Premio Sant'Ilario 2019 – Una Medaglia d'oro, sette Attestati di Civica Benemerenza e una Menzione Speciale. (Foto di Francesca Bocchia)
Parma 13 gennaio 2019. Parma ha celebrato il proprio patrono, Sant'Ilario, all'Auditorium Paganini, dove si è svolta la cerimonia solenne di consegna della medaglia d'oro e degli attestati di civica benemerenza e, novità di quest'anno, della menzione speciale. La cerimonia è stata trasmessa in diretta streaming sulla pagina Facebook del Comune di Parma.
La medaglia d'oro è stata conferita ad Albino Ivardi Ganapini. Sono stati consegnati sette attestati di civica benemerenza a: Davide Bollati, Federazione Maestri del Lavoro d'Italia Consolato Provinciale di Parma (ha ritirato il riconoscimento il presidente Elio Giovati), Kiara Fontanesi, Help For Children Parma (ha ritirato il riconoscimento il presidente Giancarlo Veneri), Luigi Roncoroni, Franca Tragni e Carlo Ferrari e all'Associazione Seirs Croce Gialla Parma Onlus (ha ritirato il riconoscimento il presidente Lugi Iannaccone) . La menzione speciale è stata assegnata alla famiglia Spaggiari (Giancarlo e Roberto Spaggiari).
(I premiati e le motivazioni: LINK)
La cerimonia è stata aperta dal presidente del consiglio comunale, Alessandro Tassi Carboni, che ha ricordato la leggenda del Santo Patrono Sant'Ilario. E' seguito, come tradizione, l'intervento di Enrico Maletti che ha letto una poesia in vernacolo. La cerimonia è stata contraddistinta dell'esecuzione dell'Inno Nazionale e dall'esecuzione di alcuni brani a cura del Coro Storie dai Monti, diretto dal Maestro Gianluigi Giacomoni.
IL DISCORSO DEL SINDACO
Concittadini e autorità, buongiorno a tutti.
Vi ringrazio per essere presenti in un giorno così importante e sentito.
Ringrazio per la presenza le istituzioni di Parma, le forze imprenditoriali e della società civile, i consiglieri comunali e la giunta.
Ringrazio i miei concittadini, numerosi e interessati a conoscere le storie di chi riceverà la menzione, le benemerenze, e il premio Sant'Ilario.
Ringrazio a nome di Parma e dei parmigiani chi sarà insignito della menzione, della civica benemerenza e della medaglia d'oro, simboli di sacrificio, impegno e tenacia.
Di sacrificio, perché la vita è fatta anche di fatiche e di rinunce.
Di impegno, perché le cose migliori si ottengono con la passione.
Di tenacia, perché si cade mille volte ma mille e una ci si rialza.
Sacrificio, impegno e tenacia sono state le modalità attraverso cui Parma si è fatta spazio nella storia.
Un cammino che ha richiesto tanto tempo e molta costanza.
Questo cammino noi lo chiamiamo progresso.
In linea con il nostro modo d'essere, riceverà i riconoscimenti chi ha saputo valorizzare il suo buon nome nell'arco di una vita intera, perché occorre il tempo di una vita affinché germoglino i buoni esempi da imitare.
Il detto: "Roma non fu fatta in un giorno" vale per chiunque di noi, dall'imprenditore al sindaco, dall'atleta allo studente, dal dipendente al libero professionista: per progredire e farsi spazio nel mondo occorrono tempo e coraggio.
Così, per prosperare una città ha bisogno di molti anni. Anni in cui le maniche devono essere rimboccate.
Eppure questa è l'epoca in cui le certezze si sono spezzate, in Europa e nel mondo il paradigma del progresso è stato ribaltato.
Non più la pazienza di edificare; non più il tempo di imparare; non più il sangue freddo di realizzare:
oggi si è convinti che i problemi abbiano soluzioni facili, per giunta che si potrebbero risolvere di colpo.
Che si devono risolvere di colpo.
Si ha sempre meno fiducia nel progresso, perché il progresso deve essere immediato.
