Venerdì, 03 Gennaio 2025 11:30

La sicurezza della libertà nel 2025: un’utopia? In evidenza

Scritto da Andrea Caldart

Di Andrea Caldart (Quotidianoweb.it) Cagliari, 2 gennaio 2025 - Nel 2025, quale sicurezza avrà la libertà? Questa domanda, più attuale che mai, riflette un malessere crescente: la sensazione che la libertà, in tutte le sue forme, sia costantemente sotto attacco. Ma chi è responsabile di questa crisi? Siamo noi, con le nostre scelte, a determinarne l’erosione.

Un tempo, la sicurezza alimentare era sinonimo di prossimità e semplicità. Si scendeva sotto casa, si acquistavano patate dall’ortolano “scoreggione” e con pochi gesti si contribuiva a un’economia circolare, fatta di relazioni umane dirette e scambi tangibili.

Oggi, quella stessa patata è il simbolo di una complessità alienante: per acquistarla, serve un account su una piattaforma online, un sistema di pagamento digitale, e una fiducia cieca nelle multinazionali che ci garantiscono che tutto il processo  tecnologico e distributivo avviene per il “bene del pianeta” dicono loro.

La retorica della sostenibilità ha trasformato quell’ortolano “scoreggione” in un inquinatore pericoloso, ovvero le emissioni prodotte da una microeconomia indipendente, sono state stigmatizzate per giustificare una centralizzazione del controllo economico. Ma questa transizione non ha liberato il consumatore: lo ha reso dipendente da piattaforme, algoritmi e intermediari, privandolo della libertà di scelta e del contatto diretto con chi produce.

Se la libertà alimentare è una catena invisibile, quella dell’informazione è un muro sempre più alto. Si parla tanto di giornalismo libero, di diritti dei reporter stranieri, ma la realtà è ben diversa. Esempi recenti mostrano come i principi siano applicati in modo selettivo: il caso di Cecilia Sala, la cui situazione ha attirato solidarietà compresa la nostra, è emblematico. Tuttavia, pochi si interrogano sul silenzio assordante imposto ai giornalisti che vogliono raccontare il genocidio nella Striscia di Gaza o approfondire il conflitto nel Donbass.

La polarizzazione dei media è ormai un dato di fatto. Le narrazioni sono frammentate e piegate agli interessi di pochi. È accettabile, ad esempio, che media iraniani, libanesi o russi siano esclusi dal dibattito pubblico occidentale, quando questa censura è giustificata da norme europee o statunitensi? La libertà d’informazione è stata compromessa dal dominio delle reti digitali, che non solo controllano il flusso di notizie, ma stabiliscono chi può avere voce e chi no.

Insomma, si parla spesso dell’importanza di un giornalismo libero, ma nella pratica, questa libertà sembra esistere solo quando serve agli interessi di chi detiene il potere.

La devastazione della libertà non si ferma all’informazione. L’ascesa del “digimondo” ha rivoluzionato i rapporti di forza in tempi brevissimi. Oggi, il controllo delle infrastrutture digitali, da cui dipendono processi burocratici e democratici, è nelle mani di pochi privati selezionati da un’élite. Questo monopolio non solo compromette la sicurezza del sistema, ma mina alla base la libertà individuale.

La libertà, in ogni sua forma, è minacciata da una transizione ideologica che rischia di completare una vera e propria frode.

Tornare dall’ortolano “scoreggione” con i soldi cartacei in mano, acquistare le sue patate senza intermediari, potrebbe sembrare un gesto nostalgico, ma è un atto politico. Significa rivendicare un sistema in cui la produzione e il commercio non siano subordinati a dinamiche digitali, in cui l’individuo torni ad essere centrale nel processo decisionale.

Non è un semplice richiamo alla tradizione, ma una proposta per ricostruire un’economia e una società basate sulla libertà reale, lontane dalle manipolazioni ideologiche e dalle imposizioni tecnologiche.

Il 2025 può ancora essere l’anno della riconquista della libertà, ma solo se siamo pronti a difenderla, un passo alla volta, tornando a ciò che davvero conta: la nostra capacità di decidere.

E non è ancora troppo tardi per riprenderci ciò che abbiamo ceduto. Ma il tempo stringe perché dobbiamo chiederci: cosa significa davvero libertà nel 2025 in un mondo che sembra trasformarsi in un’enorme macchina controllata da pochi?

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