In particolare, la vicenda riguardava una infermiera, che essendosi ammalata di Covid-19, in seguito alla guarigione avrebbe dovuto sottoporsi alla vaccinazione ai sensi della normativa vigente (art 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito).
- Abbiamo chiesto all’Avvocato Antonio Verdone (*) del Foro di Cagliari, di illustrarci tutti i dettagli di questa nuova pronuncia.
Al riguardo il Tribunale di Padova, in funzione di Giudice del Lavoro, sollevava la questione di costituzionalità, in particolare osservando che dalla lettura della norma da applicarsi si evinceva che essa avesse «delegato» alle circolari del Ministero della salute la «disciplina delle indicazioni e dei termini della vaccinazione cui erano obbligati gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario nel caso di intervenuta guarigione».
In particolare, la norma incriminata recitava che: “In caso di intervenuta guarigione l'Ordine professionale territorialmente competente, su istanza dell'interessato, dispone la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute. La sospensione riprende efficacia automaticamente qualora l'interessato ometta di inviare all'Ordine professionale il certificato di vaccinazione entro e non oltre tre giorni dalla scadenza del predetto termine di differimento”.
Si trattava peraltro di un soggetto mai vaccinato, per il quale venivano a porsi in contrasto opinioni in merito alle circolari da applicarsi.
Da una parte infatti il soggetto vaccinato pretendeva l'applicazione della circolare del 21.07.2021 del Ministero della salute, ed in virtù di essa pretendeva l'esenzione dall’obbligo vaccinale per 12 mesi, decorrenti dalla data di guarigione, oppure, in subordine, per almeno 6 mesi.
Dall'altra invece la parte resistente obiettava di «dover dare applicazione» a quanto previsto dalle circolari del Ministero della salute del 3 marzo 2021 e del 21 luglio 2021, in base alle quali era possibile «considerare la somministrazione di un’unica dose vaccinale nei soggetti con pregressa infezione, purché la vaccinazione venisse eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa». Osservava, poi, che l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della salute, con nota del 29 marzo 2022, avesse ribadito che, «per i soggetti mai vaccinati che avevano contratto l’infezione [da SARS-CoV-2 documentata da un test diagnostico positivo], fosse indicata la vaccinazione, a partire da tre mesi (90 giorni) dalla data del test diagnostico positivo.
La Corte in via di prima battuta richiamava i precedenti sulla vexata quaestio se l'art 32 prevedesse una riserva di legge assoluta o relativa in materia di trattamenti sanitari obbligatori, al riguardo riportandosi alla sua recente sentenza 25 del 2023 ove aveva stabilito che la riserva di legge dovesse essere intesa come riserva di legge relativa, e quindi soggetta ad integrazioni da parte di fonti secondarie nell'ambito comunque di una cornice operativa delineata dalla legge stessa, dall'altra riteneva che tale cornice fosse stata sufficientemente determinata nella normativa di legge di cui al DL 44 del 2021 come convertito, e che l'individuazione del termine entro cui sarebbe dovuta essere compiuta doveva avvenire sulla base di dati tecnico-scientifici, che, già di per sé mutevoli nel tempo, lo erano stati tanto più durante l’emergenza sanitaria da COVID-19, generata da un virus respiratorio, sino ad allora sconosciuto, «altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, che poteva venire contratto da chiunque» (sentenza n. 127 del 2022); circostanza che aveva imposto l’impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire» (sentenza n. 37 del 2021).
Ed è proprio in ragione della necessità di adeguare la disciplina «in base all’evoluzione della situazione sanitaria che si fronteggiava e delle conoscenze scientifiche acquisite» (sentenza n. 14 del 2023) che la norma censurata, anziché fissare legislativamente il termine in questione, aveva ritenuto di demandarne l’individuazione a un atto amministrativo che doveva essere adottato, non a caso, dall’amministrazione istituzionalmente in possesso delle competenze tecnico-scientifiche per farlo: il tutto per tenere in conto le particolari esigenze di flessibilità connesse allo specifico contesto nel quale l’obbligo vaccinale era stato introdotto (sentenza n. 25 del 2023).
In caso di scorretto esercizio della scelta tecnica di portata generale compiuta in questo caso con delle circolari, sarebbe quindi stato potere/dovere del Giudice procedere alla disapplicazione delle medesime circolari.
In virtù delle considerazioni giuridiche sopra esposte, la Corte costituzionale dichiarava non fondata la questione sollevata a riguardo.
Stanti le predette premesse, entrando ora nel merito della Sentenza 171 del 2023, purtroppo non si può condividere il ragionamento della Consulta.
La questione posta alla attenzione della Corte disvela tutta la drammatica evoluzione delle scelte che sono state fatte dal legislatore in materia di obblighi vaccinali e di garanzie Costituzionali sui trattamenti sanitari obbligatori, ed il progressivo scardinamento che è avvenuto di queste ultime anche in considerazione delle sentenze emesse dalla nostra Corte Costituzionale.
Se infatti da una parte è pur vero che laddove un trattamento sanitario obbligatorio serva con urgenza ed implichi delle scelte tecniche nell'immediato, non si possa attendere tempi eccessivi, tuttavia è anche altrettanto vero che questa condizione non possa tradursi in un completo annullamento delle garanzie costituzionali.
