#ilsilenzioèdolo: contro le mafie e tutti i pregiudizi, una conferenza-incontro al Teatro Asioli di Correggio. Il progetto di sensibilizzazione nasce dal cantautore correggese Marco Ligabue, in collaborazione con Lello Analfino, leader del gruppo Tinturia, con il rapper siciliano Othelloman. Sul palco, insieme al sindaco di Correggio, al coordinatore provinciale di Libera e agli autori del progetto, anche il presidente dell'associazione nazionale "Verità Scomode" e Valeria Grasso, imprenditrice palermitana, simbolo della lotta al racket -
Reggio Emilia, 17 marzo 2015 -
"Il silenzio è dolo" – dall'omonimo brano lanciato da Marco Ligabue, in collaborazione con Othelloman e Lello Analfino – è il titolo della conferenza-incontro in programma al Teatro Asioli, mercoledì 18 marzo, alle ore 11. L'iniziativa, promossa dal Comune di Correggio, in collaborazione con Libera, nell'ambito di "Accendi la mente, spegni i pregiudizi" – Settimana d'azione contro il razzismo, vede sul palco, insieme al sindaco di Correggio, Ilenia Malavasi, al coordinatore provinciale di Libera, Manuel Masini, e agli autori del progetto, anche Ismaele La Vardera, presidente dell'associazione nazionale "Verità Scomode" e inviato della tv TeleJato, e Valeria Grasso, imprenditrice palermitana, simbolo della lotta al racket da quando ha avuto il coraggio di denunciare i propri estorsori.
L'incontro è rivolto principalmente alle scuole, ma l'ingresso è gratuito fino ad esaurimento posti.
"Il silenzio è dolo" è un singolo, e un video da cui nasce un vero e proprio progetto di sensibilizzazione contro tutte le mafie, scritto dal cantautore correggese Marco Ligabue, in collaborazione con Lello Analfino, leader del gruppo Tinturia, con il rapper siciliano Othelloman e con la Nazionale Cantanti. Il progetto ha preso piede partendo da un'inchiesta giornalistica di Ismaele La Vardera, 21 anni, che ha denunciato i brogli elettorali del suo paese in provincia di Palermo durante le scorse elezioni europee provocando le dimissioni dell'intera giunta. Al progetto si è unita la testimone di giustizia Valeria Grasso, un'imprenditrice che ha denunciato le famiglie mafiose che le chiedevano il pizzo. Con l'appoggio del giudice Nino Di Matteo, il progetto vede una raccolta firme attiva online su change.org a supporto di un'interrogazione parlamentare che mira a chiedere l'immediato riutilizzo dei beni confiscati alle mafie a beneficio dei giovani imprenditori.
"L'iniziativa si inserisce tra quelle promosse dall'amministrazione comunale per promuovere la cultura della legalità", illustra il sindaco, Ilenia Malavasi. "Risponde in questo modo alla sollecitazioni che Libera e Avviso Pubblico hanno rivolto agli enti locali per organizzare sui territori iniziative che rientrano in una proposta comune – "100 passi verso il 21 marzo" – di sensibilizzazione della cittadinanza sul tema della legalità".
"Questo è il nostro contributo in vista della ventesima Giornata Nazionale della Memoria e dell'Impegno per ricordare le vittime di mafia, cui aderiamo con convinzione partecipando con il nostro gonfalone all'iniziativa", aggiunge il sindaco. "Abbiamo caratterizzato il nostro lavoro di questi mesi con un impegno costante sulla legalità e sul rispetto delle regole, agendo in modo trasparente, aderendo ad Avviso Pubblico e coinvolgendo la città e le scuole di ogni ordine e grado. Si tratta di un'azione costante e quotidiana con la quale vogliamo caratterizzare questo mandato amministrativo per contribuire alla crescita di una collettività che riconosca nella cultura della legalità democratica un presupposto fondamentale per la costruzione di una società migliore. Sono molto contenta che questo progetto venga presentato anche a Correggio e per questo ringrazio Marco Ligabue e i suoi collaboratori per la disponibilità a la sensibilità dimostrate".
(Fonte: Ufficio stampa Comune di Correggio)
I legami del Clan dei Casalesi con l'Emilia Romagna, in particolare con il modenese. Il pentito Roberto Vargas racconta che Nicola Schiavone si voleva trasferire a Modena per sviare le indagini nei suoi confronti. -
Modena, 13 marzo 2015 - di S.P. -
La recente operazione "Spartacus Reset" eseguita dai Carabinieri e dalla Direzione Distrettuale Antimafia ha portato nuovamente alla luce i legami del Clan dei Casalesi con l'Emilia Romagna, in particolare con il modenese. In carcere sono finite 42 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni, detenzioni di armi e ricettazione, reati tutti aggravati dal metodo mafioso. Sono tutti ritenuti capi e gregari della fazione Schiavone del clan dei Casalesi.
