di G. Middei Roma, 14 settembre 2022 (Quotidianoweb.it) - L’italiano? Questo sconosciuto, almeno per Luigi Di Maio che su Twitter riuscì a sbagliare per ben tre volte di fila l’uso del congiuntivo.
«Se c’è il rischio che i soggetti spiano massime istituzioni qual è il livello di sicurezza che si garantisce a imprese e cittadini?» scrisse, suscitando l’ilarità del pubblico.
Tentò di rimediare alla gaffe, ma andò anche peggio: «Se c’è rischio che massime istituzioni dello Stato venissero spiate…»
Infine, riuscì a trarre fuori questo: «Se c’è il rischio che due soggetti spiassero le massime istituzioni dello Stato...»
Il congiuntivo ha mietuto moltissime vittime tra gli onorevoli: «Vadano avanti, lavorino, concorrino al clima di pacificazione,» affermò con tono deciso Pierferdinando Casini, leader dell’Udc.
Per Matteo Salvini, leader della Lega, invece c’è stata grande confusione sui modi verbali, quelli che in teoria si studiano in terza elementare.
Salvini ha asserito che «il migrante è gerundio, quando migri, sei un migrante».
Del resto, oggi conoscere la grammatica italiana non è certamente una priorità per la classe politica.
Parlare italiano non va più di moda: è molto più cool, direbbero loro, svilire il nostro patrimonio linguistico e usare inutili, incomprensibili anglicismi.
Un vezzo che non appartiene soltanto ai politici, nei titoli dei giornali fioccano a più non posso termini come “recovery fund”, “october suprise", “recovery plan”, orrende sigle e acronimi come “Pnrr” (il famigerato piano di ripresa e resilienza nazionale) e in questi giorni di cordoglio per il lutto che ha colpito la monarchia inglese la regina Elisabetta è stata ribattezzata all’unanimità della stampa “queen Elisabeth”.
Ma anche nella storia, la materia maledetta invisa agli studenti italiani, sempre Luigi di Maio ha preso delle enormi cantonate: collocando in Venezuela il dittatore (cileno) Pinochet, e parlando di “tradizione democratica millenaria francese”, sorvolando sul fatto che la Francia sia stata una monarchia assoluta fino al 1789.
Ma in fondo una bazzecola come la Rivoluzione francese può essere sfuggita di mente al nostro uomo pentastellato.
Sempre restando in casa cinque stelle, Alessandro di Battista rispose così al ministro degli Interni Minniti sull’emergenza migranti: «Macron piace a tutti quanti voi come se fosse Napoleone ma almeno quello combatteva sui campi ad Auschwitz e non nei cda delle banche d’affari».
A quanto sembra non soltanto Dostoevskij combatté la grande guerra, come ha affermato in diretta televisiva il presentatore Giletti, ma anche Napoleone ha abbandonato parrucche e moschetti ed è stato catapultato nel Novecento.
Silvio Berlusconi ha attribuito la fondazione di Roma a “Romolo e Remolo.”
Le gaffe del cavaliere hanno oltrepassato i confini del suolo italico per diventare celebri in tutto il mondo: definì “abbronzato” il presidente Barack Obama.
Altrettanto sconcertanti furono le parole pronunciate nel 2003 a Wall Street: «L'Italia è un paese straordinario per fare investimenti. Oggi ci sono molti meno comunisti in Italia e abbiamo bellissime segretarie». La bellezza della donna a quanto pare è molto più importante delle sue competenze per il cavaliere.
La geografia al pari della storia non è stata la materia preferita dei leader dei partiti.
Giorgia Meloni ha raccontato di aver avuto la grande opportunità di visitare l’incredibile città di Dublino in Scozia.
Mente per il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini, per il celebre tunnel che collega l’Abruzzo con la Svizzera «l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro».
Ecco dove sono finiti i soldi degli elettori, o forse, come Atlantide e il leggendario regno di Camelot, questo tunnel dovrà essere scoperto prima o poi.
Stellina d’oro per Matteo Renzi, che a dispetto dei suoi onorevoli colleghi, si è limitato in occasione degli Stati generali della lingua italiana a Firenze a scambiare l’albatros della celebre poesia di Baudelaire con un airone.
Un peccato di vanità il suo, citare a sproposito, il caro, vecchio Baudelaire.
Per molti la cultura è questo: un fiore all’occhiello da ostentare all’uopo, per darsi un tono e atteggiarsi a “intellettuali”.
Ma del resto in una società che ha fatto dell’ignoranza un vanto, della presunzione una virtù, una società che si eccita e va in visibilio per scoprire quale concorrente del Grande Fratello vincerà la prossima edizione, la cultura non è una priorità.
«Ahi serva Italia, di dolore ostello,» avrebbe detto il sommo poeta.