In particolare, sono due gli aspetti particolarmente rilevanti che conducono a quelle che, autorevolmente, sono state definite dalla dottrina costituzionalistica «le frontiere dello Stato costituzionale» (Groppi). In primo luogo, è indubbio che l’IA incida sul concetto di sovranità popolare, specialmente sulla formazione del consenso democratico: se, secondo la nota espressione di Norberto Bobbio (1909-2004), la democrazia è il potere visibile (sebbene non ci si interroghi mai sul suo autentico fondamento filosofico), molti degli strumenti dell’«Intelligenza artificiale», ad esempio le piattaforme tecnologiche le quali costituiscono oggi tra le fonti più importanti dell’informazione, operano nel nascondimento e negli algoritmi del software programmati per il raggiungimento di precisi interessi.
Pertanto, data questa premessa, non possono non sorgere pesanti dubbi e perplessità sulle modalità di formazione del consenso e dell’opinione politica, dal momento che il rischio è quello di accelerare la c.d. «bubble democracy», ossia la frammentazione del pubblico in una pluralità di segmenti privi di qualunque radicamento all’interno di una sfera comunicativa comune (si rinvia, sul punto, all’ottimo lavoro del prof. Damiano Palano). Le «democrazie stabilizzate» e le «nuove democrazie» corrono così il serio pericolo (in buona parte in atto) di subire una involuzione nelle loro stesse forme di Stato, in quel «Welfare State» che ha contraddistinto le Costituzioni del secondo dopoguerra e che è già stato largamente superato dal neoliberismo galoppante in assenza, peraltro, di modificazioni dei Testi costituzionali. È la conferma che il mito delle Carte costituzionali, quali limiti al potere, è evaporato da tempo. In secondo luogo, la «prepotenza delle nuove tecnologie», il «Prometeo scatenato» per dirla con le parole del filosofo tedesco Hans Jonas (1903-1993), condiziona l’effettiva garanzia dei diritti costituzionalmente tutelati, primo fra tutti quello al lavoro.
La proposta di regolamento UE sull’«Intelligenza artificiale», presentata dalla Commissione europea nell’aprile 2021, pare ancora molto debole, limitandosi (art. 52) ad introdurre un obbligo di informazione in capo all’utente della presenza di un sistema intelligente, qualora non sia evidente, ogniqualvolta questo sia diretto all’interfaccia con le persone fisiche, abbia finalità di riconoscimento delle emozioni etc.
Sono sufficienti, allora, la «trasparenza algoritmica» e l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni normative che contengono «automatismi»(Cartabia), tali da precludere al giudice di tener conto della specificità del caso concreto, per assicurare una feconda dialettica tra la dimensione giuridica e la sfera della cultura (in senso antropologico e metafisico)? Ad avviso di chi scrive le plurime sfide dell’IA richiedono non tanto di costituzionalizzare i «neurodiritti» (la tutela della sfera mentale e neurocognitiva), come ha fatto la Repubblica del Cile nella «nuova» Costituzione bocciata dal referendum del 04 settembre 2022, ma di frenare le derive di un potere concepito come unica condizione di libertà e giustizia per «tornare» ad una concezione dello stesso quale «arte della regalità» (Omero), ossia il potere/dovere di far crescere le cose secondo il loro intrinseco fine.
(immagine copertina. IA immagine generata da intelligenza artificiale europarl.europa.eu )
(Daniele Trabucco)