Tra loro anche Carmine e Nicola Schiavone, figli del boss Francesco Schiavone "Sandokan". In particolare il legame emiliano romagnolo si evince quando il clan tentò di organizzare un attentato contro il magistrato della DDA Federico Cafiero de Raho, oggi procuratore capo di Reggio Calabria, ciò nel 2011. Lo ha rivelato il pentito Roberto Vargas che racconta ai pm: "Nel corso del primo incontro tra me e Nicola Schiavone, avvenuto in San Marcellino, questi mi disse che una volta eliminati Iovine e Zagaria, avremmo dovuto fare pulizia interna al clan e successivamente avremmo potuto colpire il pool di magistrati, per primo Cafiero De Raho".
Il collaboratore di giustizia ha spiegato che il piano contro il pm della Dda prevedeva l'utilizzo di terroristi, "mentre noi avremmo fornito gli appoggi logistici". "Secondo quanto diceva Schiavone – afferma Vargas – i terroristi erano stati già addestrati a colpire in quanto avevano preso parte a fatti di sangue all'estero per l'organizzazione terroristica. Siccome i terroristi avevano avuto alcuni problemi, si erano alleati con noi al fine di ottenere dei rifugi sicuri nell'agro aversano. Schiavone mi disse di aver incontrato questi terroristi nell'agro aversano e mi disse che sarei dovuto essere io il contatto diretto con queste persone, mentre lui si sarebbe trasferito a Modena, per sviare le indagini nei suoi confronti. Poi sono stato arrestato e quindi non se ne è fatto più nulla".
Il fatto che si volesse trasferire a Modena conferma quanto emerso negli ultimi dieci anni circa la presenza e gli appoggi di cui i casalesi godono in Emilia.
Mafia, Brigate Rosse e illegalità: contro tutto ciò ha sempre lavorato e vissuto il giudice Gian Carlo Caselli, ospite a Novellara -
- di Federico Bonati -
Reggio Emilia, 12 marzo 2015 –
Una vita contro. Contro il malaffare, contro l'illegalità, contro tutti i fattori che si frappongono in maniera avversa alla legalità. Contro le Brigate Rosse e contro la Mafia. È questa la vita del giudice Gian Carlo Caselli raccontata nel libro "20 anni contro", scritto assieme al collega e amico Antonio Ingroia. Il giudice è stato accolto a Novellara per presentare il suo libro e rispondere alle domande del direttore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, in una serata promossa dall'associazione novellarese NOI (Nuovi Orizzonti Insieme).
Caselli, che dal 1974 vive sotto scorta, è oggi responsabile dell'osservatorio di Eurispes e Coldiretti sulle agromafie, ma allo stesso tempo prosegue il suo percorso nel nome della legalità, incontrando platee e studenti, raccogliendo ampi consensi e qualche volta anche alcune contestazioni. La più recente risale a qualche giorno fa a Firenze, quando un gruppo di No Tav, memori delle inchieste sul movimento in Val di Susa durante il suo periodo come procuratore capo a Torino, gli ha impedito di tenere una conferenza, organizzata, fra gli altri, da Libera, sulle mafie. Il commento di Caselli in apertura di serata sull'accaduto è lapidario: "Questa non è democrazia, questo è squadrismo".
Inizia quindi il flashback delle inchieste seguite da Caselli, della lotta durata quindici anni alle BR, del suo approdo a Palermo dopo la strage di via D'Amelio, con ben 650 ergastoli comminati in sette anni di lavoro e arresti eccellenti, quali Riina e Brusca, arrivando poi alle inchieste piemontesi sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta. Dovendo fare un bilancio Caselli non ha dubbi: "Ho sempre cercato di fare il mio dovere, seguendo l'interesse generale. Sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto, e se tornassi indietro lo rifarei". In sostanza, ne è valsa la pena.
Senatore lo incalza poi in merito alla trattativa Stato-mafia, sulla quale il giudice torinese sentenzia in questa maniera: "Eravamo convinti di essere giunti al traguardo, ma poi sono arrivati nomi eccellenti coinvolti nell'inchiesta, e di conseguenza sono arrivati ostacoli. Falcone e Borsellino, sotto questo aspetto infatti, sono stati presi a calci. Era evidente che chi toccava i fili dell'elettricità, per usare una metafora, prendeva la scossa, e a volte moriva".
Si arriva quindi alle questioni di casa nostra quando è emerso, con l'Operazione Aemilia, la presa di coscienza di infiltrazioni nella borghesia: la mafia che fa affari, con colletto bianco e giacca, lontana dai soliti stereotipi e dalle azioni stragiste. Ma, afferma Caselli, è inutile stupirsi, quando elementi come il riciclaggio di denaro sporco e il soggiorno obbligato dei mafiosi, nel Nord e nel Centro Italia, sono facce della stessa medaglia.
E se da un lato il business della mafia e dell'illegalità, fra corruzione ed evasione, muove qualcosa come 330 miliardi di euro, dall'altro il giudice Caselli afferma come convenga ai cittadini, e pure alle istituzioni, stare dalla parte della legalità, una strada giusta fatta di risorse che possono favorire lo sviluppo economico e sociale.
Caselli risponde poi anche ad una domanda della Gazzetta dell'Emilia, in merito alle frasi dell'ex boss Cutolo ("Se parlo, crolla lo stato") e allo scoramento dei cittadini rispetto alle istituzioni. "Cutolo può dire quello che vuole- attacca Caselli- ma nonostante le mele marce al suo interno, lo Stato non crolla. Per quanto riguarda la sfiducia posso dire che se gli esempi sono i condoni fiscali, che chi conta la fa sempre franca, sfido io ad avere fiducia. Ma la sfiducia è in realtà indotta dai media. È invece importante avere fiducia nel ruolo dello stato e della magistratura. Ma ai cittadini mi sento di dire un'altra cosa: la cultura, il dialogo e la civiltà sono basilari per combattere, ogni giorno, la mafia".
