Il modernismo, nelle sue varie declinazioni, rifiuta ogni realismo filosofico, cioè nega la possibilità di conoscere, in certa misura, l'essenza del reale e le sue cause. In altri termini, assume un carattere anti-realistico ed antimetafisico. In questo senso, esso è figlio della filosofia cartesiana che ammette il primato del soggetto nei confronti del reale oggettivo: è la ragione, infatti, che costruisce l'oggetto.
Papa Sarto ha cercato, lo scrive molto bene lo storico Oscar Sanguinetti, di "rinchiudere l'inafferrabile modernismo all'interno di categorie intellettuali precise".
È certamente vero che il termine "modernismo" viene applicato per la prima volta a materie sociologiche e politiche e non teologiche, ma è anche vero, nota il teologo Luigi Sartori (1924-2007), che la stessa teologia, ad un certo punto, ne è permeata, finendo per subordinarsi a quelle premesse filosofiche proprie della modernità e delle sue conseguenze: il soggetto che prevale sul reale, il ruolo dell'intuizione nel processo conoscitivo, i fattori inconsci come criteri di sviluppo del sentimento religioso, il relativismo nella sfera della coscienza. Si pongono, in questo modo, grazie all'influsso dell'evoluzionismo positivistico francese e dello storicismo idealistico tedesco, le basi per ripensare i dogmi in senso immanentistico/naturalistico, per distinguere il "Cristo della storia" dal "Cristo della fede" etc. Si chiede alla Chiesa, in nome della "filosofia nuova" come la definisce il modernista Romolo Murri (1870-1944 che cercò di spostare a sinistra l'Opera dei Congressi), di adeguare le fonti della fede, lo studio di essa ed il suo insegnamento ai canoni della modernità.
Il pensiero viene, dunque, svalutato con contestuale assegnazione del primato alla volontà ed alla interiorità che si fanno esse stesse le regole del giusto e dell'ingiusto.
È l'"action" che deve assumere un posto di rilievo secondo l'insegnamento del francese Maurice Blondel (1861-1949), oggi molto apprezzato negli Istituti di Scienze religiose.
Contro i "nemici della croce di Cristo", scrive Pio X nella Lettere Enciclica "Pascendi" del 1907, che riducono la fede ad un atto emozionale derivante dall'intuizione e dal percepito, non ammettendo alcuna autorità esteriore (si assottiglia così il confine con il protestantesimo liberale), il successore di Leone XIII rimarca la validità perenne del tomismo.
Papa Sarto oppone agli indirizzi fenomenistici, agnostici ed immanentistici (cfr. san Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica "Fides et ratio" del 1998) del pensiero moderno la capacità conoscitiva della ragione di scorgere nell'oggetto i presupposti ed i principi del giusto ragionamento.
Egli non rifiuta il naturale aggiornamento fisiologico nell'ambito di un processo organico di crescita fondato su una precisa metafisica, ma prende con forza le distanze da una concezione della modernità intesa come negazione del principio di realtà e di non-contraddizione.
Un insegnamento attuale nell'età post-metafisica cui i cattolici devono guardare con riverenza, gratitudine e rispetto.
(Daniele Trabucco)