green nel senso che le macchine sono ferme e quindi possiamo respirare aria pulita, anche se siamo nella Pianura Padana. Ringrazio Musica in Castello, perché grazie a loro possiamo avere spettacoli di questa levatura con artisti di grande spessore, perché altrimenti, da soli, noi non ce la potremmo fare”.
Musica in Castello, senza l’aiuto degli enti locali (e degli sponsor) non potrebbe, da 20 anni, offrire spettacoli culturali ad ingresso gratuito per il pubblico, chiamato solo a dare un sostegno con un’offerta a favore di Pangea Onlus, che aiuta le donne che vivono una condizione di violenza (fisica, psicologica, economica) ascoltando i loro bisogni e offrendo, attraverso progetti specifici, risposte concrete grazie all’accoglienza, la protezione, l’assistenza legale e una fitta rete di servizi che ne favoriscano un percorso di autonomia economica e lavorativa.
Eleonora Ripa, Assessore all’Ambiente e al Commercio, aggiunge: “Musica in Castello è una rassegna preziosa perché porta in giro la cultura – parola, teatro, musica e tanto altro – che ci arricchisce. La conoscenza e cultura sono strumenti potentissimi, fanno aumentare il pensiero critico nelle singole persone, portandole a prese di coscienza, di posizione. Ma il singolo individuo, poi, influenza la collettività e questo è importante, specie in questa epoca di fake news e click bait. Abbiamo, dunque, a disposizione un’arma affilatissima che noi possiamo e dobbiamo utilizzare per il bene comune. E con questo animo mettiamoci all’ascolto delle nuove chiavi di lettura di questo spettacolo…”
Lo spettacolo che ci ha portato a Rio Saliceto si chiama “Pinocchio Confidential” ed è una lettura della celebre fiaba di Carlo Collodi, (al secolo Carlo Lorenzini), rivisitata da Lella Costa. L’attrice, appena si accendono i riflettori su di lei, vestita di una comoda simil galabeya estiva variopinta, spiega: “140 anni fa la casa editrice Giunti di Firenze diede alle stampe la prima edizione del volume dedicato a Pinocchio: per celebrare la ricorrenza, visto il rapporto privilegiato mantenuto – malgrado anche altri editori dopo i 75 anni dalla morte abbiano potuto a propria volta pubblicare – hanno deciso di realizzare un cofanetto, che dai primi di settembre sarà in libreria, e curiosamente han chiesto a me di registrare l’audio, quindi di leggere tutto il testo, arricchito dalle musiche di Paolo Fresu, musiche che sentirete anche questa sera. E proprio leggendo questo testo meraviglioso, così ricco e pieno di fantasie e di sorprese e di ironia, con Gabriele Vacis, amico e complice, abbiamo realizzato questo progetto – stasera è una delle prime date – in cui facciamo emergere quante di queste intuizioni, storie ed escursioni ci riguardino ancora oggi: spero resterete sorpresi ed affascinati come è successo a me”.
