Lunedì, 11 Settembre 2023 05:45

Il Terzo Fattore e i paradigmi socioeconomici In evidenza

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 Di Ambrogio Giordano 10 settembre 2023 - Negli ultimi anni, la rapida crescita della popolazione mondiale e delle attività economiche hanno causato stress ambientali in tutti i sistemi socio-economici. I problemi come l’effetto serra, l’assottigliamento dello strato d’ozono, le piogge acide, la perdita di biodiversità, gli inquinamenti tossici e l’esaurimento delle fonti rinnovabili e non rinnovabili, sono diventati chiari segni dell’insostenibilità ambientale, senza contare gli sconvolgimenti ambientali.

I presupposti etici del Terzo Fattore diventano l’acquisizione di una dimensione trascendente e l’ammissione al coinvolgimento individuale avendo come fine l’amore per gli uomini e per il pianeta.

Oggi l’esigenza di adottare approcci sistemici a seguito dalla complessità peculiarità delle questioni ambientali è diventato strumento  necessario in quanto solo in questo modo si possono valutare ed analizzare le relazioni sussistenti fra tre diverse tipologie di sistemi:

  • il sistema economico
  • il sistema umano
  • il sistema naturale

Il sistema economico include tutte le attività economiche dell’uomo come la produzione, gli scambi ed i consumi. Dato il contesto ben delineato del fenomeno esso è stato facilmente riconducibile a modello sistemico.

Il sistema umano comprende invece l’ontologica natura di tutte le attività umane includendo in esso la biologia umana, l’antropologia, la psicologia sino all’estetica ed alla morale. Questo sistema ingloba la struttura complessa della vita dell’uomo sul pianeta.

Il sistema naturale, infine, comprende il sistema umano e quello economico tra loro interrelati.

Sussiste dunque una particolare gerarchia caratterizzante i tre fronti, quello economico, ambientale e sociale.

Pur tuttavia tende a persistere l’implicita convinzione che, pur essendoci un certo livello di interconnessione tra questi sistemi, nessuno dei tre sia più importante degli altri, né ci sia una forte dipendenza dell’uno nei confronti dell’altro. In altri termini si è portati  a credere possibile l’esistenza di una economia in gran parte scollegata dalla società, e di una società che può sopravvivere a prescindere dall’ambiente in cui risiede. Oltretutto, se si andasse a indagare come viene percepita la gerarchia tra le tre variabili, si scoprirebbe che per l’uomo l’economia si colloca al primo posto, nella convinzione che in assenza di risorse finanziarie qualunque istanza, sia essa sociale o ambientale, perda di rilevanza. In realtà, l’approccio corretto è quello che vede nella grafica dei tre cerchi messi in posizione concentrica: il più piccolo è quello dell’economia, contenuto all’interno dell’area società, a sua volta inserita nel cerchio che rappresenta l’ambiente.

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(Fig. 1) Le tre dimensioni della sostenibilità

Nello specifico, l’ambiente costituisce una base di risorse essenziali per il funzionamento del sistema economico, questo perché, come ogni attività umana, l’attività economica si svolge all’interno dell’ambiente naturale. Tra sistema economico e ambiente naturale si determina dunque una relazione di interdipendenza dalla quale derivano sia il modo con cui il sistema economico influisce sull’ambiente, sia i limiti che l’ambiente pone all’evoluzione e all’espansione del sistema economico data la limitatezza delle risorse naturali.

In particolare, l’ambiente e la natura in generale, forniscono per definizione un insieme di risorse da considerare limitate e finite…. altro che modello economico a crescita infinita!

Si tratta di risorse scarse, la prima e la seconda legge della termodinamica ci dicono che le risorse dell’ambiente sono limitate e che le stesse non possono essere riprodotte senza limite mediante l’attività dell’uomo uomini e ciò a prescindere dal progresso tecnologico e il contraltare dell’incombente sviluppo demografico. 

Ecco che il problema della limitatezza delle risorse naturali coinvolge l’economia mondiale poiché i vincoli alla crescita, legati ai limiti nella disponibilità di risorse a livello dei singoli sistemi economici, potrebbero essere allentati attraverso l’importazione delle risorse stesse da altri paesi.

Un modello di economia statale opposto come semplificazione giustificativa all’ossimoro generato dal concetto di economia globale.

Al riguardo gli economisti parlano di dotazioni di fattori che le nazioni possiedono per spiegarne la loro crescita economica[1].

