Numerosi gli sponsor istituzionali e privati che hanno sostenuto la storica esposizione (Ministero per i beni e le attività culturali, Regione Emilia Romagna, Comune di Parma, Comune di Parma e Parma Capitale italiana della cultura 2020-21, Fondazioni Cariparma e Museo Guatelli, Proges, Parma80, Legacoop, Coop Multiservice, Koppel ascensori, Zenit, NAU, M. Bagnaresi, S. Robuschi Pompe, Logistic La Giovane, Buia Nereo Costruzioni etc.).
La preparazione della Mostra ha richiesto un’intensa e articolata opera di ricerca storica, architettonica e grafica. Il suo allestimento è stato realizzato, in modo particolare, con pannelli e poster, stampe dell’epoca, immagini in bn e a colori, documentazione ricavata dai diversi archivi consultati (Comunale, di Stato, CSMP, Resistenza, Amoretti, Bonomini, Ferraguti, famiglia Fietta ed altre, Biblioteca Palatina, Emeroteca comunale).
Un interessante video, regista Roberto Azzali, ricco di immagini, testimonianze dirette e interviste, ha reso più completo e realistico il mondo dei cosiddetti Capannoni. I locali della Mostra sono stati arricchiti con la ricostruzione di ambienti caratteristici dei luoghi, con la presenza di arredamenti, attrezzature, materiali, abbigliamenti caratteristici del periodo storico, dalla Grande Guerra fino agli anni Settanta del secolo scorso. Borghesia e proletariato, ricchezza e povertà, fascismo e antifascismo, perbenismo e anticonformismo, lotte sociali, rivolte e tumulti del popolo dell’Oltretorrente, propaganda politica, ricerca del consenso, progetto di risanamento del territorio ma anche di repressione e di controllo sociale, retorica del regime con il Monumento al piccone, ruolo subalterno della stampa locale al sistema politico del ventennio. Questi gli argomenti, i temi trattati nell’ambito della Mostra che suscitano nel visitatore attento suggestioni ed emozioni, al confronto con i tempi passati.
La successione dei documenti, esposti sui pannelli e alle pareti, illustra al pubblico l’iter di costruzione, nel periodo dal 1929 al 1936, dei cosiddetti “asili comunali”, progettati dal Capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Parma, ing. Giovanni Uccelli coadiuvato sul campo dal geom. Davide Frati. Alla base del progetto c’era l’esigenza di assicurare un tetto provvisorio ai numerosi sfrattati appartenenti alle classi più indigenti della città. Ai primi capannoni della Navetta e del Paullo del 1930, seguirono altri sette nel 1931 (Navetta, via Verona, Cornocchio) e nel 1932 altri tre, i cosiddetti Capannoni del Castelletto, migliorati rispetto ai precedenti, adatti ad essere mostrati in occasione della visita del duce e riservati alle famiglie in grado di pagare un minimo di affitto. Nel 1933 furono aggiunti altri cinque caseggiati e nel 1935 ulteriori otto, a completamento degli interventi di risanamento dei borghi di Oltretorrente e di altre zone popolari della città, interessati dal grave stato di degrado e di povertà. Secondo le fonti del Comune, furono 637 le famiglie residenti nei capannoni, circa 3000 persone, considerando la media di 4/5 persone componenti per nucleo familiare.
Dal 1954 al 1970, avvenne la demolizione dei capannoni. I primi ad essere abbattuti, il 4 dicembre 1956, furono quelli di via Verona e man mano tutti gli altri. Le famiglie interessate furono ospitate nei nuovi edifici di edilizia popolare, IACP, INA-Casa. Si trattava di condomini in linea di 5 o 6 piani, tre o quattro vani più servizi. Un miglioramento rispetto ai capannoni dove la vita era molto precaria. Mancava tutto, a volte persino il carbone o la legna per riscaldarsi e cucinare, nell’unica stanza con al centro la stufa. A volte pure i materassi e si era costretti a dormire sulle reti. Nel caseggiato le strade interne erano in terra battuta; le pareti interne erano umide, coperte di muffa, fredde. In tutto due stanze, che arrivavano ad ospitare, si fa per dire, anche dodici persone dello stesso nucleo familiare. Esistenza faticosa, da emarginati, la vita nei capannoni, che non permetteva una integrazione con il resto della città, quello più abbiente. Al contrario, l’isolamento sociale, non valutato adeguatamente da chi aveva progettato questi edifici, contribuì alla nascita di un fenomeno di ghettizzazione, alla diffusione di un vero e proprio stigma. Questi pregiudizi sfociarono, secondo il parere di alcuni intervistati dei capannoni, in veri e propri episodi di violenza con ragazzi ed elementi di altri quartieri cittadini. Gli abitanti dei capannoni furono genericamente etichettati come rozzi, incivili, volgari, sovversivi, delinquenti da parte dei rappresentanti di una certa società borghese e perbenista. Alla luce di moderne teorie sociologiche, sconosciute all’epoca, quella della vita nei capannoni, al di là della miseria esistenziale e dell’analfabetismo culturale, potrebbe essere interpretata, al contrario, come anticonformista e libertaria. “Eravamo costretti a rubare”, racconta nel cortometraggio, un testimone che viveva in un capannone. “Era una vita molto sacrificata”, aggiunge un altro testimone, anche se era bello trovarsi tutti insieme all’aperto, nelle tavolate e nelle feste dove non mancava un buon bicchiere di vino. Così dicasi per gli incontri segreti nelle cosiddette “cellule” dove si discuteva segretamente di politica, in contrasto al regime fascista. In occasione della nostra visita conosciamo il sig. Ernani, classe 1932, accompagnato dai suoi tre figli. Fu ospite, insieme alla sua numerosa famiglia, del capannone della Valletta e giovane calciatore della squadra di calcio della stessa. Si fa fotografare con orgoglio davanti al poster gigante esposto in un angolo della mostra. Parla degli aspetti positivi, quasi con nostalgia, del lungo periodo trascorso in quei fabbricati. “Stavamo al pianoterra, aggiunge, meglio di oggi che mi tocca vivere al quarto piano senza ascensore”. Anche lui ricorda le feste trascorse insieme con serenità. Beata gioventù, aggiungiamo anche noi. La conversazione verte anche sull’aspetto politico e il nostro interlocutore, con l’appoggio di suo figlio, esprime le sue perplessità sulla cosiddetta “politica del piccone”, rappresentata anche da un monumento esposto alla presenza del duce. La decisione di emarginare i ribelli e i sovversivi dei moti popolari del 1908 e non ultimi i protagonisti delle Barricate di Oltretorrente dell’agosto 1922, di cui ricorre quest’anno il centenario, favorì la diffusione e la possibilità di opporre al regime una visione del mondo antagonista e alternativa.
La Mostra, nel corso di questi due mesi, ha registrato un afflusso notevole di visitatori, di ogni età, comitive di turisti e scolaresche accompagnate dai loro docenti. “Sicuramente un’ importante testimonianza storica, ricca di documentazione di alto livello, fondamentale per conoscere e far conoscere, ai più giovani, la storia della città e che avrebbe meritato maggiore pubblicità e promozione”. Così si esprime la signora Isa in un commento su Facebook.
Noi ci auguriamo, a conclusione, che il prezioso materiale, raccolto ed assemblato, possa essere conservato ed esposto, nel futuro, in un contenitore culturale dedicato, messo a disposizione dall’Ente Territoriale o da parte di altre Istituzioni private.