Lunedì, 20 Febbraio 2023 16:00

Intervista ad Andrea Sceresini, uno dei giornalisti bloccati a Kiev: “Sulla nostra agibilità si gioca la libertà di stampa” In evidenza

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Di Giulia Bertotto Roma, 20 febbraio 2023 (Quotidianoweb.it) - Andrea Sceresini, giornalista freelance è autore di reportage di guerra per La Stampa, Il Foglio, Il Fatto Quotidiani, collabora anche con La7. Undici giorni fa le autorità di Kiev hanno privato lui e il collega Alfredo Bosco (fotografo freelance toscano) dei loro accrediti stampa, accusandoli anche di essere spie russe. Con un conflitto di questa portata in corso questo può essere molto pericoloso. Mentre la guerra prosegue con la sua escalation militare e coinvolge sempre più realtà internazionali il presidente Giorgia Meloni si sta recando a Kiev e a sorpresa è arrivato anche il presidente Usa Biden nella capitale ucraina.

Ai due professionisti, Andrea e Alfredo, sono stati sospesi i documenti da cronisti al rientro dal fronte di Bachmut (capoluogo del distretto di Donetsk). Poi gli SBU, servizi di sicurezza ucraini, hanno comunicano loro che si sarebbero dovuti sottoporre ad un interrogatorio, cosa che loro hanno accettato di buon grado perché ritengono il lavoro pulito e limpido.

Poi si sono spostati a Kiev dove c'è la sede centrale SBU, nella speranza di poter risolvere la pratica il prima possibile e tornare a lavorare, ma anche lì niente. Senza il documento di giornalisti però ulteriori spostamenti sono rischiosi per loro.

Siamo riusciti a metterci in contatto con Andrea Sceresini.

Innanzitutto come state? Da quanti giorni precisamente siete in queste condizioni? Potete dirci dove vi trovate ora?

Stiamo bene ma molto sotto pressione, la situazione è questa ormai da 14 giorni (20 febbraio 2023 NdR.), dal 6 febbraio. Quelli che ci sono stati sospesi precisamente sono gli accrediti militari, che vengono mandati via e-mail e che poi noi provvediamo a stampare per esibirli al momento del controllo ai posti di blocco. Abbiamo sollecitato i tutti i modi il colloquio con la SBU perché è naturalmente nel nostro interesse risolvere tutto il prima possibile. Ci saremmo dovuti spostare a Kramatosk, ma lì è pieno di posti di blocco e ci avrebbero certamente fermati. Allora ci siamo recati a Kiev, spiegando alle autorità che ci troviamo sotto protezione dell'Ambasciata italiana. Nella capitale alloggiamo in un albergo a piazza Maidan. Qui possiamo circolare senza problemi. Credo che l'obiettivo sia farci tornare in Italia, toglierci di mezzo insomma.

 

Il vostro non è solo un problema personale e professionale ma una questione di libertà di informazione che può costituire un grave precedente.

Esattamente. Anche per i colleghi in futuro, perché se passa la linea che chi ha fatto ad esempio servizi sul campo dall'altra parte, cioè fisicamente in Russia (come ho fatto io ad ottobre) significa che potrà esserci solo propaganda e non giornalismo, tifo da sport e non dovere di cronaca e di inchiesta. In Russia è già così, se non sei  filo-russo e non dici ciò che ti chiedono non lavori. L'ucraina dovrebbe essere invece un paese democratico, deve dimostrarlo a questo punto e non avere lo stesso atteggiamento della Russia.

 

Avete rivolto un appello da parte dell'Ordine dei Giornalisti alla Farnesina, a che punto è l'intervento da parte delle istituzioni?

La Farnesina è allertata dal giorno uno di questa vicenda, così come l'Ambasciata Italiana a Kiev. Inizialmente pensando fosse tutto un equivoco abbiamo evitato di fare clamore intorno a questa faccenda, dato che c'è una guerra in corso con tanti civili in condizioni drammatiche. Ma quando ci siamo resi conto che ci sono altri colleghi nella stessa situazione e che l'accusa è che siamo stati dalla parte separatista è diventato un problema di libertà di stampa. Le autorità competenti italiane stanno facendo pressione su Kiev ma SBU non è un organismo che ha logiche evidentemente proprie ed è autonomo dal governo. Ad oggi non abbiamo ricevuto nessuna convocazione ma non arriva nessuna chiamata.