Per le economie semplici, invece, le dotazioni comprendono la terra, le risorse materiali, l’energia e una forza lavoro fisicamente forte.

Quando le nazioni erano essenzialmente agricole, la terra rappresentava infatti il fattore che aveva maggiore valore. Solo dopo la rivoluzione industriale anche risorse materiali, energia e lavoro più qualificato hanno acquisito importanza.

Invece, le nazioni avanzate si ritiene che si trovino in una era post industriale in cui i servizi, piuttosto che i manufatti, divengono estremamente importanti e il lavoro basato sulla conoscenza sostituisce quello fisico.

Oggi una lista estesa di fattori di dotazione dovrebbe dunque includere: Terra,  Risorse materiali (capitale naturale e fisico), Energia, Forza lavoro capace di eseguire lavoro fisico, Capitale umano intellettuale, Sistemi di innovazione, Capitale artificiale (es. infrastrutture come ferrovie, ponti, strade, porti, aeroporti, ecc.), Information e Communication Technology (ICT), Salute e ambiente, Capitale strutturale, Reti, Capitale sociale (conoscenza detenuta dai cittadini e dai consumatori).

Ecco che attualmente oltre al capitale tecnico-monetario e al lavoro, tende a farsi strada e quindi ad emergere una terza forma di capitale dalla teoria economica che è altrettanto cruciale per il funzionamento di un sistema economico proteso alla produzione, al consumo ma soprattutto al benessere. Si tratta del cosiddetto capitale naturale[2] che consiste genericamente nella dotazione di risorse naturali e ambientali disponibile in una economia.

Al riguardo l’economista ambientale Herman Daly scrive:

“Per la gestione delle risorse rinnovabili ci sono due ovvi principi di sviluppo sostenibile. Il primo è che la velocità del prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione (rendimento sostenibile). Il secondo, che la velocità di produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alle capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi. Le capacità di rigenerazione e di assorbimento debbono essere trattate come capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste capacità deve essere considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile”[3].

Ed ancora: “Ci sono due modi di mantenere il capitale totale intatto. La somma del capitale naturale e di quello prodotto dall’uomo può essere tenuta ad un valore costante; oppure ciascuna componente può essere tenuta singolarmente costante. La prima strada è ragionevole qualora si pensi che i due tipi di capitale siano sostituibili l’uno all’altro. In quest’ottica è completamente accettabile il saccheggio del capitale naturale fintantoché viene prodotto dall’uomo un capitale di valore equivalente. Il secondo punto di vista è ragionevole qualora si pensi che il capitale naturale e quello prodotto dall’uomo siano complementari. Ambedue le parti devono quindi essere mantenute intatte (separatamente o congiuntamente ma con proporzioni fissate) perché la produttività dell’una dipende dalla disponibilità dell’altra. La prima strada è detta della sostenibilità debole, la seconda è quella della sostenibilità forte”.

A livello globale, la limitatezza delle risorse naturali nonché l’individuazione di una soglia ottimale di inquinamento tollerabile, sollevano dunque il problema della sostenibilità della crescita economica, ossia del rischio che la crescita stessa possa essere compromessa dal venir meno della base necessaria di risorse naturali e ambientali.

Il grafico sottostante mostra il rapporto critico instauratosi negli ultimi anni tra il consumo di risorse naturali, e l’indice di sviluppo umano HDI, il quale fornisce indicazioni sulla qualità della vita nei vari paesi del mondo.

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(Fig. 2) Grafico del rapporto fra indice consumo risorse naturali e HDI.[4]

Ecco che l’interesse nei confronti dei limiti dello sviluppo rappresenta proprio il momento in cui l’elaborazione teorica si sposta verso il concetto di crescita intesa come tensione verso una più elevata qualità della vita alla ricerca di percorsi di sviluppo volti a permettere di preservare nel tempo il benessere nel frattempo raggiunto.

Si inizia dunque a considerare una definizione di benessere da protrarsi nel tempo mediante una attenta gestione dell’equilibrio fra sistema economico, sociale e ambientale mirante proprio a preservare gli stock di risorse disponibili controllando i flussi e i meccanismi di interazione fra i tre sistemi.

