Mafia, Brigate Rosse e illegalità: contro tutto ciò ha sempre lavorato e vissuto il giudice Gian Carlo Caselli, ospite a Novellara -
- di Federico Bonati -
Reggio Emilia, 12 marzo 2015 –
Una vita contro. Contro il malaffare, contro l'illegalità, contro tutti i fattori che si frappongono in maniera avversa alla legalità. Contro le Brigate Rosse e contro la Mafia. È questa la vita del giudice Gian Carlo Caselli raccontata nel libro "20 anni contro", scritto assieme al collega e amico Antonio Ingroia. Il giudice è stato accolto a Novellara per presentare il suo libro e rispondere alle domande del direttore di Radio Bruno, Pierluigi Senatore, in una serata promossa dall'associazione novellarese NOI (Nuovi Orizzonti Insieme).
Caselli, che dal 1974 vive sotto scorta, è oggi responsabile dell'osservatorio di Eurispes e Coldiretti sulle agromafie, ma allo stesso tempo prosegue il suo percorso nel nome della legalità, incontrando platee e studenti, raccogliendo ampi consensi e qualche volta anche alcune contestazioni. La più recente risale a qualche giorno fa a Firenze, quando un gruppo di No Tav, memori delle inchieste sul movimento in Val di Susa durante il suo periodo come procuratore capo a Torino, gli ha impedito di tenere una conferenza, organizzata, fra gli altri, da Libera, sulle mafie. Il commento di Caselli in apertura di serata sull'accaduto è lapidario: "Questa non è democrazia, questo è squadrismo".
Inizia quindi il flashback delle inchieste seguite da Caselli, della lotta durata quindici anni alle BR, del suo approdo a Palermo dopo la strage di via D'Amelio, con ben 650 ergastoli comminati in sette anni di lavoro e arresti eccellenti, quali Riina e Brusca, arrivando poi alle inchieste piemontesi sulle infiltrazioni della 'Ndrangheta. Dovendo fare un bilancio Caselli non ha dubbi: "Ho sempre cercato di fare il mio dovere, seguendo l'interesse generale. Sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto, e se tornassi indietro lo rifarei". In sostanza, ne è valsa la pena.
Senatore lo incalza poi in merito alla trattativa Stato-mafia, sulla quale il giudice torinese sentenzia in questa maniera: "Eravamo convinti di essere giunti al traguardo, ma poi sono arrivati nomi eccellenti coinvolti nell'inchiesta, e di conseguenza sono arrivati ostacoli. Falcone e Borsellino, sotto questo aspetto infatti, sono stati presi a calci. Era evidente che chi toccava i fili dell'elettricità, per usare una metafora, prendeva la scossa, e a volte moriva".
Si arriva quindi alle questioni di casa nostra quando è emerso, con l'Operazione Aemilia, la presa di coscienza di infiltrazioni nella borghesia: la mafia che fa affari, con colletto bianco e giacca, lontana dai soliti stereotipi e dalle azioni stragiste. Ma, afferma Caselli, è inutile stupirsi, quando elementi come il riciclaggio di denaro sporco e il soggiorno obbligato dei mafiosi, nel Nord e nel Centro Italia, sono facce della stessa medaglia.
E se da un lato il business della mafia e dell'illegalità, fra corruzione ed evasione, muove qualcosa come 330 miliardi di euro, dall'altro il giudice Caselli afferma come convenga ai cittadini, e pure alle istituzioni, stare dalla parte della legalità, una strada giusta fatta di risorse che possono favorire lo sviluppo economico e sociale.
Caselli risponde poi anche ad una domanda della Gazzetta dell'Emilia, in merito alle frasi dell'ex boss Cutolo ("Se parlo, crolla lo stato") e allo scoramento dei cittadini rispetto alle istituzioni. "Cutolo può dire quello che vuole- attacca Caselli- ma nonostante le mele marce al suo interno, lo Stato non crolla. Per quanto riguarda la sfiducia posso dire che se gli esempi sono i condoni fiscali, che chi conta la fa sempre franca, sfido io ad avere fiducia. Ma la sfiducia è in realtà indotta dai media. È invece importante avere fiducia nel ruolo dello stato e della magistratura. Ma ai cittadini mi sento di dire un'altra cosa: la cultura, il dialogo e la civiltà sono basilari per combattere, ogni giorno, la mafia".