Non si vive più per edificare la società del domani, ma per vivere il "qui e ora".
Di questo disegno distorto, tutti condividiamo un pezzo di responsabilità: l'Europa, le istituzioni, la politica, la società, ogni cittadino.
Abbiamo disegnato un mondo in cui Bruxelles o Roma sono più vicine a Piazza Affari che alle periferie delle nostre città; in cui il pezzo di terra davanti a casa racchiude tutto ciò che ci potrebbe interessare; ormai ci chiediamo solo che cosa lo Stato può fare per noi, ma non cosa noi possiamo fare per lo Stato.
Abbiamo abbandonato la via del progresso per ricevere in cambio parole accomodanti e promesse immediate.
Ma nessuno sfugge alla realtà: la politica resta l'arte di coniugare gli ideali con il mondo del realizzabile.
Se oggi siamo qui è per rendere omaggio a persone che hanno rivolto le intuizioni e il sapere sul sentiero del progresso.
Un sentiero stretto che si percorre giorno dopo giorno, nella polvere e nel sudore, lungo un arco di tempo che dura quanto è necessario che duri.
In controtendenza rispetto alla moda dell'epoca, negli ultimi anni Parma ha scelto il progresso, consapevole che è un viaggio difficile ma redditizio.
Scegliendolo ha messo in conto che il cammino ha avuto un inizio ma non avrà una fine, perché la via del progresso è un viaggio continuo. Lo spirito del progresso ci parla di un perpetuo movimento in avanti.
Siamo tutti in attesa e in grande fermento per Parma Capitale Italiana della Cultura 2020.
Abbiamo trascorso mesi di lavoro incessante sin dal momento della candidatura, quando la sfida sembrava impossibile.
Davanti a noi ci saranno altrettanti mesi che richiedono impegno e dedizione non comuni.
Nelle strade, nelle piazze, negli uffici e nei luoghi della cultura c'è fermento, si respira voglia di vita.
C'è il sogno di poter regalare all'Italia che ci osserva l'anno più bello che Parma avrà da almeno vent'anni.
L'anno della Capitale non è arrivato per caso, per fortuna o per fatalità, ma grazie a un mix di competenza e intuizione. Ci siamo arrivati compiendo i passi giusti uno alla volta, perché essere Capitale Italiana non è un premio ma un merito.
Il merito di chi come il settore Cultura e il suo assessore hanno saputo concentrare gli sforzi in un mese intenso di lavoro, che ci ha condotto alla candidatura.
Il merito di grandi forze imprenditoriali e sociali che ringrazio e saluto, perché hanno messo in campo energie, intelligenza e saper fare.
Il merito del mondo universitario, che ci ha fornito scienza e conoscenza.
Il merito di un Comitato Scientifico per Parma Capitale di assoluto prestigio. Qui voglio rivolgere un commosso ricordo alla memoria di Bernardo Bertolucci, membro del Comitato e ultimo grande Maestro del Cinema contemporaneo:
Bernardo, ovunque tu sia Parma ti ringrazia, perché l'hai portata nel mondo e dal mondo l'hai fatta amare.
Il merito, infine, della nostra città che in sei anni si è rimessa in carreggiata, raddrizzando le storture e lanciandosi consapevole verso le sfide del mondo odierno: saper fare cultura, essere città internazionale, rilanciarsi nell'immagine e riformulare i propri obiettivi.
Ecco che cosa significa essere Capitale Italiana della Cultura: il progresso di chi ha saputo essere formica e non cicala, avendo la pazienza di costruire, passo dopo passo, il proprio successo.
Il 2020 sarà un anno fondamentale per Parma e l'Emilia Romagna, ma all'alba di questo 2019 sento il dovere di affermare che dobbiamo guardare già oltre.
Il 2020 non è come l'ultimo giro di valzer, né la grande festa di capodanno, che nelle piazze lascia il vuoto e il silenzio di chi ha dato tutto e ritorna alla vita di ogni giorno.
Se così fosse, tradiremmo l'idea stessa di progresso.
