Ora, al di là dell’attivismo politico di certi Presidenti delle Giunte regionali, deve essere chiaro che sulla materia di cui in trattazione non sussiste alcuna competenza legislativa regionale né concorrente, né residuale. In primo luogo, il «diritto» di avviare la procedura per giungere al suicidio assistito rientra nell’ambito della determinazione dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e politici che la Costituzione vigente, all’art. 117, comma 2, lett. m), attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Il giudice costituzionale, a partire dalla sentenza n. 282/2002, ha precisato che «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici non sono una materia in senso stretto, ma una competenza del legislatore idonea ad investire tutte le materie» rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite come contenuto essenziale dei diritti senza che la legislazione regionale possa non solo limitarle (e non è questo il caso), ma condizionarle con la conseguenza di trovarsi potenzialmente di fronte a ben venti modalità distinte (ad esempio sotto il profilo procedurale) di accesso al «suicidio assistito». Né, sul punto, vale l’obiezione che l’associazione «Coscioni», fautrice del progetto di legge, abbia presentato alle Regioni, dopo la raccolta delle firme, il medesimo testo della proposta. Infatti, i Consigli regionali possono modificarlo, apportare degli emendamenti diversificando, in questo modo, le modalità di accesso le quali, dunque, si troveranno a variare da Regione a Regione.
In secondo luogo, sulla scia della legge ordinaria dello Stato n. 217/2019 (in materia di Dichiarazioni anticipate di trattamento), la proposta di legge di iniziativa popolare richiede la «richiesta», ossia il consenso libero della persona che intende accedere alla pratica del suicidio assistito. La Corte costituzionale, con le sentenze n. 438/2008, e n. 253/2009, ha stabilito come il principio del consenso informato, su cui inevitabilmente poggia la richiesta del paziente, costituisce principio fondamentale in materia di tutela della salute e, come tale, rientrante nella potestà statale ai sensi del comma 3 dell’art. 117 del Testo fondamentale. Addirittura, nella sentenza n. 262/2016 (relativa ad una legge della Regione speciale Friuli-Venezia Giulia sulla donazione post mortem di organi e tessuti), il giudice delle leggi spinge il proprio ragionamento oltre: le disposizioni concernenti trattamenti nella fase terminale della vita, incidendo su «aspetti essenziali dell’identità e dell’integrità della persona», necessitano una unità di trattamento uniforme in tutto il territorio nazionale e questo per ragioni imperative di eguaglianza che rappresenta la ratio della riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato della materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, comma 2, lett. l).
Da ultimo, non appare determinante il riferimento, sostenuto dall’associazione «Coscioni» nella relazione illustrativa del loro progetto di legge, all’istituto giuridico della c.d. «cedevolezza invertita» per cui la Regione, nell’inerzia del legislatore statale, può normare la materia. Anche in questo caso il giudice costituzionale ha puntualizzato come questa attività sia possibile unicamente nelle materie di potestà legislativa concorrente, ossia ripartite tra Stato e Regioni, ma non in quelle per le quali sussiste la competenza esclusiva dello Stato (cfr. sentenza n. 1/2019 Corte cost.).
Autori (*)
Daniele Trabucco
Costituzionalista
Filippo Borelli
Avvocato