Solo una manifestazione canora banale poteva generare un panegirico banale, semplicistico e di basso profilo. Solo chi vive il sonno della ragione può accontentarsi di espressioni ovvie, incapaci di cogliere l'ideologia compromissoria ed anfibologica che innerva il Testo fondamentale del 1948 ed, in generale, i Testi costituzionali del secondo dopoguerra. In data 11 marzo 1947, durante i lavori dell'Assemblea Costituente, Benedetto Croce (1866-1952) rilevava come una delle "cagioni per cui l'opera (il Testo costituzionale) non è felicemente riuscita proviene dall'essere stata scritta da più persone in corso".
Ora, al di là delle aporie del costituzionalismo moderno (Castellano), su cui il Benigni dovrebbe rivolgere la sua attenzione ed il suo studio, la Costituzione italiana (e non solo) altro non è che un insieme di disposizioni cui dare di volta in volte contenuto attraverso le leggi ordinarie e l'attività ermeneutica del giudice delle leggi. In altri termini, il formalismo proprio del kelsenismo costituzionale si confonde con lo schmittismo socio-giuridico per cui il Testo fondamentale garantisce ciò che l'identità collettiva, che l'ha posto ed approvato, è oggi divenuta.
Ben lontana dall'essere "un'opera d'arte", la Costituzione è una fonte di produzione a contenuto normativo variabile che favorisce un ordinamento costituzionale modulare ove l'unico meta-valore assoluto è il continuo bilanciamento di principi ed interessi dovuti alle aggregazioni e agli spostamenti del pluralismo (Zagrebelsky).
In questo modo, non è la Costituzione norma per la società civile, ma è la società civile norma per la Costituzione (Castellano). La coesistenza di qualunque contenuto nel Testo (ad esempio il diritto all'integrità psico-fisica della madre e il diritto alla vita del concepito) consente l'unico carattere immutabile della Costituzione, ossia la sua liquidità. Detto diversamente, la conservazione di ogni contenuto comporta l'indifferentismo e così il costituzionalismo, anziché garantire un ordine politico, alimenta l'accentuazione dei conflitto in nome della necessità di una permanente evoluzione nella realizzazione stessa della Costituzione.
Quella "Carta" che nacque, lo scriveva magistralmente Gioacchino Volpe (1876-1971), dopo una vittoria di armi straniere, con gli stranieri accampati ancora nel nostro Paese....in un momento patologico della Nazione quando tanti italiani si voltavano di furia, sincera o fittizia, contro tutto quello che, in qualche modo, rappresentava il passato".
Eh sì, caro Benigni, "un'opera d'arte" cui è ora di togliere il velo di Maya.
(Daniele Trabucco)