Noi guardiamo dalla parte dell'alba e della nascita: il 2020 sarà l'anticipazione di cosa sarà Parma nei prossimi 10, 20 e 30 anni.
Parma 2020 è importante, ma lo sarà ancora di più Parma nel 2030, perché il progresso ci chiede di guardare oltre gli orizzonti e di non sederci al tavolo di chi si accontenta.
Il progresso si realizza quando non pensiamo al traguardo di oggi, ma a quello di domani.
Un detto infatti recita: C'è qualcuno seduto all'ombra oggi perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa.
Faccio appello alla gente di Parma che si rimbocca le maniche, alle forze imprenditoriali, all'Università, alle istituzioni e a tutti i parmigiani che amano questa nostra grande città:
il futuro non appartiene a chi si accontenta dell'oggi, noi prepariamo la città che ci meritiamo secondo i nostri sforzi. Se viviamo nella passività e nella pigrizia, domani i nostri figli vivranno nella frustrazione.
Il futuro appartiene a chi sa mescolare sudore, passione, ideali e visione.
Il domani va edificato nello stesso modo in cui abbiamo ottenuto i successi più importanti: con una salda alleanza tra pubblico e privato, che da questo palco sancisco e rinforzo.
L'amministrazione comunale è il volto istituzionale della città, i parmigiani e le associazioni ne rappresentano il volto umano che dà la misura dello stile di vita, le forze private invece ne sono il motore.
È questa l'alleanza che serve a Parma per crescere in Italia e nel mondo:
Parma 2020 è alle porte ed è il traguardo di un percorso compiuto negli anni, ma il giorno successivo rappresenta la sfida che dobbiamo affrontare insieme.
È la sfida per il progresso, che chiede alla politica e alla città risposte ai problemi odierni, ma con lo sguardo rivolto al domani.
Se Parliamo di Parma tra 10 anni dobbiamo essere consapevoli di vivere in un mondo instabile: anno dopo anno il suo volto muta col mutare degli eventi sociali ed economici.
Il fenomeno migratorio, la rabbia nelle periferie, l'altalena economica, la richiesta di cambiamento e di sicurezza, l'Europa lontana, il riemergere di nostalgiche visioni politiche.
Quando tutto si trasforma accade che qualcuno rimanga indietro, e qualcun altro governi il cambiamento. Alcune città si fanno spazio, altre si eclissano lentamente.
Milano cresce, Roma no.
Parma non resta alla finestra e richiama a sé un'esigenza: la competitività.
Non c'è altra via per il progresso.
Certo, potremmo dirci: "restiamo una città di provincia e accontentiamoci di vivere dei nostri bisogni: un Festival Verdi a misura di parmigiano, un'industria a misura di parmigiano, un panorama culturale a misura di parmigiano, una qualità della vita da città media e un'offerta turistica di corto respiro, magari solo per gli emiliano-romagnoli".
C'è chi oggi ha preso questa strada. Liberissimi di farlo.
Ma guardiamoci negli occhi: noi nella storia ci siamo mai accontentati di questo? No.
Ora abbiamo un Festival Verdi riconosciuto a livello internazionale; abbiamo aziende di servizi e industriali leader nel mondo; un'offerta culturale da Capitale Italiana, una qualità della vita sempre tra le più alte nel Paese, un turismo finalmente europeo e tuttora in crescita.
La competitività richiama il progresso, il progresso la competitività.
In un mondo senza certezze Parma non può permettersi di essere marginale.
Perciò per affermarci in Italia e in Europa, Parma del 2030 dovrà reggersi su tre pilastri: qualità della vita, vocazione internazionale, rispetto e salvaguardia della parmigianità.
Qualità della vita
Per assicurare un'alta qualità della vita non è più sufficiente garantire servizi migliori.
Calvino diceva che una città riceve forma dal deserto a cui si oppone.
Cementificazione, mobilità selvaggia, smog intollerabile, periferie sorte senza coerenza, ambiente maltrattato, fare debito senza produrre crescita: sono il deserto a cui le città, il Paese e l'Europa si devono opporre.
La difesa dell'ambiente è una delle grandi sfide di quest'epoca, forse la più grande e la più difficile. Noi ci saremo.
