Domenica, 01 Maggio 2022 08:56

Platone ha compiuto davvero il parmenicidio? In evidenza

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Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 1 maggio 2022 - L'essere è ed il non-essere non è.

È questa l'affermazione logico-ontologica del pensiero filosofico di Parmenide di Elea (515 a.C. - 450 a.C.) espresso nel "De natura", opera che ci è pervenuta incompleta. Il fondatore della scuola eleatica ritiene che sussista una perfetta identità tra pensiero e realtà: "lo stesso, infatti, è il pensiero e l'essere". Com'è noto, la ferrea logica di Parmenide è stata messa in discussione prima da Platone (428 a.C. - 348 a.C.) e poi da Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) che lo considera "il folle". In particolare il primo, pur riconoscendo nell'eleatico "un Maestro tremendo e venerando" (così nel "Teeteto" utilizzando un'espressione di Omero), compie, nel Dialogo della vecchiaia "Il Sofista", il c.d. "parmenicidio". 

Nell'ambito della teoria dei cinque generi sommi (essere, identico, diverso, quiete e moto), il discepolo di Socrate distingue due sensi del "non-essere":

1) il "non-essere" come opposto, o contrario dell'essere ("non-essere" assoluto);

2) il "non-essere" come diverso dall'essere ("non-essere" relativo). Come contrario dell'essere, il "non-essere" è il niente assoluto. Così inteso, è impossibile che il "non-essere" sia ed è persino impossibile pensarlo. Platone, in questo senso, è sulla stessa linea di Parmenide.

Tuttavia, c'è anche un secondo significato del "non-essere". Albero, infatti, non significa essere ed, in questo senso, è "non-essere", ma albero non significa nemmeno niente, ma un quid diverso dall' "essere". Platone, dunque, con il concetto di "non essere" in senso relativo è convinto di aver superato il problema del rapporto uno-molti posto da Parmenide, giustificando in questo modo la molteplicità delle idee le quali presentano ciascuna i caratteri dell'essere parmenideo.

Tutto questo, però, pone una questione non secondaria: è possibile tollerare un certo di grado di "non-essere" come fa Platone?

 Il "non-essere" relativo, infatti, resta sempre un "non-essere". Se l'albero è un "non-essere" diverso dall'essere, esso, nella prospettiva di Parmenide, continua a non essere l'essere. Ammettere un qualcosa diverso dall'essere, non significa cadere sempre nel non-essere, cioè ammettere l'esistenza di un ente il quale, in quanto diverso e distinto, NON É L'ESSERE?

Siamo, allora, sicuri che "il blocco monolitico dell’essere "ὁμοῖον" di Parmenide, quell’essere tutto uguale a sé stesso, è definitivamente spezzato" come ha autorevolmente sostenuto il prof. Giovanni Reale?

Da qui la necessità, per la filosofia cristiana, di fare i conti seriamente con Parmenide, inaugurando nuove prospettive di ricerca.

(Daniele Trabucco – Costituzionalista)

 

 

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Daniele Trabucco (Costituzionalista)