I numeri del radicamento delle mafie in Emilia-Romagna e l'impegno per la legalità: quarta regione in Italia per operazioni anti-droga al giorno ma sesta per beni sequestrati. "Mosaico di mafie e antimafia", il Dossier 2014-2015 realizzato dalla Fondazione Libera Informazione -
Parma, 12 marzo 2015 -
I numeri forniti dalla Regione sul radicamento delle mafie in Emilia-Romagna, sono tutto fuorché positivi: dalle 5 operazioni anti-droga al giorno - la nostra è la quarta regione in Italia, prima per segnalazioni di traffico di droghe sintetiche - ai 312 fatti estorsivi del 2013, cui associare 399 episodi di danneggiamenti seguiti a incendi, classica minaccia utilizzata dai boss nonché uno dei principali 'reati spia' sul tentativo di intimidire per poi mettere le mani su imprese e comparti economici.
Fino alla conferma della presenza della 'ndrangheta: in ambito di riciclaggio, infatti, sulle 161 segnalazioni arrivate alla Direzione nazionale antimafia dal luglio 2012 al giugno 2013 e relative all'organizzazione calabrese, 50 riguardano l'Emilia-Romagna, seconda solo alla Lombardia (55).
L'Emilia-Romagna 6° regione in Italia per beni sequestrati alle Mafie -
Ci sono anche le "buone prassi da parte delle Istituzioni", le "nuove leggi contro le presenze mafiose e gli affari delle cosche", che rappresentano il risultato di "una buona sensibilità politica, l'ottimo frutto di una unione di pratiche positive scaturite da una mobilitazione sociale" che assieme alle Istituzioni vede "i partiti nelle loro varie articolazioni sul territorio, le scuole e Università, le associazioni" - si legge nella nota stampa della Regione che fornisce i dati.
In questo caso i numeri, dal punto di vista dell'impegno per la legalità e del contrasto da parte delle forze dell'ordine, parlano chiaro: l'Emilia-Romagna è la sesta regione in Italia per numero di beni sequestrati o confiscati alle Mafie, con 448 beni tolti alla criminalità organizzata dall'agosto 2013 al luglio 2014 (4,2% sul totale nazionale), per un valore di 21 milioni di euro. Ma se si considera il solo Nord del Paese, il dato corrisponde al 41% delle operazioni concluse, ben al di sopra di Veneto (273 beni sequestrati, 25% del totale delle regioni settentrionali), Lombardia (192; 17,5%), Piemonte (86; 7,9%) e Liguria (68; 6,2%).
la presidente Saliera, Santo Della Volpe e Lorenzo Frigerio durante la conferenza stampa
"Mosaico di mafie e antimafia", il dossier della Fondazione Libera Informazione -
L'Emilia-Romagna si conferma quindi un "Mosaico di mafie e antimafia", il titolo del Dossier 2014-2015 realizzato dalla Fondazione Libera Informazione e voluto dall'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna (in allegato scaricabile).
Un lavoro presentato ieri a Bologna, nella sede dell'Assemblea legislativa, dalla presidente Simonetta Saliera, da Santo Della Volpe, giornalista e presidente di Libera Informazione e della Federazione nazionale della stampa italiana (il sindacato dei cronisti), e da Lorenzo Frigerio, anche lui giornalista di Libera Informazione e curatore del Dossier insieme a Della Volpe e Gaetano Liardo. Il volume, giunto al terzo aggiornamento dal primo del 2012, quest'anno ha un sottotitolo legato alla stretta attualità: "Aemilia: un terremoto di nome 'ndrangheta". Un capitolo è infatti dedicato all'inchiesta sulle infiltrazioni 'ndranghetiste che nelle scorse settimane ha visto oltre 160 arresti nelle province emiliane.
La presidente dell'Assemblea legislativa Simonetta Saliera -
"Il Dossier annuale di Libera Informazione testimonia la volontà dell'Assemblea legislativa e della Regione Emilia-Romagna di non chiudere gli occhi, di non voltarsi dall'altra parte di fronte alla presenza delle Mafie nei nostri territori" - afferma nella nota la presidente Saliera. "Un impegno che non è di oggi, visti gli studi fatti già in passato sulla presenza delle cosche e le modalità di insediamento qui, diverse da quelle abituali: da 20 anni questa Regione si occupa di sicurezza e della situazione nei territori; poi gli interventi normativi, e penso alla legge regionale contro il crimine organizzato e per la promozione della cultura della legalità, del 2011, e alle leggi di settore, sempre nella logica della prevenzione e del contrasto, su edilizia, del 2010, e su logistica-facchinaggio, del 2014. Oltre alla rete, a quell'intreccio sociale fatto di istituzioni, enti locali, associazioni, scuole e università, che abbiamo contribuito a far nascere contro le Mafie, e all'attività di promozione della cittadinanza attiva che l'Assemblea legislativa porta avanti direttamente e che nella scorsa legislatura l'ha vista entrare in contatto con 173 mila soggetti: studenti e scuole, volontari, operatori, amministratori locali, esperti, docenti. Ribadisco il fatto che le Mafie vanno combattute e non taciute. Le Istituzioni devono rafforzare l'attenzione e il loro impegno per la legalità: parliamo di un dovere civile che ogni amministrazione e chiunque fa politica deve portare avanti con convinzione e determinazione. E penso che anche i partiti debbano svolgere una selezione molto più efficace del personale politico".
