I Capannoni, così denominati per la loro forma a capanna, erano delle abitazioni popolari realizzate nella città ducale tra il 1929 e il 1934, destinati ad ospitare temporaneamente coloro che abitavano nei borghi abbattuti dell’Oltretorrente (storico quartiere popolare di Parma) e che non avevano trovato altra collocazione mentre procedeva la ricostruzione dei nuovi quartieri.
Ancora oggi il termine capannone, nel gergo parmigiano, sta ad indicare una persona rozza e volgare, a ricordo dello stigma di coloro che abitarono nei Capannoni. Curata dal Centro studi movimenti, dall’Università di Parma, con il contributo del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Parma, l’iniziativa culturale “ha riscosso un grande successo di pubblico: quasi 20.000 sono le persone che in questi due mesi l’hanno visitata e tante quelle che hanno espresso il desiderio di conservarne una foto o un’immagine in ricordo”, così la Gazzetta di Parma si occupava dell’evento subito dopo la sua chiusura. Il bilancio finale può certamente essere tracciato nei termini entusiastici utilizzati dall’antica testata giornalistica.
Ma, andiamo con ordine. Piegare la storia condizionandola a favore della propria ideologia, facendo emergere un racconto fazioso, non trova altro risultato che la distorsione dello svolgersi obiettivo dei fatti accaduti. Si scivola nella propaganda. Nessuno spirito libero può approvare un regime di propaganda.
Come narrano archivi privati, come comprovano gli atti normativi dell’epoca passata e le pubblicazioni che si sono occupate del periodo storico antecedente a quello che potremmo definire il risanamento dell’Oltretorrente (1928-1934), già dall’Ottocento la città di Parma si caratterizzava per la sua composizione interna. La città, infatti, era formata da due distinte città separate dal torrente che l’attraversa: l’Oltretorrente, già allora periferia abbandonata a sé stessa, da una parte; Parma nuova, che aveva le sembianze del centro di una capitale, dall’altra.
Durante il XIX secolo, gli amministratori che guidarono la città (prima il Ducato e poi il Comune) tentarono di ridurre le distanze tra centro e periferia, ma con scarsi risultati. La situazione igienico-sanitaria dell’Oltretorrente era particolarmente critica. Con l’Unità d’Italia, a Parma, dato il proprio ruolo da capitale del Ducato mutato fino a diventare una delle tante province italiane (cessarono molte attività legate alla presenza dei duchi, con pesanti ricadute occupazionali), si riscontrarono netti peggioramenti nella qualità della vita e un progressivo declino demografico nei successivi venti anni.
Nel 1885 venne emanata la legge n. 2892 del 15 gennaio, più conosciuta con il nome di legge Napoli, che consentiva interventi di pubblica utilità nelle città aventi criticità riguardo al contesto urbanistico. A Parma, gli oltre quindici anni di amministrazione del sindaco Giovanni Mariotti (nel periodo che va dal 1889 al 1914), nonostante alcune demolizioni effettuate, non risolsero il divario esistente tra le due città. La parte ovest era contraddistinta da case addossate le une alle altre, senza acqua corrente né fognature, dove nei vicoli maleodoranti la luce del sole filtrava per poche ore al giorno. Rari erano gli impianti elettrici, così come mancavano i servizi igienici.
Come attestò Franco Morini nel suo saggio “Parma in camicia nera-Storia dello squadrismo parmense” (Edizioni Zara, 1987), “risulta scontato che buona parte del leggendario ribellismo anarchico che permeava l’Oltretorrente era generato principalmente dalle inaudite condizioni di vita che i ceti più umili dovevano sopportare”.
A riprova delle condizioni insalubri, è sufficiente citare le percentuali di mortalità da tubercolosi: nella città di Parma la media era del 2.41 per mille, mentre nei borghi Carra, Cappuccini e Corridoni si arrivava a picchi del 27.7 per mille.