Nel 2015, Parma era all'incontro mondiale dei sindaci e delle città a sostegno degli accordi mondiali di Parigi sulla difesa del clima e della qualità ambientale.
Come siamo stati presenti all'incontro organizzato dal Vaticano, sempre sui temi dell'ambiente, a seguito dell'enciclica "Laudato sì" alla presenza di Papa Francesco.
Andremo avanti in quella direzione, unendo sviluppo e qualità.
Dei tre pilastri, questo sarà quello portante perché darà forma e sostanza alla città del 2030.
A cosa ambiamo? La risposta arriva dalle riforme in atto.
Avremo una raccolta differenziata oltre l'80%, un consumo di suolo "verde", cioè pari a zero, periferie legate al centro da corridoi ciclabili e autobus ecologici, un pass digitale di accesso alla città e una mobilità nuova, libera per il cittadino ma limitata alle auto sin dalle tangenziali.
Ancora: scuole ecosostenibili, luoghi della periferia riqualificati con progetti pubblici e privati - come già avviene per l'ex Bormioli e il Workout Pasubio -, cittadinanza digitale nei servizi, nel welfare e nel pagamento delle imposte.
Una città che unisce la qualità della vita alla difesa dell'ambiente, e la difesa dell'ambiente al progresso: le imprese sceglieranno Parma perché metterà al primo posto il benessere di tutti.
Sono riforme che compiremo senza passi indietro, né per consenso né per altre ragioni.
L'Italia sembra essere diventata il Paese dei "faremo" e delle finte rivoluzioni. Lo abbiamo vissuto recentemente con il dietrofront del blocco degli euro 4, con i Comuni della Romagna che si sono sfilati all'ultimo per paura delle elezioni comunali di primavera.
Non accadrà più.
Chi ha fatto il passo indietro deve sapere che la politica non è tutto, l'ambiente e una amministrazione che guarda al benessere dei suoi cittadini, non guarda al consenso del momento.
Vocazione internazionale
Benessere e qualità della vita rappresentano l'intimo della città, invece la vocazione internazionale ne è l'immagine esteriore, quindi la sua dimensione di crescita.
Vogliamo superare definitivamente i limiti di piccola provincia per essere città europea: del benessere e dell'impresa, della cultura e del turismo, dell'Università e della ricerca.
L'abbiamo affermato più volte: il tempo dei campanili è al tramonto.
Visioni politiche contrarie al progresso pensano che isolarsi sia la risposta ai problemi della crescita economica, dello sviluppo, della sicurezza, della salvaguardia delle eccellenze.
Pensano a Parma o all'Italia come fortezze divise dal resto del mondo, convinti che per vivere in pace sia sufficiente far da sé, agendo isolati.
Ma quanto può contare il Pil italiano rispetto a quello del Brasile, degli Stati Uniti o della Cina?
Quale reale competitività può avere una Nazione di 60 milioni di abitanti a confronto con Paesi con 200 milioni, 300 milioni e 1 un miliardo di abitanti?
Isolarsi in un mondo che cresce significa rifiutare la via del progresso e temere il futuro, è mancanza di fiducia nel presente per rifarsi a un passato tranquillo che, in realtà, non è mai esistito.
Essere sovrani nel proprio orticello, circondati da un mondo caotico, non ci salverà.
Ecco perché esiste l'Europa ed ecco perché, più in piccolo, abbiamo abbandonato i porti del provincialismo.
La dimensione di una Nazione come di una città deve essere europea.
Oggi la sfida non è guardare cosa fanno le città vicine, ma competere con Firenze o Verona, Monaco o Copenaghen, Stoccolma o Edimburgo. Pensare in grande.
Lo faremo saldando alleanze con le antiche rivali: Reggio Emilia e Piacenza. All'indomani della nomina a Capitale abbiamo chiesto loro di essere partner della sfida.
Non ci siamo tenuti la vittoria, né abbiamo ceduto alle sirene del campanilismo: abbiamo condiviso le opportunità.
