Sabato, 04 Gennaio 2025 11:39

“Risorse” e coltellate: indagato il Carabiniere che ha fermato una strage In evidenza

Scritto da Andrea Caldart

Di Andrea Caldart(Quotidianoweb.it) Cagliari, 4 gennaio 2025 - In un’Italia sempre più segnata da episodi di violenza apparentemente inspiegabile, il caso di Rimini riaccende un dibattito, mai sopito, sulla sicurezza, sull’integrazione e sulla risposta dello Stato.

Un giovane egiziano, armato di coltello, ha seminato il panico per le strade, colpendo a casaccio e lasciando dietro di sé feriti e terrore.

La violenza indiscriminata si è fermata solo grazie all’intervento del comandante locale dei Carabinieri, che in un attimo ha dovuto fermare il pericoloso l’aggressore, uccidendolo.

Tuttavia, l’atto eroico del militare, che ha impedito ulteriori vittime, è ora sotto la lente della magistratura. L’indagine si concentra sulle circostanze dell’intervento e sul presunto uso eccessivo della forza, una scelta che sta facendo discutere.

Mentre in Italia si discute di questo episodio, a New Orleans una strage rivendicata dall’Isis passa quasi sotto silenzio. La narrativa internazionale sembra più preoccupata di non "alimentare l’odio" che di affrontare i nodi centrali di queste problematiche. È difficile non notare un parallelismo tra gli attacchi in Italia e quelli che hanno colpito altre nazioni occidentali, Francia in primis e poi continuati in Germania.

La questione si fa spinosa quando si parla di integrazione. Oriana Fallaci, con il suo noto piglio critico, una volta disse: “Che senso ha rispettare chi non rispetta noi?” Questo interrogativo sembra risuonare oggi più che mai. Gli episodi di violenza che vedono protagonisti immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti nel Paese ospitante, dimostrano che qualcosa nel processo di inclusione non sta funzionando. La delusione e la rabbia di queste generazioni spesso si trasformano in azioni violente, dirette contro i simboli stessi della libertà e della democrazia occidentali.

L’episodio di Rimini mette in evidenza una dinamica pericolosa: il carabiniere, che ha agito per fermare un’escalation di violenza, viene indagato per il suo intervento. Si tratta di una riflessione inquietante sul concetto di giustizia.

La lealtà e dedizione al dovere, che dovrebbe essere il pilastro dell’azione delle forze dell’ordine, rischia di essere messa in discussione da una tendenza a sovra analizzare i contesti e a ridurre tutto a un problema di procedure.

L’Italia rischia di seguire le orme della Francia, dove episodi di questo tipo sono diventati, purtroppo, una tragica routine. C’è chi continua a negare l’emergenza, bollando chi solleva il tema della violenza nelle città, come allarmista o xenofobo. Ma il problema esiste ed è urgente: una parte delle nuove generazioni, figli di immigrati, risponde con violenza, che subito una certa informazione si muove per giustificarla come "ribellione" contro una società che percepiscono come oppressiva.

La violenza non è mai la risposta, né da una parte né dall’altra. Ma ignorare le cause profonde di questi episodi significa condannarsi a ripeterli.

È essenziale interrogarsi non solo sull’efficacia dell’integrazione, ma anche sulla capacità dello Stato di tutelare i suoi cittadini e chi li difende.

Il caso di Rimini non deve diventare un’occasione per alimentare divisioni, ma un punto di partenza per ripensare un modello di società che non lasci spazio a queste tragedie.

L’indagine sul Carabiniere è il paradosso di una “nudità cerebrale” della società postmoderna: ossessione per il conformismo progressista per punire chi agisce per il bene collettivo. Questo atteggiamento solleva interrogativi su come l’Occidente si stia preparando a fronteggiare minacce interne ed esterne.

L’intervento del Carabiniere ha salvato vite, ma il suo gesto viene messo in discussione in un clima che sembra dare più spazio alla tutela dei diritti dell’aggressore che alla sicurezza delle vittime.

Questa è giustizia o soluzionismo progressista?

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