Pertanto, ad oggi la riflessione sulla sostenibilità rappresenta la base da cui partire per orientare politiche, azioni e comportamenti. Sostenibilità significa infatti che le nostre società sono chiamate a progettare il proprio futuro in modo da prevedere, anticipare, costruire e praticare concretamente modalità diverse di sviluppo attraverso un’azione integrata delle tre diverse dimensioni prima citate che ne determinano l’evoluzione economica, come capacita di garantire redditi, profitto e lavoro; l’evoluzione sociale, come capacita di rimuovere le disuguaglianze, promuovere coesione sociale e migliorare la qualità della vita; l’evoluzione ambientale, come capacita di mantenere la qualità e la riproducibilità delle risorse naturali, di arricchire e valorizzare il patrimonio storico, artistico e culturale.

In altri termini, il concetto di sviluppo sostenibile implica che le dinamiche economiche e sociali delle moderne economie siano compatibili con il miglioramento delle condizioni di vita e la capacità delle risorse naturali di riprodursi in maniera indefinita.  Appare indispensabile, pertanto, garantire uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale.

Il perseguimento dello sviluppo sostenibile dipende dunque dalla capacità della governance di garantire una interconnessione completa tra economia, società e ambiente, variabili queste da dover opportunamente valutare. Per far ciò, gli indicatori a disposizioni sono innumerevoli e vanno da quelli macroeconomici, come il prodotto nazionale lordo e la produttività, a quelli ambientali, come il consumo idrico e le emissioni o le statistiche sociali, come la speranza di vita e il livello d’istruzione.

Il problema è reso ancora più difficile dal fatto che oltre ad essere multidimensionale, lo sviluppo sostenibile è anche un concetto dinamico. Per quantificarlo è necessario giocare con diversi parametri tra i quali gli orizzonti temporali. I fenomeni economici, sociali e ambientali agiscono a ritmi diversi tra di loro. In economia, per esempio, per un progetto energetico, l’orizzonte temporale è di almeno cinquanta anni.

Ma nel caso di investimenti sui mercati finanziari, i secondi necessari per trasmettere informazioni sui prezzi da una borsa all’altra possono significare guadagni o perdite ingenti. Nel caso dell’ambiente, invece, il ritmo può a volte accelerare improvvisamente, come quando le riserve ittiche si esauriscono di colpo, dopo essere lentamente diminuite per anni.

Dobbiamo inoltre tenere presente che lo sviluppo sostenibile è un processo che mette in relazione gli eventi del passato con le nostre azioni presenti, influenzando le alternative e gli esiti del futuro. Da ciò se ne deduce che elaborare indicatori non è una questione puramente statistica o tecnica, ma riguarda due aspetti molto delicati in tutte le società: la credibilità dei governi e partecipazione sociale.

Al riguardo, un approccio epistemologico ai problemi della ricerca in contesti complessi con implicazioni politico-sociali, come i problemi globali legati al sistema complesso dell’ambiente, è rappresentato dalla “Scienza Post-Normale”. Tale prospettiva si occupa di due aspetti di problem solving che sono solitamente trascurati nei resoconti tradizionali della pratica scientifica: l’incertezza e i giudizi di valore.

“La gestione dei sistemi complessi come se si trattasse di esercizi scientifici semplici ci ha condotti all’attuale miscela di trionfo e pericolo. Noi siamo i testimoni dell’emergere di nuove strategie di risoluzione dei problemi, nelle quali il ruolo della scienza, pur importante, viene ora valutato nell’ampio contesto delle incertezze dei sistemi naturali e della rilevanza dei valori umani.”[5]

In altri termini, il nome post-normale indica che gli ordinari esercizi di problem-solving della scienza normale, i quali sono estesi dal laboratorio delle scienze di base alla natura attraverso la scienza applicata, non sono più adatti alla soluzione dei problemi ambientali. Inoltre la scienza post-normale spiega adeguatamente le ragioni di una partecipazione più estesa ai processi decisionali su questioni scientifiche, fondandole sull’esigenza di garantire la qualità in tali aree.

Secondo Funtowicz e Ravetz[6] anche se gli economisti neoclassici hanno tradizionalmente potuto mantenere la loro credibilità relegando in secondo piano l’incertezza nella conoscenza, e la complessità nell’etica, pur tuttavia l’incertezza nelle informazioni in ingresso, produce sempre un’irriducibile incertezza nelle conclusioni.

“La questione non è se è solo il mercato che può determinare il valore, dato che gli economisti hanno lungamente discusso sui altri strumenti di valutazione; la nostra preoccupazione è che in ogni dialogo il presupposto è che tutte le valutazioni o “numerari” dovrebbero essere riducibili ad una singola dimensione standard”. (Funtowicz e Ravetz, 1994, p.198)

Il problema della qualità delle policy suggerite è dunque relativo al loro grado di robustezza rispetto all’incertezze.