Una di queste similitudini, che piace parecchio agli appartenenti ad un certo tipo di attuale corrente di pensiero, riguarda il fatto che Pinocchio non sia il figlio di una classica famiglia tradizionale, bensì il frutto di una relazione (non proprio sentimentale, dal momento che non esitano a darsele di santa ragione, salvo, poi, rappacificarsi immediatamente) tra il papà Geppetto, creatore e padre spirituale del celebre burattino, e Mastro Ciliegia, falegname, che gli regala il pezzo di legno grezzo da cui avrebbe realizzato la sua opera. Lella Costa chiosa: “Io penso che siamo al cospetto della prima e più formidabile famiglia queer della storia”. Per chi non fosse avvezzo a queste definizioni, in soldoni, potremmo aiutarlo dicendo che questo termine generico, queer, viene usato da una persona della comunità LGBTQ+ che non vuole dare un nome alla propria identità di genere e/o al proprio orientamento sessuale e viene utilizzato per indicare coloro che non sono eterosessuali e/o non sono cisgender. Robe moderne, insomma, che nel lontano 1881, probabilmente, non si pensavano neanche…
1881: è questo l’anno in cui per la prima volta appare su un serio quotidiano toscano, Il Fanfulla, (nulla a che vedere con il dissacrante Vernacoliere) l’inserto per i più piccini con protagonista il ceppo di legno evoluto pensato da Collodi, che aggiungeva la sua firma sullo stesso foglio che ospitava quelle d’eccellenza di D’Annunzio, Verga e Carducci. Lella Costa ripercorre alcuni fatti salienti di quel 1881, e ne trae spunti, un filo sarcastici, di stretta attualità: “1881: muore Dostojevski, ma pare che non ci siano stati funerali di stato, né giorni di lutto nazionale”. E aggiunge: “in quel periodo capitava spesso che qualche anarchico facesse fuori una qualche testa coronata: ebbene, nel 1881 questo avverso destino capita allo Zar Alessandro II che viene ucciso appunto da un anarchico, e quindi viene a morire lo Zar di tutte le Russie: evidentemente a quell’epoca era più facile liberarsi dagli zar di tutte le Russie…”. Sembrano riconoscibili Berlusconi e Putin…
Il racconto della genesi ci porta alle zuffe cagionate proprio dal delinquente ligneo (definizione di Costa & C, decisamente più carina del pezzo di merda, rivolto al nostro in più occasioni, per rimarcarne l’egoismo e tutti gli altri difetti che raffigura), quando questi, ancora, non aveva assunto le sembianze simil-umane di burattino, ma appunto era solo un ceppo, sia pure già parlante e dotato di vita propria. E’ infatti lui a provocare i due padri che si azzuffano e si rappacificano dopo essersi dati dei nomi (specie Polendina che faceva andare su tutte le furie l’impermalito Geppetto): alla fine di una di queste scaramucce ognuno dei due contendenti si ritrova tra le mani la parrucca dell’altro e Lella Costa (“ma cos’era? Un bisticcio tra drag queen anziane? Un programma condotto da Alba Parietti?”) rimarca come, pur essendo entrambi poveri in canna, tutti e due condividessero il vezzo di portare la parrucca, gialla color polenta valsugana, Geppetto, brizzolata e dunque più naturale Mastro Ciliegia. “Strappare la parrucca al padre – spiega Lella Costa – è come portar via il casco di penne di Toro Seduto o arare la testa di mais di Donald Trump, che pare abitata da non si sa chi o cosa… Insomma Pinocchio ha portato via lo scalpo a suo padre: è un libro dell’800, ma siamo già in zona Recalcati e Collodi lo ha capito un secolo e mezzo fa…”
Quando papà Geppetto, nella sua bontà sorvola e fa finta di non avvedersi dei primi dispetti del nascituro, tra cui, appunto, quello di portargli via i capelli posticci, si busca il rimbrotto della monologhista: “Geppetto ha già assunto tutte le caratteristiche del padre assente, che anziché intervenire sul ragazzo difficile fa finta di nulla, anziché buttarlo nel fuoco come sarebbe stato meglio…”. Sul ragazzo difficile, nella rivisitazione del capolavoro collodiano di Lella Costa, in scena a Rio Saliceto, non intervengono i dotti, medici e sapienti, al cui capezzale, invece, erano andati, oltre che nell’originale, anche in quella musicale evergreen di Edoardo Bennato in Burattino senza fili. Ci sono, invece, i conigli becchini che fanno il viaggio a ufo, poiché Pinocchio, dinnanzi al dilemma bevo la medicina o ci lascio le penne, opta, infine, per la prima soluzione, caldeggiatagli, prima, invano, dalla bambina dai capelli turchini…