L'alleanza nasce per dare vita a un'Area Vasta che abbracci l'intera Emilia occidentale quale polo di sviluppo, attrattività, turismo e comunicazioni.
Si chiama, ancora una volta, progresso, che vuol dire benessere e qualità della vita ma anche fiducia e crescita.
Se tutti insieme saremo capaci, e lo saremo, di realizzare questi propositi, penso che dopo il 2020 potremo ambire ad altre candidature di titoli europei, e non solo italiani.
Le opportunità di crescita e promozione internazionale non dipenderanno solo da Parma, ma anche dalle scelte politiche del governo, che ha il dovere di non tagliarci le nostre risorse, né di mettere in difficoltà la crescita delle città, vero motore delle Nazioni.
Dirò quello che ho già sostenuto in passato: se il governo saprà ascoltare le esigenze dei Comuni, avrà in Parma una interlocutrice. Se il governo non ascolterà i territori tagliandoci le risorse per dirottarle a Roma, Parma ne trarrà inevitabili conclusioni e risponderà con fermezza.
Parmigianità
Ora chiediamoci: essere una città a vocazione internazionale significa snaturare le proprie tradizioni e il modo di vivere?
La risposta è chiara: no.
Parmigianità e dimensione internazionale possono e devono convivere.
Maria Luigia diceva di noi:
I Parmigiani sono la più gran buona pasta del mondo, generosi di cuore e di spirito, anche se di lingua pronta e tagliente. Non sopportano le offese ma non sono permalosi: hanno affabilità, cortesia, gaiezza e amano il bel vivere e la buona tavola.
Duecento anni sono trascorsi da allora, sono caduti e sorti nuovi imperi, l'Italia è diventata una Nazione, due guerre mondiali sono state combattute, ma direi che non siamo cambiati di una virgola.
Se c'è qualcosa che amo di più dell'indipendenza è appartenere alla mia terra.
Appartengo al profumo caldo della buona tavola, alla musica di Verdi sotto la Pilotta, ai grilli del Ducale in un pomeriggio di sole, alla cordialità di un saluto in dialetto, all'orgoglio un po' altezzoso di essere stati Ducato, alla malvasia e agli anolini fumanti.
Fanno parte di me come, sono sicuro, di ognuno di voi.
Esci da Parma e ti dicono: "questi parmigiani campanilisti, questi provincialotti che si sentono grandi". Essere campanilisti vuol dire non avere occhi per il progresso.
Il nostro si chiama orgoglio. La parmigianità è l'affermazione di una realtà che si è fatta storia.
Parmigianità è il modo di vivere e di essere dei parmigiani: caschi il mondo o si inverta l'asse terrestre, non ce la toglie nessuno.
Siamo custodi gelosi delle tradizioni e della città, ma solidali con gli ultimi e generosi con chi chiede aiuto, perché figlie e figli di Padre Lino.
Siamo donne e uomini che difendono la libertà, perché sul greto del torrente nessun uomo e nessun tempo cancellerà la scritta: "Balbo t'è pasè l'Atlantic mo miga la Perma" ("Balbo, hai passato l'Atlantico ma non la Parma").
Siamo lavoratori instancabili che alzano la saracinesca all'alba, che dalla piccola bottega arrivano a insegnare i segreti della qualità dagli Usa al Giappone.
Siamo persone che apprezzano il benessere e la bellezza, che portano sul palmo di mano la propria città e che ovunque si trovino nel mondo, prima dell'Italia la propria casa è Parma.
Siamo, e saremo sempre, la città dei diritti. E sui diritti Parma non compirà nessun passo indietro, perché un diritto in più significa un passo in più verso il progresso.
Il progresso è benessere e qualità, fiducia e crescita mantenendo viva la fiamma delle nostre tradizioni.
Conclusione
Ecco, alla fine, il percorso che ci condurrà alla Parma del 2030: qualità della vita, vocazione internazionale e salvaguardia della parmigianità.
Tutti e tre i pilastri legati da un unico destino.
Ci arriveremo continuando a unire mondi diversi ma complementari: le istituzioni, le forze private, la città con i suoi cittadini.