Nel grafico che segue sui due assi cartesiani sono riportati, rispettivamente, in orizzontale l’incertezza dei sistemi, e in verticale la posta in gioco, entrambe comprese tra un valore basso e uno alto. Lo schema permette di individuare tre principali situazioni. La scienza applicata corrisponde all’area definita da una incertezza e da una posta in gioco basse.

 Quando entrambe queste variabili hanno un valore intermedio, siamo nell’ambito della consulenza professionale. Infine quando i valori diventano alti entriamo nel campo della scienza post normale, una metodologia per affrontare i problemi in fase di esplorazione, che non esiste ancora in forma compiuta.

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(Fig. 3) Fonte: Funtowicz, La Scienze Post-Normale; Scienza e governance in condizioni di complessità, 2006.

Nei nuovi problemi di scienza post-normale la qualità dipende dunque da un dialogo aperto tra tutti coloro che ne sono toccati. Possiamo chiamare l’insieme di tali soggetti comunità estesa di pari grado una comunità formata non solo da individui istituzionalmente accreditati, ma piuttosto da tutti coloro che desiderano partecipare alla risoluzione di una questione, contribuendo con il proprio sapere.

Un principio basilare della scienza post-normale è dunque che questi nuovi partecipanti sono indispensabili. Questa estensione della peer comunity è essenziale per mantenere la qualità dei processi di risoluzione dei sistemi complessi. Di conseguenza l’appropriata gestione della qualità è arricchita dall’inclusione di questa molteplicità di partecipanti e prospettive. I criteri di qualità in questo nuovo contesto, come nella scienza tradizionale, presupporranno principi morali.

Ma in questo caso, i principi saranno chiari e diventeranno parte del dialogo. Come scienza post-normale, l’economia ecologica riconosce dunque l’importanza e la legittimità di diversi principi di valore per una appropriata gestione dell’incertezza, atavico problema dell’uomo.

 

[1] A. Basset, L. Rossi, “Fondamenti di ecologia”, MCGraw-Hill, seconda ed. it., 2007.

[2] Le risorse che costituiscono il capitale naturale sono sia le risorse naturali in senso stretto (aria, acqua, suolo) ma anche la biodiversità, la fertilità, il clima, l’equilibrio idrogeologico, e il complesso insieme di relazioni che all’interno degli ecosistemi si sviluppa fra mondo inorganico e mondo vivente.

[3] Enzo Tiezzi, “Gli indicatori ecologici ed economici della sostenibilità”

 http://www.zenzero.info/decrescita/DECRESCITA_sostenibe_Prof.Tiezzi.pdf

[4] Fonte: http://www.footprintnetwork.org/press/LPR2010.pdf

[5] Silvio Funtowicz, “La Scienza Post-Normale; Scienza e governance in condizioni di complessità, 2006”.

[6] Funtowicz S, Ravetz J. “Science for the Post-Normal Age. Futures” 1994.

      

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ambrogio.jpeg "Ambrogio Giordano, è nato a Foggia il 05/09/1961 ed è attualmente Amministratore Unico di AMIU Spa - città di Trani (BT). Oltre a svolgere attività professionali in tutta Italia è stato per molti anni Dirigente Tecnico di AMIU Puglia Spa. È laureato in Ingegneria Civile, Ingegneria Ambientale, Sociologia, Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale ed ha conseguito un Master universitario di II Livello in Scienze Criminologiche. È Presidente nazionale della Fraternità Ortodossa, nominato in tale ruolo da Sua Beatitudine Mons. Filippo Ortenzi, Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana, di cui è stretto collaboratore rivestendo ulteriori ruoli all’interno della compagine ecclesiastica. Da anni si occupa di problematiche legate all’ambiente, nonché di temi sociali legati al mondo del lavoro, alle disabilità ed ai fenomeni di devianza sociale. Collabora con numerose Organizzazioni, Enti ed Associazioni con finalità sociali e culturali. Attualmente è presidente del comitato tecnico scientifico dell’Associazione Rinascita e Rose. Ha collaborato alla stesura di numerosi testi organizzando e presiedendo convegni inerenti tematiche legate alla filosofia e alla logica e tematiche socio-economiche. Tra i suoi interessi la filosofia, i modelli matematici, la logica e le scienze sociali. Molti dei suoi scritti sono rintracciabili su numerosi blog e sui social network".                 

 

(Nel riquadro  Ambrogio Giordano)