Santo Della Volpe sul 'Mosaico di mafie ed antimafia' -
"L'inchiesta Aemilia - sostiene Santo Della Volpe nella nota della Regione - è stata come un brusco risveglio ma ci ha fatto pensare a quel 'Mosaico di mafie ed antimafia' che da ormai tre anni proponiamo all'attenzione dei cittadini, delle Istituzioni e delle associazioni dell'Emilia-Romagna. L'ultimo Dossier, quello del 2013, non a caso era titolato "L'altra 'ndrangheta in Emilia-Romagna", e vi segnalavamo, con allarme, le penetrazione delle famiglie dei clan che dalla Calabria si erano insediati in Emilia-Romagna, i loro affari, le loro complicità. Ciò che registriamo ora è un consolidamento di presenze nei settori più tradizionali della criminalità organizzata e un avanzamento in settori economici nuovi e importanti; contemporaneamente, le risposte politiche e sociali si sono aggiornate, hanno assunto forza sia in campo istituzionale che culturale, ad esempio nelle scuole e nelle iniziative che hanno coinvolto professionisti e mondo del lavoro. È un percorso quanto mai importante e necessario nella formazione delle coscienze antimafia tra i giovani e nel mondo del lavoro: ma dalla denuncia e dagli incontri pubblici - chiude la nota del presidente di Libera Informazione - deve conseguentemente emergere uno scatto in avanti della risposta collettiva contro le Mafie".
A Gualtieri sono intervenuti l'imprenditore Barchitta e il giudice antimafia Acagnino
di Federico Bonati -
Gualtieri (RE) – Tra le tante pratiche becere perpetrate dalla mafia, il pizzo, o racket o estorsione che dir si voglia, è senza dubbio una delle azioni più viscide. Non tanto per la continua cessione di denaro, o beni materiali, al malavitoso di turno, quanto per la perdita di valori e di dignità alla quale è spinto chi, suo malgrado, entra in tale vortice. Ma c'è chi dice no, chi si oppena a tutto questo, persone come Rosario Barchitta e il giudice Marisa Acagnino, ospiti della città di Gualtieri per parlare della loro lotta al pizzo e, ovviamente, alla mafia.
Ad introdurre l'evento il sindaco Renzo Bergamini, il quale non può non fare riferimento ai fatti legati alla malavita nel territorio reggiano sorti agli onori, o meglio ai disonori, delle cronache. Se da un lato esprime soddisfazione e sollievo nel constatare che nessun sindaco e nessun amministratore sono coinvolti nell'indagine, dall'altro ammette l'importanza di continuare a parlarne ed evitare di essere omertosi, ribadendo quanto detto dal giudice Di Matteo pochi giorni addietro.
La parola passa poi a Rosario Barchitta, per tutti "Saro", imprenditore del movimento terra a Scordia, nel catanese, che nel 1985 iniziò la sua caduta vorticosa nel tunnel dell'estorsione, attuata nei suoi confronti da parte di affiliati del clan Di Salvo. Una storia fatta di perdita di valori e di dignità, con l'incapacità di "Saro" nel proseguire a guardare negli occhi le sue figlie, ma anche una storia di minacce e di atti dolosi verso i suoi mezzi di lavoro. Poiché i mafiosi sanno che, per quanto riguarda l'estorsione, si inizia con poco e si arriva a tutto, ma a questo tutto con "Saro" non ci arriveranno mai. Nel 1989 denuncia e testimonia al processo. Da quel momento la sua vita cambia, in meglio. Perché i mafiosi se denunciati, se messi in minoranza si vergognano ed hanno paura. Oggi "Saro" vive la sua vita serena, amato e sostenuto dal suo paese, e va nelle scuole a raccontare la sua storia per dare la spinta verso la legalità a tutti i giovani. Barchitta risponde poi ad una domanda in merito a quanto successo recentemente con il caso Helg a Palermo, nella quale si ipotizzava che la mazzetta fosse il nuovo pizzo: "Ma certo. I corrotti della pubblica amministrazione fanno parte di una nuova mafia. Una mafia che, senza questi collegamenti basati sulla corruzione, non ci sarebbe più".