 

Quali sono i colleghi che si trovano attualmente una situazione analoga alla vostra?

 

Siamo quattro che io sappia, io e Alfredo Bosco, poi c'è Salvatore Garzillo (che è già stato qui per Ansa e Fanpage). Lo hanno bloccato la scorsa settimana alla frontiera con la Polonia affermando che non era più gradito e rimandandolo indietro. Lorenzo Giroffi invece, con cui ho lavorato molto in passato, è stato bloccato alla frontiera con l'Ungheria, sempre con l'accusa di essere stato nei territori separatisti. Ad aprile 2022 è stato bloccato, invece a noi non si comprende neppure la ragione di questa disparità di trattamento. La nostra situazione, mia e di Alfredo, è diversa perché siamo bloccati dentro il territorio Ucraino. Anche se io credo che non vogliano altro se non la nostra uscita dal paese. Insomma queste sono intimidazioni per evitare che la gente sappia cosa accade qui.

Ma queste accuse non sembrano ragionevoli, voi siete cronisti di guerra, è connaturato al vostro mestiere che vi rechiate nelle zone contese.

 

In un post su Instagram lei ha scritto che questo è successo a dispetto del fatto che “A Donetsk abbiamo indagato sulle miniere clandestine gestite dai leader separatisti, sui volontari fascisti che combattono coi russi, sulla corruzione, sulle faide interne del fronte putiniano”.

Voi rivendicate quindi di aver sempre svolto il vostro lavoro senza essere né filo-russi né filo-ucraini ma di aver cercato di mostrare all'opinione pubblica ciò che accade in modo il più possibile lucido e non ideologico. Perché allora vi definiscono “collaboratori del nemico”?

Anche in guerra ci sono regole, e gli accrediti possono essere sospesi se si fotografano obiettivi sensibili, la posizione militare o l'aeroporto, cose che vanno contro la sicurezza nazionale. Ed è giusto, ci mancherebbe, dato che c'è in gioco la vita dei soldati e dei civili. Ma qui invece la questione è un'altra: non si sta tutelando la libertà di inchiesta. Come in tutte le guerre ogni tentativo di raccontare i fatti con obiettività è visto come un nemico o almeno con sospetto. Ricordo un episodio accaduto nel 2014: io mi trovavo a Donietsk, gli Ucraini bombardarono e la propaganda filo-ucraina italiana, sosteneva che fossero i russi che si bombardavano da soli per dare la responsabilità agli ucraini, che è un'assurdità. Dopo un mese i russi bombardarono Mariupol (controllata da Kiev all'epoca), facendo una strage di civili al mercato, e anche qui si sostiene che si siano bombardati da soli. Questo è il livello grottesco della comunicazione in guerra, almeno in questa. Secondo i russi, ce lo dicevano chiaramente, gli ucraini sono tutti nazisti con il Main Kampf sempre nello zaino. Sarebbe comico se non fosse tragico. Io, Alfredo e Giroffi siamo stati anche arrestati per via delle riprese nel 2016 nelle regioni separatiste, abbiamo passato una notte in carcere, l'unica e spero mai più.

Che cosa possiamo fare per voi e quindi per la libertà di stampa?

Divulgare il più possibile questa vicenda, far sapere a tutti cosa sta succedendo a noi e cosa succede se la guerra viene raccontata solo in modo propagandistico. Per l'onore e il valore di questo lavoro, perché c'è in ballo il diritto all'informazione per tutti i cittadini e l'opinione pubblica.

Cose del genere non devono più accadere in futuro. E mi riferisco alla violazione della libertà di stampa. E magari chissà, spero anche la guerra.

 

Possiamo dire che la guerra è anche l'epifania della lotta di classe. A combattere non ci vanno oligarchi e presidenti ma cittadini, giovani ragazzi e ci rimettono i civili.

La testimonianza più umana in questa guerra l'ho ascoltata da un contadino di patate siberiano ad ottobre. In Siberia viene reclutata gran parte dei soldati che combattono al fronte russo.

Mi ha detto che lui è un contadino, come lo sono i contadini ucraini, e che si sente più vicino a loro che agli oligarchi russi. La frase più saggia sulla guerra l'ho sentita da un contadino nella steppa.

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Giulia Bertotto

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