Ci arriveremo con un unico cuore e una sola anima, perché i tempi richiedono un cambiamento, ma il cambiamento richiede che si percorra la via del progresso.
Il progresso, infine, richiede di non ascoltare il canto delle sirene di chi garantisce una vita migliore adesso, ma di avere la giusta pazienza per edificare una Parma migliore domani.
Quando si parla di futuro nulla è scritto e tutto è da fare, ogni generazione eredita un mondo che non ha scelto.
I successi e le conquiste, i torti, le ingiustizie e gli errori: senza volerlo, ci viene chiesto di essere responsabili di questo mondo.
Alla fine quando stanchi cederemo il passo a chi viene dopo di noi, potremo dire ai nostri figli che abbiamo fatto il nostro compito.
Non me la sento di dire ai giovani: sbrigatevela voi, noi viviamo l'oggi.
Ecco perché dobbiamo occuparci di loro, se necessario ricominciando dall'inizio e guardando a un domani che non è immediato, ma va costruito.
Dobbiamo solo credere che un futuro migliore, più giusto, più equo sia possibile, e dopo averlo pensato metterci all'opera. per realizzarlo
Grazie.
Vi sono povertà che vanno ben oltre la condizione economica di un soggetto che, rapportandosi con la società, si ritrova a vivere una situazione di disagio dettata dalla propria condizione educativa. Vi sono povertà che trascurate a lungo producono un impatto negativo sul territorio, le cui ripercussioni sociali permangono e si manifestano nelle generazioni avvenire per decenni. Vi sono povertà evitabili dettate da semplici distrazioni alle quali, per porvi rimedio, basterebbero poche attenzioni ed un impegno concreto della società affinché queste si colmino divenendo risorsa.
L'esempio più noto che giunge ad oggi ed in grado di contrastare questo fenomeno cosiddetto di "povertà educativa", utile a risolvere un problema sociale dall'elevata importanza, ruota attorno a ciò che potremmo definire un miracolo: gli oratori.
Diffusissimi nella storia d'Italia ed al centro di tante e positive storie nostrane, rappresentano da secoli luoghi di incontro, crescita e comunità, in cui non solo riuscire con successo nell'aggregazione dei giovani, ma in grado di concorrere ad educare in pieno le future generazioni, basandosi su quegli imprescindibili valori cristiani certi e duraturi. Ad oggi ne risultano censiti circa 8000 con un'attività proficua che persiste dal 1500, epoca in cui ad opera di San Filippo Neri, si diede vita a questa realtà con l'idea di unire persone di ogni ceto dietro la forza motrice di un grande valore: l'amicizia.
Nell'efficace contrasto alla povertà educativa gli oratori con la sola attività di dopo-scuola prestata alle famiglie, svolgono un ruolo centrale nella formazione del minore. Prettamente incentrati sul lavoro dei volontari, gli oratori si dimostrano utili strumenti di socializzazione, affiancando alla formazione scolastica le tante attività sportive, artistiche e ludiche avviate all'interno.
E' grazie anche a simili esperienze che la nostra associazione si spende attivamente intorno al tema dei minori, cercando con proprie risorse e nei limiti dei propri spazi e tempi dei preziosi soci volontari, di dedicare sempre maggiore attenzione alle giovani generazioni, coinvolgendole in progetti, laboratori ed eventi in grado di simularne gli effetti ed i benefici, nella speranza che vi siano future generazione dall'elevata cultura, dalla profonda preparazione ma soprattutto dotati di un'ampia e benevola sensibilità verso il prossimo.
Andrea Coppola
Tesoriere e Responsabile organizzativo
Intesa San Martino
Questa volta è toccato a CARIGE. Per molto tempo è stato il quinto istituto bancario del Paese ed ora è inciampato nuovamente nello "Stress Test" di novembre scorso dove è emersa tutta la criticità delle gestioni precedenti.
di Lamberto Colla Parma 13 gennaio 2019 -
Sono infine venuti al pettine i nodi delle precedenti gestioni di una delle più importanti banche del Paese.