Dopo "Saro", è il turno di Marisa Acagnino, giudice della procura antimafia di Catania. Il suo discorso parte dalla considerazione che, al giorno d'oggi, è difficile distinguere il mafioso dalla brava persona, ricollegandosi al concetto di borghesia mafiosa. Una borghesia nella quale profilerano le imprese e gli affari mafiosi poiché, come abbiamo visto anche in Emilia, dove c'è una situazione florida a livello economico è lì che si inseriscono le attività della malavita organizzata. Infatti, secondo il giudice Acagnino, oggi si è passati dal pizzo ai contratti di fornitura, arrivando quindi ad un modo più sottile di controllo dell'economia. E attacca dicendo che quegli affari non sono cose loro, ma cose nostre, interesse di tutti gli italiani perbene e onesti. Dopo gli scorscianti applausi, inizia l'acceso dibattito con il pubblico, desideroso di sapere e di conoscere, soprattutto dopo gli echi dell'Operazione Aemilia, la quale ha segnato nelle ultime ore un nuovo sviluppo, con il carcere duro, il tanto temuto 41 bis, applicato dal ministero della Giustizia, a cinque dei maggiori rappresentanti dei clan coinvolti nell'operazione svoltasi in provincia di Reggio Emilia.
Dialogo e cultura contro l'omertà e il silenzio mafioso, nell'incontro tra gli studenti dell'Istituto Tecnico Gorni, Don Ciotti e il giudice Di Matteo -
- di Federico Bonati -
Modena, 4 marzo 2015 –
Il giorno dopo aver ricevuto la cittadinanza onoraria di Modena, il giudice antimafia Antonino Di Matteo, accompagnato dal sindaco Muzzarelli e dal fondatore di Libera, Don Luigi Ciotti, ha incontrato gli studenti dell'Istituto Tecnico Gorni.
Prima dell'incontro vero e proprio con gli studenti, c'è stata l'inaugurazione della targa in memoria di tutte le vittime innocenti uccise dalle mafie, situata nella Tenda di Viale Monte Kosica.
Una location non casuale quella nella quale è esposta la targa, in quanto luogo di aggregazione e promozione della legalità e della cultura antimafiosa. Il primo ad arrivare sul posto è il fondatore di Libera, Don Ciotti, il quale definisce l'iniziativa odierna un momento di responsabilità, utile per poter contribuire al cambiamento. Un cambiamento che deve partire soprattutto dalle nuove generazioni: "Questi ragazzi sono fantastici, ma hanno bisogno di punti di riferimento. Ed è importante anche la responsabilità e la cultura della memoria, nonché un impegno costante ogni giorno dell'anno". L'impegno, la celebrazione della memoria senza retorica e il non stare in silenzio sono punti fondamentali anche e soprattutto in questa terra emiliana, funestata dai recenti fatti dell'operazione Aemilia.
Pieni di entusiasmo sono anche i ragazzi del Gorni, felici di incontrare dal vivo figure importanti della lotta alla mafia, i quali, proprio sul tema dell'antimafia e della legalità, hanno svolto recentemente un importante lavoro in classe, il quale ha permesso loro di aprire le loro menti ed estendere gli orizzonti di comprensione.
Di Matteo, assieme al primo cittadino, all'assessore Giulio Guerzoni, a Don Ciotti e agli studenti, scopre la targa, la quale riporta il murales di Blu, artista e writer contemporaneo, che raffigura una piovra con i tentacoli avvolti fra le mani di affaristi, che operano al di sopra della città. L'originale è esposto fuori dalla Tenda, e alla sua vista, Don Ciotti ha chiosato, con un sorriso agrodolce: "L'artista fu profetico".
Anche il giudice Di Matteo, neocittadino sotto la Ghirlandina, esprime parole di felicità in merito all'incontro con i ragazzi, i quali, grazie alla cultura della memoria, potranno essere i fautori della rivoluzione culturale che porterà alla cessazione della mafia. Ma in questo senso il giudice ha le idee chiare: "Bisogna evitare il silenzio, perché è in esso che la mafia porta avanti i suoi loschi affari. Mentre la conoscenza e le parole sono l'antidoto più efficace ad essa. È importante che i giovani discutano di mafia, poiché essi hanno una vera e propria esigenza di giustizia".
In conclusione, anche una parola sull'omertà dei palazzi del potere in merito alla cosiddetta "borghesia mafiosa": "L'omertà non può diffondersi nelle istituzioni, perché ciò rappresenta un grave danno per lo Stato. Lo Stato non deve avere paura della verità anche quando i suoi appartenenti sono responsabili di attività illecite".
Il sogno di uno Stato credibile, che non ha paura di autoprocessarsi.
Intervista al Presidente della Provincia Gianmaria Manghi. Reggio prima e dopo l'Operazione Aemilia -
di Federico Bonati -
Reggio Emilia, 2 marzo 2015 -
Presidente, parliamo di Operazione Aemilia: che impressione le ha lasciato apprendere di ciò che accadeva nel territorio reggiano?
Un senso di forte preoccupazione e smarrimento, nonostante si trattasse di vicende non nuove, a maggior ragione considerando l'ingenza e l'articolazione dell'operazione che hanno portato alla luce la rete d'infiltrazioni.
Con il ruolo che ricopre, ha mai avuto sentori di ciò che è stato poi rivelato?
Personalmente, come sindaco di Poviglio e poi come Presidente della provincia di Reggio non sono mai stato avvicinato con metodi o con gesti e segnali eversivi, perché in quel caso avrei immediatamente informato gli organi di competenza.
A quasi due mesi da EXPO, che immagine ritiene possa dare la provincia di Reggio Emilia e l'Emilia stessa al mondo che sta venendo a farci visita?