Lo stesso capo del Governo di allora Benito Mussolini, che conosceva Parma e le problematiche del ghetto oltretorrentino (in cui albergava la tubercolosi, l’alcolismo e l’insofferenza sociale pronta ad esplodere), intervenne sull’amministrazione cittadina, perché quest’ultima si fornisse di un piano regolatore teso a risanare il quartiere popolare. Fu approntato in men che non si dica, un piano regolatore che contemplava i seguenti quattro concetti ispiratori: “costruzione di una rete fognaria indipendente da quella già funzionale ad est della città che serviva la cosiddetta «Parma nuova»; abbattimento dei quartieri più malsani; creazione di larghe strade munite di tutti i servizi (fognature, gas, luce elettrica, ecc.); disponibilità di nuove aree adatte alla costruzione di nuove abitazioni” (cit. Franco Morini).
Il piano era tanto ambizioso quanto economicamente rilevante e l’aggravio sulle sole spalle di un ente comunale appariva insostenibile. Ecco in soccorso una legge varata rapidamente, la numero 21 del giugno 1928, che coadiuvava l’amministrazione nella realizzazione del progetto e trasferiva il peso economico della sua esecuzione dall’ente locale al Ministero del Tesoro. La summenzionata legge portò in dote una somma considerevole, necessaria allo sviluppo del territorio e dell’intera economia cittadina. Furono costruiti nuovi alloggi, sia da parte del Comune sia da parte del nuovo Ente Autonomo per le Case Popolari. Nella realizzazione degli alloggi ebbero parte anche i privati, che ricevettero importanti incentivi. Per dare un’idea di quanto costruito: le vecchie strade demolite erano pari a 13.700 mq, a fronte di quelle nuove, pari a 53.000 mq; le case demolite erano pari a 250.000 mq, rimpiazzate dalle nuove costruzioni pari a nuovi 450.000 mq, per un totale di 1002 alloggi e 1865 vani. I privati contribuirono alla realizzazione di 445 nuove costruzioni e 285 ampliamenti, per un totale di 1661 alloggi e 8837 vani. Se rapportiamo i 2663 appartamenti realizzati alle 7/8 mila famiglie dell’Oltretorrente, i nuovi alloggi rappresentavano un beneficio per un non meno 30% delle famiglie ivi residenti.
Non va trascurato il contesto internazionale nel quale si agiva, poiché negli anni Trenta, a seguito del crollo di Wall Street, si era in piena recessione economica. Non si puntò solo sull’edilizia abitativa, ma vennero realizzate una serie di infrastrutture e servizi pubblici, tra cui le fognature, l’acquedotto, il laboratorio di igiene e profilassi, scuole di vario ordine e grado, l’ospedale, il dispensario antitubercolare, ecc.: opere tutt’oggi esistenti. E allora, piaccia o no (vale anche per chi ha organizzato l’interessante mostra sui Capannoni), il risanamento del quartiere popolare dell’Oltretorrente è un pezzo di storia italiana che merita di essere raccontata così come ci indicano i dati. La tesi che artatamente ancora oggi viene propinata e che mira a screditare quanto fatto di buono per la comunità di Parma, si limita a riportare semplicemente la distruzione di borghi storici e la deportazione dei suoi abitanti nei noti Capannoni, presentati, durante la mostra, come veri e propri lager. Non manchi una riflessione anche sui tempi di demolizione dei Capannoni. Gli ultimi furono eseguiti nel 1970 (in pieno periodo repubblicano, ben venticinque anni dopo la fine della guerra), con l'abbattimento dei Capannoni del Castelletto. Se durante il Ventennio il peccato originale è stato individuato nella loro costruzione, coloro che si alternarono alla guida del Paese non furono meno esenti da colpe, non fosse altro per aver concesso l’utilizzazione a fini abitativi di strutture residenziali che, con il decorso del tempo e per incuria, risultavano oramai obsoleti.
Inoltre nei Capannoni, durante il triennio 1936-38 sia la mortalità in generale, sia quella legata alla tubercolosi erano entrambe inferiori a quelle dell’intera città e dell’Oltretorrente: ciò è ricavabile da una relazione dell’Ufficiale sanitario del Comune, dott. Luigi Mazza. In questa si legge anche: “Dopo i lavori di risanamento vi è stata una reale diminuzione della mortalità in generale e per tubercolosi nell’Oltretorrente che si riflette sulla mortalità della intera popolazione della città”. Arduo, se non impossibile contestare dati storici.
La mostra è stata complessivamente interessante, anche se ha mancato di obiettività. E di questo, ci dispiace.
Pilastro di Langhirano, 27.05.2022
Matteo Pio Impagnatiello
membro Comitato Scientifico Unidolomiti