Infatti, in particolare, nel caso in cui un soggetto sia costretto a vaccinarsi per via di un obbligo normativo, è evidente che il momento in cui lo debba fare non sia di secondaria importanza, poiché determina nella sostanza quando l'obbligo vaccinale debba essere effettivo per il soggetto in questione.
È come se la norma sull'obbligatorietà fosse sottoposta ad una condizione sospensiva, ed una Autorità avesse il potere di decidere quando la sospensione debba venire meno e la norma debba effettivamente essere applicata.
Secondo l’Avvocato Verdone si tratta di due aspetti intrinsecamente connessi, due facce della stessa medaglia, che quindi dovrebbero essere trattati nella stessa maniera.
Il legislatore costituzionale, proprio perché il trattamento sanitario obbligatorio rappresenta la violenza più invasiva che possa subire legalmente un essere umano, sia psicologicamente che materialmente - poiché va a perpetrarsi ai danni del suo diritto ad autodeterminarsi nella gestione del proprio corpo - ha inteso salvaguardare e limitare al riguardo il potere dello Stato, ponendo dei paletti ben precisi che cercassero di preservare il più possibile dalla possibilità che tale atto violento potesse compiersi ad nutum; in particolare infatti da una parte ha imposto una riserva di legge, cioè che il popolo esprimesse il suo consenso attraverso il Parlamento con il suo strumento operativo tipico che è la legge, dall'altra ha previsto in ogni caso il non superamento del limite dei diritti inviolabili della persona da parte della legge in questione, poiché diritti immanenti all'essere umano stesso e parte integrante della sua stessa essenza.
Tant' è la delicatezza della questione, che anche la stessa legittimità del decreto legge come strumento idoneo ad introdurre tale tipo di obbligo è stata messa in discussione da alcuni giuristi, ritenendo che tale garanzia non possa essere salvaguardata se non dallo strumento della legge formale, cioè dalla legge ordinaria, ossia gli atti legislativi del Parlamento, e non invece da parte di un decreto legge, che data la sua immediata efficacia ed esecutività e la possibilità comunque di operare per 60 giorni prima di essere convertito, potrebbe comunque rendere vano il fatto che il Parlamento intervenga in sede di conversione, avendo nel frattempo in quei 60 giorni potuto operare e produrre anche conseguenze ormai irreversibili.
Gran parte della dottrina poi sostiene l'esigenza che per poter conferire garanzia piena all'art 32 Cost la riserva di legge debba interpretarsi come riserva di legge assoluta: quindi debba essere solo la legge o al massimo un atto avente valore di legge, quale il decreto legge, a stabilire integralmente i contenuti del trattamento sanitario obbligatorio da effettuare.
Tale interpretazione è stata tuttavia disattesa dalla Consulta con la sua sentenza n. 25 del 2023, che invece, sempre nell'ottica del necessario contemperamento tra principio di solidarietà - ritenuto salvaguardato dalla celerità ed efficienza del trattamento sanitario da introdurre – ed il diritto alla salvaguardia delle garanzie dell'Habeas Corpus, ha ritenuto che dovesse prevalere l'esigenza di utilizzo di uno strumento normativo agile, qualificando di conseguenza come riserva di legge relativa quella prevista dall'art 32 della Costituzione: quindi in sostanza una legge soggetta ad integrazioni da parte di fonti secondarie nell'ambito comunque di una cornice operativa delineata dalla legge stessa.
In ultimo, ora, la sentenza 171 del 2023, frutto dell'ennesima interpretazione a dir poco discutibile sul piano giuridico della nostra Consulta, chiude il percorso già ormai aperto dalla citata sentenza 25 del 2023 e ancor prima dalle sentenze 14 e 15 del 2023, peraltro anche richiamate dalla sentenza 171 del 2023 in esame: infatti con quest'ultima siamo arrivati addirittura allo spettro, ritenuto tuttavia legittimo dai nostri Giudici Costituzionali, che basti un gruppo di tecnici ed un Boiardo di Stato di turno a decidere quando dovrà essere somministrato un determinato trattamento sanitario obbligatorio per la parte della popolazione a cui la circolare stessa è destinata.
È evidente che una tale elasticità non possa essere ritenuta compatibile ad avviso di chi scrive con le garanzie volute dai nostri Padri Costituenti, e si ritiene sia l'ennesima forzatura perpetrata ai danni dell'art 32 della Costituzione e delle primarie garanzie per i cittadini tutti.
Seppure si volesse essere favorevoli a ritenere che le esigenze di celerità ed efficacia debbano essere preservate anche in caso di trattamenti sanitari obbligatori, è evidente che con le ultime sentenze della Consulta ci si sia spinti troppo in là.
Si poteva magari discutere se potesse essere ammissibile in virtù dei tali esigenze lo strumento del decreto legge emesso tuttavia in un quadro di riserva di legge assoluta, ma non certo conferire poteri di tale portata a mere articolazioni tecnico/amministrative senza alcuna rappresentatività politica come purtroppo è stato fatto.
Ormai purtroppo si ha sempre di più la sensazione di navigare a vista su acque che invece dovrebbero essere le più chiare e sicure di tutte per tutti.
(*) Avv. Antonio Verdone - Cassazionista
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NOTA di redazione:
Articolo 32 - Costituzione
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.