Reggio Emilia e la provincia reggiana mantengono prevalentemente la loro immagine integra. Si tratta di una realtà operosa, seria, fatta in generale di gente per bene. Qui la Resistenza ha dato il via ad un solco di valori importanti. Sicuramente, col passare dei tempi il profilo reggiano è cambiato; e senza dubbio ciò che è accaduto è rilevante, tuttavia l'immagine di Reggio Emilia non ne esce stravolta.
Assieme al Prefetto e al Sindaco Vecchi firmerete un protocollo d'intesa sulla questione antimafia: nel concreto cosa accadrà?
Seguiremo due piste di lavoro. La prima sarà appunto richiedere alla Prefettura una proposta di protocollo di legalità più stringente. Con esso si determineranno un abbassamento delle soglie economiche per i bandi di gara e l'estensione dei controlli sull'edilizia urbana, con un'attenzione altissima anche alla questione dei subappalti. La seconda pista di lavoro, sulla quale ci siamo già mossi come sindaci, è il confinamento delle VLT nelle zone industriali, allontanandoli dai centri storici. In quest'ottica abbiamo chiesto alla Regione di avere, come sindaci, il potere di interrompere immediatamente le attività nella quale si registreranno abusi in questo senso e dove non saranno rispettate le regole.
Da un lato Giovanni Impastato afferma: "Non c'è una volontà politica di combattere la mafia", mentre dall'altro il senatore Stefano Vaccari, della commissione antimafia dice: "Non generalizziamo, stiamo facendo tanto". Chi dei due ha ragione?
Per quanto riguarda il territorio reggiano, ciò che dice Impastato non corrisponde alla realtà dei fatti. Molti amministratori vogliono accrescere la consapevolezza sul tema e dotarsi di strumenti adeguati. Può essere vero il fatto che abbiamo pensato di vivere in una società lontana dalle realtà mafiose, ma quando i segnali in quest'ottica sono arrivati c'è stata subito una reazione. Inoltre, la generalizzazione per il nostro territorio è errata, poiché non vi sono, ad oggi, né sindaci né opere coinvolte nell'inchiesta.
La Provincia, sulla questione della legalità e della lotta alla mafia, proseguirà il percorso fatto finora o avrà degli incrementi e/o delle innovazioni in quest'ottica? Se sì, quali?
Proseguiremo con quanto fatto finora. Anche quest'anno riproporremo il Festival della Legalità che coinvolge scuole e istituti superiori, così come proseguiranno gli incontri pubblici di sensibilizzazione sul tema. Inoltre, la Provincia sottoscriverà un protocollo di intenti con la Prefettura, a discendere dal quale cercherà di coordinare la firma da parte di tutti i Comuni del Protocollo di legalità precedentemente evocato.
Che cosa si sente di dire alle migliaia di cittadini onesti scossi dalla notizia delle infiltrazioni mafiose nel territorio reggiano?
Sicuramente, ci sentiamo vicini a loro nella preoccupazione e nel senso di smarrimento. Ma siamo anche certi che noi, come gruppo dirigente della provincia di Reggio Emilia, faremo tutto il possibile per la tutela delle comunità. Siamo pronti per esercitare un ruolo di primo piano nella collaborazione attiva in ottica legalità.
A Mirandola pubblico numeroso ed acceso dibattito sulle infiltrazioni mafiose e la ricostruzione post-sisma -
di Federico Bonati -
Modena, 16 febbraio 2015 –
Una Sala Consiliare piena in ogni ordine di posto a Mirandola per l'incontro "Ricostruzione e Legalità". Si è parlato di mafia, di ricostruzione dopo il terremoto del 2012, e lo si è fatto con Vito Zincani, ex Procuratore della Repubblica a Modena, con Alberto Silvestri, sindaco di San Felice sul Panaro e con il senatore Stefano Vaccari, della commissione parlamentare Antimafia.
Ad aprire il dibattito è Pierluigi Senatore, direttore di Radio Bruno e coordinatore dell'evento, che riparte dalle intercettazioni legate all'Operazione Aemilia. Intercettazioni in cui si palesano ignobili risate di chi, nei momenti del terremoto, pensava ai soldi che avrebbe comportato la ricostruzione. Che cosa si può provare davanti a quelle risate?
"È stato devastante per tutti – dice Silvestri - ed è la dimostrazione che le infiltrazioni mafiose ci sono anche da noi. Abbiamo fatto molto per cercare di contrastarle, ma non basta il lavoro delle forze dell'ordine; serve un impegno di tutto il tessuto sociale".
Le risorse che comporta una ricostruzione di questo genere, in chiave economica, sono una forte attrattiva per la malavita organizzata (Aquila docet). Ma, alla luce dei fatti, ci si pone il dubbio che il problema sia stato sottovalutato.
In merito risponde Zincani, secondo il quale il problema non è stato sottovalutato, anche se siamo davanti ad una situazione molto complessa. "Il crimine organizzato è come un virus che si modifica in base alle caratteristiche del DNA di chi lo ospita. Le imprese mafiose sono competitive in economia sotto il profilo del prezzo, offrendo vantaggiosi risparmi. L'unica pecca, sotto questo aspetto è stata il non aver compreso quanto l'abbraccio mafioso potesse essere letale. Ecco perché bisogna tenere gli occhi aperti su questi focolai".