Circa la Fatina, Lella Costa rimarca qualche contraddizione e come questa, comunque, appartenesse al momento dei più, fin dal primo incontro con Pinocchio, quando dalla finestra della sua casa gli risponde: “Qui sono tutti morti e sono morta anch’io”, insomma una fantasma, poi inspiegabilmente resuscitata dopo che il burattino ne aveva pianto la morte sul sepolcro. Così come risorto sarà pure il Grillo Parlante – mentre lo interpreta Lella Costa prende in prestito la voce di Tina Pica – che lo stesso burattino aveva schiacciato con un martello qualche capitolo prima… Misteri inestricabili dell’amato libro, di cui via via passano vari personaggi, come Mangiafoco che si intenerisce e starnutisce, quando Pinocchio gli chiede di risparmiare il suo amico (peraltro appena conosciuto) Arlecchino che il padrone del teatro avrebbe voluto dare alle fiamme in suo luogo, per scaldare il montone che stava cucinando e poi avrebbe mangiato mezzo crudo, risparmiando i burattini con cui avrebbe voluto alimentare il fuoco. E’ proprio il commosso Mangiafoco (facendo la vittima, Pinocchio gli aveva parlato del suo povero padre…) a consegnargli le cinque monete d’oro…
Quelle cinque monete d’oro zecchino che il Gatto e la Volpe vorrebbero portargli via con l’inganno del Campo dei Miracoli prima (convincendolo a seminarle nel terreno, dove poi si sarebbero moltiplicate) e con le cattive, poi, nei panni riconoscibilissimi degli assassini, di cui Pinocchio asserisce di non aver paura, perché non esistono, essendo una invenzione dei grandi, salvo mutare parere nel momento in cui – o la borsa, o la vita – ci si imbatte veramente… C’è anche Lucignolo, diventato, dopo l’esperienza nel Paese dei Balocchi, un ciuchino come lui, prima di salvarsi e rimasto incriccato nella configurazione somaro da cui, viceversa, non riesce ad uscire. Anzi, ci lascia la pelle, proprio dopo essersi parlati in dialetto asinino. Ma lo stronzetto di legno, tutto preso nella sua metamorfosi, non versa per lui una lacrimuccia, né lo seppellisce: ora ha tutta una serie di progetti, si mette a lavorare per accudire il suo babbino e studia (un primo esempio di alternanza scuola lavoro), impara leggere e scrivere per diventare un autentico personaggio del 900 pronto per la Repubblica fondata sul lavoro…
Lella Costa, maliziosamente, accenna, anche, al tratto distintivo di Pinocchio, ossia il naso: “che cresce, cresce, cresce e diventa un nasone che non finisce mai… Secondo me, oggi, far leggere una cosa del genere ai preadolescenti c’è il rischio concreto – già noi (ammette) avevamo pensato a quella simbologia là… – che pensino a qualcos’altro, perché qual è l’organo del corpo umano che mentre lo tocchi cresce? E oggi, a 9 anni, già guardano YouPorn e a 12 anni creano contributi auto-prodotti su Only Fans… Credo proprio che a nessuno di loro oggi, verrebbe in mente un re, ma, semmai, se va bene Rocco Siffredi…”.
Lella Costa, dunque, ci ha accompagnato, mano nella mano, in questo viaggio straordinario nelle avventure di Pinocchio, tirando fuori, dal grande classico, nuove chiavi di lettura di questo racconto che compie sì 140 anni, ma che resta straordinariamente moderno. Con la sua consueta cifra artistica, Lella Costa, ha analizzato, scomposto e ricomposto il testo di Collodi per cercarne i temi profondi che lo rendono, ancora oggi, universale e paradigmatico. Il piccolo burattino, continua ad insegnarci la più grande delle lezioni, ossia, che per la salvezza occorre la verità, la conoscenza e il rispetto, e che è necessario attraversare e coltivare la disobbedienza poiché essa ci aiuta a diventare esseri umani, autentici.
Foto di Michele Bussolati
Prossimo appuntamento, giovedì 10 agosto 2023, a Sabbioneta (MN) in Piazza Ducale, I LUF in: Tornando al monte – Verso un altro altrove.