Dopo aver dichiarato, quando era forza di opposizione, la necessità di un blocco navale (che per il diritto internazionale pubblico costituisce un atto di guerra) al fine di contenere il fenomeno dell'immigrazione clandestina, il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, On. Giorgia Meloni, ha cercato la soluzione dell'accordo bilaterale con Tirana. L'Albania riconosce all'Italia il diritto, a titolo gratuito, dell'utilizzo di determinate aree destinate alla costruzione (a carico ovviamente della parte italiana) di strutture adibite all'espletamento delle funzioni di frontiera o di rimpatrio per i migranti non aventi titolo per soggiornare legalmente nel territorio italiano.
In primo luogo, nell'ambito dei posti disponibili, in queste strutture potranno soggiornare unicamente quei migranti di sesso maschile adulti provenienti dai Paesi ritenuti "sicuri" dall'Italia (ad esempio, l'Algeria, il Bangladesh, il Camerun, la Colombia etc.). Ora, a parte il fatto che si può discutere sulla effettiva sicurezza di certi Stati (forse il Governo si é basato sulle domande di asilo politico pervenute nell'ultimo anno), le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale difficilmente potranno conciliarsi con lo sbarco nel porto albanese di Shengjin situato molto distante dalle zone maggiormente coinvolte nei recuperi. Il diritto internazionale marittimo richiede, infatti, di ridurre al minimo il tempo di percorrenza verso il luogo più sicuro.
In secondo luogo, se è vero, da una parte, che le richieste del diritto di asilo saranno esaminate dall'Italia, ed in particolare dalla Questura di Roma, dall'altro l'assistenza legale per queste richieste potrà essere esercitata solo tramite videocollegamento, incidendo in questo modo sull' effettività del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione vigente.
In terzo luogo, l'accordo non risolve il vero problema sotteso al fenomeno migratorio: il ruolo delle ONG. Solo i migranti soccorsi dalla Guardia costiera, dalla Marina militare e dalla Guardia di Finanza potranno essere portati in Albania.
Da ultimo, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sede a Lussemburgo, con la sentenza C-406/22 del 4 ottobre 2024, ha stabilito che il giudice nazionale, il quale esamina la legittimità di una decisione amministrativa con la quale si nega la protezione internazionale, deve rilevare la violazione delle norme del diritto UE relative alla designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro.
Pertanto, l'elenco di Stati "sicuri", definito dall'Italia con decreto interministeriale del 07 maggio 2024 secondo quanto dispone l'art. 2 bis del decreto legislativo delegato n. 25/2008, può essere messo in discussione da parte dei giudici con conseguente impossibilità di poter trattenere i migranti, provenienti da Paesi "sicuri" che poi non si rivelano tali, in Albania. Il nostro Paese, ad esempio, ha inserito solo nel 2024 il Bangladesh visto il numero dei flussi, ma dall'estate di quest'anno sta attraversando forti tensioni civili e sociali. La strategia, comunque, è chiara: il Governo Meloni sta utilizzando l'intesa con Tirana per distogliere l'attenzione dagli sbarchi continui e frequenti a Lampedusa e nelle coste italiane. Poco è stato fatto, invece, per modificare il regolamento UE n. 604/2013 (c.d. Dublino III) che impone agli Stati di primo approdo l'obbligo di analizzare le domande di asilo politico e certamente il nuovo Patto su migrazioni ed asilo non aiuta a ridurre la pressione sull'Italia e gli altri Stati costieri. Esso consente agli ordinamenti di assolvere al proprio dovere di collaborazione in forme anche diverse dal ricollocamento, ma «di pari valore», quali il versamento di contributi finanziari allo Stato beneficiario da investire nell’accoglienza, nei rimpatri, nella gestione delle frontiere, lasciando agli ordinamenti più esposti gli oneri maggiori. Insomma, in Italia vale sempre il motto di gattopardiana memoria: "se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".
(foto governo.it 5 giugno 2024 Giorgia Meloni con Edi Rama presidente Albania- Images made available under licence CC-BY-NC-SA 3.0 IT )
_________________________________
(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.
Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.
Sito web personale