Oltre agli occhi aperti è importante, da parte di tutta la società, parlare e denunciare le attività illecite, poiché è proprio nel silenzio che proliferano e si fanno forti le mafie. Ora, però, è il momento di risposte concrete anche da parte della politica, come spiega l'On. Vaccari: "Interverremo con proposte di modifica delle norme attuali, rendendo più efficace la lotta alla mafia". Tuttavia, ricordando le recenti parole di Giovanni Impastato, sembra che non ci sia una volontà politica di combattere la mafia. Vaccari, però, non ha dubbi: "Non generalizziamo. Gli atti fatti finora parlano chiaro. Abbiamo messo a disposizione del Parlamento, in maniera unanime, gli elementi necessari per la modifica del codice antimafia, partendo dai beni confiscati, che diverranno sempre più celermente risorse per il bene pubblico e la collettività. Inoltre, in occasione delle elezioni regionali dello scorso novembre, ogni forza politica in campo ha ricevuto un codice etico al fine di selezionare i propri candidati, per evitare la presenza di soggetti di impropria appartenenza".
Pierluigi Senatore solleva quindi il dubbio di un possibile rallentamento dei lavori di ricostruzione, prontamente scongiurato da Silvestri. "Siamo stati accusati di lentezza – prosegue il primo cittadino di San Felice - ma affinché le cose siano fatte bene, in maniera trasparente e legale e per la totale sicurezza dei cittadini, ci sono dei tempi importanti da rispettare".
Ha quindi inizio il dibattito, tra applausi per alcuni interventi e mormorii per altri, con anche un acceso botta e risposta tra un cittadino e il sindaco Silvestri.
L'evento si conclude con una saggia riflessione di Zincani: "La lotta alla mafia riguarda tutti. È necessario avere una compattezza che finora non c'è mai stata. Non basta solo rinvigorire le forze dell'ordine, bisogna avere una crescita culturale di tutto il paese. Come diceva il mio amico Falcone: prima o poi, come tutte le cose, anche la mafia avrà una fine".
L'applauso scrosciante che ne è conseguito è l'immagine di un'Emilia che non vuole arrendersi alle mafie, ma che intende reagire, abbracciando la legalità. E, in quest'ottica, resistere, resistere, resistere.
Il comune, la provincia e la prefettura di Reggio Emilia si sono attivati per un protocollo antimafia nel territorio -
Reggio Emilia, 10 febbraio 2015 – di Federico Bonati -
È notizia dei giorni scorsi l'incontro tra il prefetto Raffaele Ruberto, il sindaco Luca Vecchi e il presidente della provincia Gianmaria Manghi, avente come tema gli sviluppi dell'operazione Aemilia. Si è partiti riepilogando l'incontro con i sindaci nell'assemblea che si è svolta sabato 31 gennaio, nella quale lo stesso Ruberto aveva già affermato la disponibilità della Prefettura a proporre ulteriori strumenti finalizzati al controllo del territorio. In quella sede fu inoltre approvato all'unanimità il documento che i sindaci reggiani sono ora impegnati a portare all'attenzione dei rispettivi consigli comunali. Ruberto, Vecchi e Manghi sono giunti a due importanti conclusioni: in primo luogo vi è l'impegno a redigere un protocollo di legalità ulteriormente restrittivo, in termini di assegnazioni lavori, appalti e controlli sull'edilizia e urbanistica, rispetto a quanto realizzato sino ad oggi. Il protocollo ideato sarà sottoposto a una prima analisi interna, passando in seguito ad una progressiva divulgazione a tutti i sindaci del territorio.
In secondo luogo, Vecchi e Manghi hanno richiesto alla Prefettura di potere interagire relativamente ai nuovi possibili ambiti di infiltrazioni delle organizzazioni malavitose, come ad esempio i videopoker, i totem e le sale slot, al fine di poter avere a disposizione, in qualità di enti pubblici, gli strumenti adeguati per arrivare a una limitazione dell'insediamento delle stesse ed esercitare un controllo fortemente efficace. "Un incontro significativo": così è stato definito in maniera unanime il meeting dai presenti.
Sia Vecchi che Manghi aggiungono poi: "Giudichiamo positivamente questo secondo passaggio che fa da seguito a quello di sabato, poiché siamo alla ricerca di una concretizzazione pronta ed efficace degli intendimenti che abbiamo espresso sul tema dell'illegalità e sulla presenza dell'economia di tipo criminale nella nostra provincia. Siamo convinti che vi sia bisogno di produrre dei fatti ulteriori rispetto a quanto è stato realizzato in passato, per accrescere sempre di più le capacità di impermeabilità delle istituzioni di fronte all'assai preoccupante fenomeno che ci troviamo a fronteggiare".
È arrivato il momento dei fatti concreti a Reggio e dintorni per combattere strenuamente la presenza malavitosa; in certi casi le parole sono importanti, ma i fatti lo sono ancora di più.
