Quando lo sport diventa solo un mezzo per correre dietro le passioni, alla scoperta di sé stessi, infrangendo i propri limiti con “sudore, sabbia e cuore”. L'ultima gara 4 settimane fa in Giordania dove ha concluso i 250 km della Sahara Race in 38 ore e 20 minuti, tagliando il traguardo al quinto posto di categoria.
Parma, 6 aprile 2014 - di Bondani Sara
Un’ esperienza iniziata seguendo l’istinto, quell’istinto che non lo ha mai abbandonato nonostante l’esperienza maturata negli anni e che ancora ascolta per affrontare ogni sfida nel “mondo dell’ estremo”. Istinto e ragione, due aspetti per antonomasia in conflitto fra di loro, che Giuliano Pugolotti riesce a far convivere in un sottile equilibrio, diversi come i mondi che vive contemporaneamente, capace di destreggiarsi fra quotidianità e sfide estreme, fra affetti e passione, fra Occidente e Oriente.
Giuliano Pugolotti 53 anni, parmigiano, pubblicitario di professione, non è semplicemente un podista. Le gare sono infatti per lui il mezzo più stimolante per fare quello che lo appassiona davvero: affrontare sfide estreme.
Un’ avventura nata nel 1992, per caso, da una corsa domenicale, che l’ha portato ad approcciarsi al mondo dell’ agonismo e a capire in seguito, che tagliare traguardi non gli basta più.
Seguendo l’ istinto è iniziata la sua avventura, lo stesso istinto che lo avrebbe poi guidato verso le zone più estreme della Terra.
Affascinato dalle immagini in tv di una corsa nel deserto libico è iniziata la vera sfida, quella con sé stesso. “Mi sembrava una follia” - così commenta raccontando quell’episodio - “non ero mai stato in un deserto neanche da turista”.
Ed ecco che nel 2005, mettendo da parte la ragione, inizia la sua avventura. Un percorso, che l’avrebbe portato ad oggi, a compiere 17 sfide verso i deserti, partecipando alle corse più estreme del pianeta. L'ultima gara, quattro settimane fa, in Giordania dove ha concluso i 250 km della Sahara Race in 38 ore e 20 minuti, tagliando il traguardo al quinto posto di categoria.
Già questo basterebbe a rendergli merito per le indubbie doti da atleta, ma dietro il percorso sportivo è iniziato quello di formazione, che lo porta oggi ad avere una visione profonda della natura e dell’essere umano.
La sfida più grande, racconta, è stata da subito quella con sé stesso in cui la preparazione atletica non era purtroppo sufficiente. Durante la prima gara nel Sahara in Tunisia ha avvertito la paura, la sensazione di non essere adeguato a quel luogo.
“Ero turista lì, per quello si era generata tutta quella paura” - commenta raccontando l’episodio, con la sicurezza di chi a posteriori è consapevole di averla superata e di non averla più avvertita.
“Oggi il mio albergo preferito è quello a un milione di stelle” afferma sincero, riferendosi alla volta celeste.
Corre da solo, per chilometri, anche di notte - “Difficile trasmettere la sensazione che dà il deserto, non si può descrivere l’emozione che suscita essere da soli e non avere punti di riferimento. La sicurezza sei tu, quando sei nel deserto prendi coscienza di che potenzialità inutilizzata ha l’essere umano e di che forza ci è stata donata e allora la paura non esiste più. Per affrontare il deserto devi essere un attento osservatore della natura e del tuo corpo, che in ambienti così estremi cambia, si adegua e ti dà dei segnali.” Poi continua con un semplice esempio - “Già quando arrivo là, il mio organismo si prepara e il corpo, date le temperature altissime, inizia a trattenere liquidi perché possediamo una macchina perfetta. Il tuo fisico si adatta quanto più sei allenato e predisposto”.
La paura della prima gara resta ormai un lontano ricordo. Ha iniziato un percorso di vita, con la natura e con sé stesso, maturato e sviluppato negli anni. Una conoscenza consapevole dell’essere umano e delle sue potenzialità, sotteso dalla ferrea convinzione che si possa superare qualsiasi ostacolo; questo lo spirito con cui affronta situazioni estreme.
“Nel deserto devi lasciarti trasportare, non ti devi porre con rigidità” - è la sua filosofia.
Disavventure ne ha vissute tante in questi anni, una delle peggiori la tempesta di sabbia affrontata in Marocco nel 2012, durante una gara di 188 km in linea, senza soste. “L’organizzazione per la prima volta ha deciso di bloccare la gara subito dopo di me” - spiega. “Quella era “la Tempesta”! Ce ne sono tanti tipi, ma quella non ti fa proprio vedere la direzione” afferma sicuro. “Il gps si sgancia dal satellite, perché si creano chilometri di muro di sabbia e quindi il satellite perde il segnale e inoltre, non puoi fermarti più di venti minuti se no diventi una piccola duna”.
A venirgli in aiuto in tutti i momenti più difficili, gli insegnamenti appresi dai Tuareg. Un legame capace di superare qualsiasi differenza culturale e di infondergli la fiducia in sé stesso, che solo quel popolo nomade, simbolo del deserto, avrebbe potuto fare.
“Mi hanno detto di avere sempre fiducia e mai paura” - poi aggiunge - “mi ricordo che ero tranquillo perché quando hai i piedi sul ciglio devi pensare che non è finita”.
La vicinanza ai Tuareg l’ ha reso capace di cogliere il valore profondo delle cose. “La vera chiave si chiama semplicità, quella che noi occidentali purtroppo abbiamo perso” - afferma con la lucida consapevolezza e rassegnazione di chi si destreggia abilmente fra due mondi così lontani e diversi.
Innato spirito di avventura e curiosità hanno portato Giuliano Pugolotti ad avere la capacità di ascolto e osservazione, necessaria per una scoperta che è ritorno alle origini, all’attenzione per il proprio corpo e per la natura.
“Noi non siamo più come i Tuareg perché viviamo in un mondo che è diverso, non dico che sia migliore o peggiore”, afferma con la consapevolezza di un occidentale che è riuscito a stringere un legame forte con quel popolo, a migliaia di chilometri di distanza dalla sua quotidianità.
Negli anni, il “nostro” runner del deserto, ha imparato a sentire i luoghi e saperli ascoltare e quindi conoscere, acquisendo il soprannome di Desert Fox (Volpe del deserto).
“Il deserto per me oggi è un po' come essere a casa” dice tranquillo. “L’estremo è un mondo dove cerco di andare oltre la montagna che è dentro di me, perché sono i limiti che ci vengono imposti e che ci creiamo, a farci perdere la fiducia in noi stessi. Correndo da solo di notte al buio, senza punti di riferimento, non si prova paura se si conosce sé stessi e si conoscono i segnali della natura. Il deserto è un posto assolutamente democratico, basta saperlo ascoltare. Nonostante le disavventure è in un posto dove non c’è vita che impari a vivere” - conclude convinto.
Abbandonando il contatto con la sua parte di mondo occidentale e con tutto quello che rappresenta, compreso gli affetti più cari, entra nell’altra sua parte di mondo di cui non potrebbe fare a meno. “Lascio tutto sulla soglia una volta che entro nel deserto” afferma un po' malinconico, su quel “davanzale” che separa i suoi due mondi, così distanti ma indispensabili l’uno all’altro, consapevole che non potrebbe affrontare la sfida se non spogliandosi di tutto e ammettendo anche a sé stesso, il labile confine che li separa.