Di Matteo Pio Impagnatiello Pilastro di Langhirano, 24 novembre 2022 - L’importante evento culturale ha visto la partecipazione sia di studenti universitari, sia di utenti esterni che hanno voluto approfondire quella che oggi, con il nuovo Esecutivo, sembrerebbe essere più che un’ipotesi: la riforma costituzionale del Paese in senso presidenziale.
Certo è che la previsione presente nel programma della coalizione di centrodestra, vincitrice alle politiche del 25 settembre 2022, è generica e pone interrogativi sul modello di presidenzialismo da “adottare”.
I lavori sono stati aperti dall’avvocato Renzo Menoni, che ha introdotto brevemente sull’argomento. L’incontro è stato moderato da Antonio d’Aloia, docente di Diritto costituzionale dell’Università di Parma.
Durante le relazioni dei vari accademici, più volte è stato citato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nel suo discorso d’insediamento alle Camere, come ha anche ricordato Lucia Scaffardi, ordinario di Diritto pubblico comparato dell’Università di Parma, Meloni dichiarava: «Negli ultimi vent’anni l’Italia ha avuto in media un governo ogni due anni, cambiando spesso anche la maggioranza di riferimento. E’ la ragione per la quale i provvedimenti che garantivano sicuro e immediato consenso hanno sempre avuto la meglio sulle scelte strategiche. E’ la ragione per la quale le burocrazie sono spesso diventate intoccabili e impermeabili al merito. E’ la ragione per la quale la capacità negoziale dell’Italia nei consessi internazionali è stata debole. Ed è la ragione per la quale gli investimenti stranieri, che mal sopportano la mutevolezza dei governi, sono stati scoraggiati. Ed è la ragione la quale siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare. Una riforma che consenta all’Italia di passare da una “democrazia interloquente” ad una “democrazia decidente”.
Vogliamo partire dall’ipotesi di semipresidenzialismo sul modello francese, che in passato aveva ottenuto un ampio gradimento anche da parte del centrosinistra, ma rimaniamo aperti anche ad altre soluzioni. Vogliamo confrontarci su questo con tutte le forze politiche presenti in Parlamento, per giungere alla riforma migliore e più condivisa possibile. Ma sia chiaro che non rinunceremo a riformare l’Italia di fronte ad opposizioni pregiudiziali. In quel caso ci muoveremo secondo il mandato che ci è stato conferito su questo tema dagli italiani: dare all’Italia un sistema istituzionale nel quale chi vince governa per cinque anni e alla fine viene giudicato dagli elettori per quello che è riuscito a fare».
La professoressa Scaffardi ha posto l’accento sulle diverse accezioni del termine “presidenzialismo”, soffermandosi sul modello francese di semipresidenzialismo, spiegando che è una forma di governo ibrido ed illustrando le varie tappe storiche della storia costituzionale d’oltralpe. Infine, non ha omesso di citare l’articolo 16 della costituzione francese, che prevede “la dittatura temporanea” in casi di emergenza nazionale e la “co-abitazione” nel modello francese, ossia la situazione in cui la maggioranza parlamentare e il capo dello Stato in carica appartengono a schieramenti opposti.
Non privo di interesse è stato l’excursus storico del professor Andrea Errera, ordinario di Storia del Diritto medievale e moderno dell’Università di Parma, che ha approfondito il modello inglese e, soprattutto, quello statunitense con un’analisi del ruolo del presidente degli Stati Uniti.
In collegamento on line sono intervenuti altri due docenti universitari, Francesco Clementi, che insegna Diritto pubblico comparato nell'Università di Perugia il quale, evidenziando la crisi dei partiti politici, ha ribadito il problema vero della questione dell’instabilità politica italiana, la necessità cioè di intervenire con una riforma della legge elettorale; e Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università di Roma Tre, nominato capo di gabinetto al ministero delle Riforme, che in merito alla eventuale riforma del dettato costituzionale, ha affermato che si dovrà “rispettare, come il compromesso costituente, il volere condiviso di tutte le forze politiche”.
Appassionato e provocatorio l’intervento di Tommaso Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato e di Diritto costituzionale dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, che ha parlato di “strabismo istituzionale”, “dal 1991 e poi dal 1999 i sindaci e i presidenti di Regione sono eletti dai cittadini. Perché allora gli stessi cittadini non possono votare per il presidente della Repubblica?”. Il professor Frosini ha poi rispolverato l’idea del “premierato forte”, l’idea cioè che circolava in Francia negli anni Cinquanta e in Italia nel gruppo milanese diretto da Gianfranco Miglio e che comprendeva Serio Galeotti: la proposta, forse più consona al contesto italiano, dell’elezione diretta del primo ministro (presidente del Consiglio), modello che avrà una sua breve esperienza in Israele.
A chiusura degli interventi, è stata la volta di Luca Mezzetti, ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna, ove insegna anche Diritti fondamentali e Diritto dei Paesi islamici. Mezzetti non ha tralasciato di rilevare la confusione che regna intorno alle categorie del presidenzialismo ed ha messo in guardia in merito alla deriva che potrebbe nascere dal sistema presidenziale, proteso verso un modello presidenzialista, come nei Paesi latino-americani, dove vi è populismo, autocrazia.
In conclusione, ha ripreso la parola il professor Antonio D’Aloia che, tirando le somme su quanto fino ad allora esposto, ha suggerito semmai di “partire dalle esigenze dell’Italia e non dai modelli”, non sempre trapiantabili senza che arrechino problemi di sorta.