Sabato, 15 Aprile 2023 06:46

Report sulla migrazione sanitaria: la grande fuga verso gli ospedali del Centro-Nord In evidenza

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Di Giuseppe Storti Cagliari, 13 aprile 2023 (Quotidianoweb.it)  - La Fondazione GIMBE, che non ha scopo di lucro, persegue finalità di ricerca e di analisi del mondo della sanità pubblica, in maniera indipendente, con l’unico fine di migliorare la salute delle persone e di contribuire alla sostenibilità di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico.

Un sistema sanitario pubblico equo e universalistico dovrebbe essere il fine principale dello Stato italiano, in considerazione del principio costituzionale del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.

Purtroppo, da molti anni a questa parte, non è più così.

Come rivela un’altra recente indagine della fondazione Gimbe, quasi un quarto della spesa sanitaria in Italia è ormai sulle spalle dei privati.

Mentre il divario tra Nord e Sud cresce sempre di più.

Insomma, il Sistema sanitario nazionale così come concepito dalla riforma sanitaria che l’istituì nel 1978, non esiste più.

Esistono, invece venti sistemi sanitari regionali che “assistono” i cittadini utenti in maniera diversa, spesso discriminatoria secondo i confini geografici del territorio di residenza.

Questo fenomeno, tutto italiano, si evidenzia nell’ambito della cosiddetta migrazione sanitaria.

Il report della Gimbe è uscito nel mese di febbraio di quest’anno, con l’analisi dei dati riferiti al 2020, anno della pandemia, che ha ridotto il fenomeno, ma che comunque conferma la tendenza ad una autentica fuga di tantissimi cittadini italiani, che “migrano” in altre regioni per ricevere cure migliori e prestazioni sanitarie di livello in particolare negli ospedali del centro nord.

Ovviamente le prestazioni sanitarie offerte dagli ospedali del centro-nord ai cittadini richiedenti, si traducono in un costo per le regioni di residenza, con la cosiddetta compensazione della mobilità sanitaria.

In altri termini, chi guadagna da questo sistema sono le regioni più ricche e sviluppate che per questo hanno i sistemi sanitari migliori, e che quindi con questi ulteriori introiti possono investire ancora più fondi per un ulteriore accrescimento dei propri servizi investendo in sempre maggiori tecnologie sanitarie ed in presidi e strutture sanitarie all’avanguardia.

Alcuni dati del report di Gimbe chiariscono ancora meglio la situazione.

Innanzitutto, va detto che le regioni con maggiore capacità attrattiva delle proprie strutture sanitarie, sono anche ai primi posti della graduatoria dei LEA (Livelli di assistenza sanitaria).  

La mobilità sanitaria interregionale ha raggiunto un valore di 3,3 miliardi e vede la richiesta di servizi sanitari passare dal Sud al Nord.

Tre regioni accolgono la metà della mobilità attiva: Lombardia (20%), Emilia-Romagna (16,5%) e Veneto (13%). Un ulteriore 21% viene attratto da Lazio (8%), Piemonte (7%) e Toscana (5%).

Quanto alla mobilità passiva, 3 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni di euro: in testa Lazio (14%), Lombardia (11%) e Campania (10%), mentre mancano i dati sulla Calabria.

Complessivamente, l'85,8% degli spostamenti per cure riguardano ricoveri ordinari e in day hospital (69%), seguiti dalle prestazioni di specialistica ambulatoriale (16%).

In particolare, più della metà del valore della mobilità sanitaria è erogata da strutture private, per un valore di 1.422 milioni (53%), rispetto ai 1.279 milioni (47%) delle strutture pubbliche.

Le regioni con saldo positivo superiore a 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni tutte del Centro-Sud.

In particolare, vengono classificate con saldo positivo rilevante Emilia-Romagna, Lombardia,  e Veneto; con saldo positivo moderato il Molise, con saldo positivo minimo Toscana e Friuli Venezia Giulia; con saldo negativo minimo Provincia autonoma di Bolzano, Piemonte, Provincia di Trento; con saldo negativo rilevante, rispettivamente Puglia, Sicilia, Lazio e Campania.

In particolare, per i ricoveri ordinari e in Day hospital le strutture private hanno incassato 1.173,1 milioni, mentre quelle pubbliche 1.019,8 milioni.

Lo stesso accade per gli altri tipi di prestazioni sanitarie.

Questo il quadro della situazione della mobilità sanitaria, che potremmo definire come i viaggi della speranza, da parte di cittadini che scelgono le strutture sanitarie di altre regioni per tutelare al meglio la propria salute, rispetto alle strutture sanitarie che insistono nelle zone di residenza che evidentemente non godono della loro fiducia ed aspettativa di cure di livello accettabile.

Il report della Gimbe dimostra quindi l’esistenza di una nazione: l’Italia unitaria solo di nome.

Per il resto divisa in tutto e per tutto, soprattutto nelle aspettative di vita, il che è il dato più agghiacciante.

Ad esempio, sempre in base ai dati statistici un cittadino calabrese dopo i 65 anni di età, vive in discreto stato di salute per 6 anni, mentre un residente in Toscana di contro vive in buona salute 11 anni.

Ma il vero dramma delle migrazioni sanitarie è il costo economico e sociale di chi è costretto a cercare cure e prestazioni ospedaliere “fuori le mura”.

In particolare, chi deve accompagnare propri parenti in altre regioni, si sobbarca ad oneri economici che nessuno mai rimborserà.

Una vera e propria discriminazione che i cittadini devono subire sulla propria pelle, che contraddice e viola apertamente il dettato costituzionale.

Questi dati, che crescono di anno in anno, sono un vero e proprio campanello di allarme di ciò che potrà accadere con l’attuazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata.

Se già l’Italia esiste solo come espressione geografica, volendo citare la celebre definizione utilizzata dal Principe di Metternich (diplomatico austriaco) al Congresso di Vienna del 1815, che restaurò le monarchie europee dopo la fine della Rivoluzione francese; non osiamo pensare a come sarà il nostro Paese, all’indomani della attuazione della riforma.

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