"La chiusura del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena ad opera del Ministero degli Interni è un fatto positivo e costituisce – ha detto la Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Desi Bruno - la presa d'atto di una situazione non più sostenibile per le persone trattenute e per coloro che vi lavoravano" -
Bologna, 2 gennaio 2014 -
Le condizioni di degrado e di violazione dei diritti umani all'interno del CIE in questione, in particolare dopo l'assegnazione all'ultimo ente gestore a seguito di una gara al massimo ribasso con base d'asta fissata in 30 euro pro-capite, che ha provocato un netto peggioramento del clima all'interno, con incremento degli atti di autolesionismo e aumento della conflittualità, impongono, ha rilevato la Garante, una riflessione, che è in atto, sul tema dei migranti e sulla funzione e utilità di questi Centri. Nei CIE, prima denominati CPT (Centri di Permanenza Temporanea), sono ristrette le persone straniere destinate all'allontanamento dallo Stato italiano e le persone subiscono una restrizione della libertà personale che può raggiungere i 18 mesi ex lege n. 129 /2011, non per effetto della commissione di reati, come stabilisce l'art. 13 Cost., che sancisce l'inviolabilità della libertà personale e i casi in cui la persona può esserne privata, ma per la mera irregolare presenza sul territorio, qualunque sia la causa pregressa che ha determinato tale irregolarità. Si tratta di una condizione di privazione, ricorda la Garante, difficilmente accettata dalle persone che la subiscono, sia che provengano dal carcere, e che quindi abbiano già scontato la pena inflitta per i reati eventualmente commessi, sia per le persone che sono al CIE per non essere muniti di permesso di soggiorno o perché lo stesso è scaduto e non è stato più rinnovato (anche solo per la perdita di un lavoro). A ciò si accompagna quasi sempre il fallimento del progetto migratorio che aveva accompagnato l'abbandono del paese d'origine, con tutto ciò che comporta di drammatico il dover ritornare indietro. Allora "è doverosa", sottolinea la Garante, la chiusura del CIE di Modena se a queste persone non si riesce ad assicurare un trattamento umano e rispettoso della dignità (cibo, vestiario, assistenza medica e psicologica, mediazione culturale), come prevede la legge, ma è utile chiedersi quale sia l'utilità di Centri che non sono comunque in grado di espellere una quota infinitesimale di stranieri irregolari rispetto ai numeri complessivi (e nonostante il CIE di Modena avesse la percentuale più alta di espulsioni a livello nazionale), che necessitano di importanti risorse destinate spesso ad improbabili enti di gestione, che sottraggono forze dell'ordine al territorio. Bisogna allora lavorare su altri fronti, come il rimpatrio assistito, la corretta identificazione delle persone da espellere in carcere, come prevede l'ultimo decreto Cancellieri, espulsioni che si realizzano se ed in quanto esistano e siano operanti gli accordi di riammissione con i paesi interessati, ma soprattutto bisogna ripensare il meccanismo di ingresso previsto dalla legge Bossi-Fini, che condanna alla clandestinità e quindi al trattenimento ai CIE nonchè dare piena attuazione alla Direttiva UE 115/2008. Sarebbe adesso ragionevole, conclude la Garante, che la struttura, per la vicinanza al carcere, fosse utilizzata per favorire l'accesso a misure alternative mediante la creazione di alloggi o impiegata per attività' lavorative.
(fonte: ufficio stampa Regione Emilia Romagna)