Resistere alla mafia è possibile, combattendola con impegno civile, onestà e con il sorriso, come faceva Radio Aut -
Reggio Emilia, 9 febbraio 2015 – di Federico Bonati -
Il 9 maggio 1978 il corpo di Aldo Moro, assassinato dalle BR, fu ritrovato in via Caetani a Roma. In quello stesso giorno, a Cinisi in Sicilia, veniva fatto esplodere Peppino Impastato. Una morte che fu inscenata come suicidio, con l'intento di far passare come attentatore di estrema sinistra Impastato, ma che si scoprì essere una montatura: Peppino Impastato fu ucciso su mandato di Gaetano Badalamenti, mafioso.
Ancora oggi, a trentasette anni dalla sua scomparsa, la figura e il ricordo di Peppino Impastato, una figura straordinaria per la democrazia, che lottò la mafia con l'impegno civile e con la satira, è più viva che mai, grazie anche alle suggestive parole del fratello, Giovanni Impastato.
Per il ciclo "Teatro e Legalità" promosso da Noveteatro, Giovanni Impastato è giunto nel reggiano per una tre giorni dedicata alla memoria del fratello, attraverso spezzoni del film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana, attraverso letture del libro dello stesso Impastato "Resistere a Mafiopoli" e con un botta e risposta finale tra il pubblico e l'ospite.
Nel corso della serata, Giovanni rievoca i ricordi di famiglia, aprendo metaforicamente al pubblico il proprio "album dei ricordi": il rapporto col padre anch'egli mafioso, gli screzi infantili e l'avvicinamento a Peppino, la lotta nel ricordo del suo nome assieme alla madre Felicia dopo l'assassinio del fratello. C'è uno spaccato d'Italia, un racconto svoltosi nel cuore della Sicilia, di chi arrivato ad un certo punto, non può più fare finta di niente.
Una storia di satira con Radio Aut e la mitica trasmissione "Onda Pazza", ma allo stesso tempo una storia di depistaggi e insabbiamenti, a dimostrazione di quanto il cancro mafioso sia stato e, purtroppo, sia ancora inserito nelle istituzioni e nelle forze dell'ordine. Una storia di chi, invece, riaprì il caso Impastato dopo l'archiviazione: da Gaetano Costa a Rocco Chinnici fino a Giovanni Falcone, con una triste considerazione finale: chi favorì l'insabbiamento e il depistaggio delle indagini fece una brillante carriera, mentre chi cercò di fare luce sulla vicenda finì assassinato dalla mafia, ad eccezione di Antonio Caponetto. Inutile commentare ulteriormente.
Impastato parla poi di Casa Memoria, casa natale dei fratelli Impastato, divenuta oggi museo alla memoria di Peppino e inno alla libertà, parla di quei cento passi che la dividono da casa Badalamenti, attualmente affidata alla famiglia Impastato dopo l'esproprio, parla delle pietre d'inciampo sulle quali è vivo il ricordo della vita e della lotta di Peppino. Conclude poi con una frase eloquente: "La mafia non è invincibile".
Il signor Giovanni Impastato ha gentilmente risposto ad alcune domande del pubblico al termine della serata, e anche a quelle della Gazzetta dell'Emilia.
Giovanni, l'operazione Aemilia ha fatto capire una cosa: la mafia è arrivata anche al Nord ed è entrata nei luoghi di potere. Che riflessione si può trarre?
La mafia ha cambiato strategia, segue i flussi di denaro, l'economia, la finanza, è entrata negli studi medici e dei professionisti, ecco perché si parla di borghesia mafiosa. Anche l'Emilia, terra di principi e di efficienza, è stata intaccata da ciò, basti pensare che Gaetano Badalamenti fu mandato al confino a Sassuolo, e acquistando un'azienda di ceramica, riciclò denaro sporco. Se mi si chiede se oggi ci sia più mafia in Sicilia o in Lombardia non ho dubbi, decisamente in Lombardia, pensiamo a quello che è successo col caso Expo. Falcone diceva che la mafia, come ogni storia, ha un inizio e una fine; il problema è che manca la volontà politica di abbatterla.
Portando in giro per l'Italia la storia e il ricordo di suo fratello, le sembra di portare avanti ancora le sue battaglie?
Si. Le battaglie di Peppino, le sue iniziative a livello ecologico e sulla salvaguardia dell'ambiente sono più attuali che mai. La sua è una storia d'impegno sociale, di lotta e di passione.
Che idea ha del nuovo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il cui fratello Piersanti fu ucciso in un attentato mafioso?
Mi sembra una brava persona, con una forte coscienza democratica. Sono convinto che farà bene essendo, inoltre, una persona che nutre un profondo rispetto nei confronti della costituzione.
La storia insegna che chi si fa avvinghiare dai tentacoli della mafia, divenendone colluso, riesce a fare una brillante carriera nel nostro paese. Ma la storia insegna che c'è anche chi dice no, chi lotta e muore, ma che non si piega mai, il cui ricordo e le cui battaglie sono portati avanti da altre persone, perché come diceva Peppino: "La mafia è una montagna di merda". Sono quelli come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, il Generale Dalla Chiesa, e più recentemente Roberto Saviano, Don Ciotti, Pino Maniaci, i ragazzi di Addio Pizzo. Sono quelli come Peppino. Ed è grazie a loro e a chi, seguendo il loro esempio, lotta, vive e si impegna ogni giorno nel proprio piccolo, che l'Italia ce la farà.
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