Carige, la Cassa di risparmio di Genova e Imperia, sino al 2012 controllata dalla Fondazione CARIGE, non ha superato lo stress test di novembre scorso e, a fronte del rifiuto dell'azionista di maggioranza (Malacalza) di provvedere al rifinanziamento dell'istituto con 400 milioni di fresche liquidità, Banca d'Italia e BCE sono immediatamente intervenute commissariando l'Istituto e subito dopo, il Governo giallo-verde, è sceso in campo per offrire le garanzie di salvataggio nel tentativo di mettere al riparo i risparmiatori.
Con un decreto fotocopia (vedi analisi AGI) a quelli che furono emanati dal PD in passato, il Governo Conte ha provveduto a creare un Fondo di Garanzia «al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria [...] il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato [...] a concedere la garanzia dello Stato su passività di nuova emissione» della banca in questione. Nel caso di Carige, l'articolo 1 fissa il limite della garanzia a 3 miliardi di euro.
Le differenza tra i due provvedimenti così posti a confronto riguardano il valore del fondo e la destinazione. I 20 miliardi di Gentiloni sarebbero serviti per tutte le banche in difficoltà, mentre i 3 disposti da Conte sono a esclusivo riscontro delle difficoltà di CARIGE.
Le polemiche, esclusivamente strumentali di cui si riempie la bocca l'opposizione in queste ore, sono solo il tentativo maldestro di riabilitarsi da un passato poco chiaro in ordine ai rapporti con le banche e le accuse che a loro furono rivolte non riguardavano certamente i provvedimenti salva banche, piuttosto tutte le interferenze nelle varie gestioni degli istituti bancari caduti in disgrazia, e le presunte o conclamate posizioni di conflitto di interesse.
Ma quello che continua a sconcertare è la costante posizione di scontro tra maggioranza e opposizione, su qualsiasi tema anche di irrilevante importanza. Al contrario mai si riesce a trovare una posizione di equilibrio per portare a casa qualche risultato positivo a favore della massa economica e della popolazione di questa bellissima penisola.
Tornando al caso CARIGE, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il rifiuto di Malacalza Investimenti, società finanziaria principale azionista di Carige con una quota del 27%, di sostenere un aumento di capitale da 400 milioni di euro che sarebbe servito all'istituto ligure per dotarsi di nuove risorse finanziarie e rimettersi in sesto. Un rifiuto motivato dal fatto che da poco la banca era stata rifinanziata con un bond da 320 milioni emesso dalla stessa banca e sottoscritto dal Fondo Interbancario, un organismo di garanzia partecipato dai maggiori istituti di credito nazionali, che serve per tutelare i correntisti e la stabilità del sistema finanziario, motivo per il quale i Malacalza, non ritennero che l'Istituto versasse in una pesante crisi di liquidità.
Ma la genesi del dissesto risale a prima del 2012, quando il deus ex machina era Giovanni Berneschi e l'azionista di maggioranza (45%) era la Fondazione CARIGE.
Il 2012 può essere considerato come l'apice ma anche il capolinea di quel poderoso e lungo progetto di crescita e di espansione della Banca ligure, infine incappata nella crisi economica globale e fortemente strozzata dal crescente peso dei "prestiti deteriorati". E' così che vennero messi in cantiere diversi aumenti di capitale che consentirono a Malacalza di crescere all'interno della quota azionaria e alla Fondazione invece di disimpegnarsi.
Ed ora siamo all'epilogo, pronta a essere acquisita da uno dei grandi gruppi nazionali, il primo che si farà avanti.
Auguriamo ai risparmiatori e soprattutto agli investitori "inconsapevoli" miglior fortuna dei loro predecessori.
Siamo comunque alle solite, a pagare è sempre "Pantalone" mentre i reali responsabili continueranno a svolazzare di banca in banca, da industria a industria, da società di rating a società di rating e a far man bassa di stipendi milionari anche in difetto di risultati se non addirittura responsabili della mala gestio.
Ai miseri mortali resta invece da versare il contributo di solidarietà!
(per restare sempre informati sugli editoriali)
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