Di Samuel Campanella Bologna, 8 dicembre 2024 - Vorrei cominciare da un film di Elio Petri, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970). Ora prendiamo uno scatto: Volonté, ingellato e impomatato, con il suo caratteristico grugno urla a bocca larga “Repressione!”. Un indelebile momento interpretativo che va oltre la semplice narrativa, un gesto che travalica la finzione per denunciare la violenza del potere. Specchio e muro di un cinema che, allora, si trovava al centro del mondo, capace di parlare la lingua della contestazione, della critica sociale e di riflettere le tensioni di un paese che viveva un periodo di acceso attivismo politico.
Lee Strasberg, il celebre padre dell’Actors Studio, diceva: “Il lavoro per l'attore risiede essenzialmente in due aree: la capacità di creare costantemente la realtà e la capacità di esprimere quella realtà.” Volonté, pur senza aver mai, almeno consapevolmente, attinto alle tecniche Stanislavskiane, eccelleva in entrambe come pochi altri. Certo, grandi registi contribuirono al suo successo, ma la sua unicità risiedeva nella capacità di abnegarsi completamente ai personaggi, scavandone le pieghe più intime e incarnandone l’essenza in modo così profondo da abbattere la quarta parete e costringere lo spettatore a confrontarsi con la realtà sociale e politica che lo circondava. Non era solo tecnica: era militanza, una causa vissuta, un intreccio di studio maniacale, impegno civile e una straordinaria sensibilità nel cogliere e interpretare l’animo umano. Gian Maria è stato uno dei pochi attori italiani a comprendere che il suo mestiere era inseparabile da una responsabilità culturale e sociale. Ma non era il solo: accanto a lui potremmo citare Sophia, Monica, Virna, Anna, Mariangela, Giulietta, Franca, Marcello, Vittorio, Ugo, Nino... Nomi comuni ma intrisi di iconico significato. Presenze capaci di far sognare e, al contempo, di scuotere le coscienze.
E oggi, che cosa resta di quel fuoco dionisiaco? Nulla, se non polvere e cenere. Forse qualche piccolo tizzone ardente, ma troppo debole per illuminare. Ciò che deprime è quanto si sia ridotta la consapevolezza e la preparazione di un’arte che nel nostro paese vantava radici profonde. Non mancano certo i talenti, ma ciò che spaventa è la superficialità che pervade un mestiere ormai da anni in profonda crisi identitaria. Tra le cause, probabilmente anche la proliferazione di scuole improvvisate e insegnanti, più interessati a svuotare le tasche delle famiglie che a trasmettere il sapere di una professione complessa come quella attoriale. Senza contare le dinamiche dei casting, troppo spesso affidate al dubbio utilizzo dei self-tape, nonché alla figura degli agenti più concentrati sul numero di follower che sulla crescita artistica dei loro assistiti. Tutti comunque uniti, dall’unica e sincera ricerca spasmodica di un “successo” prettamente dimostrativo ed egocentrico.
A tutto ciò si aggiunge la crisi di un mercato cinematografico, non solo dominato dai titoli delle grandi produzioni - addio cinema indipendente - ma soprattutto osteggiato dalle irriducibili piattaforme streaming. Un'industria che si è di fatto arresa alle logiche del mercato dove la produzione di opere intellettualmente valide è passata in secondo piano rispetto alla necessità di attrarre e mantenere un pubblico vasto e superficiale, caposaldo della logica del capitalismo consumista. Così, il mestiere dell'attore diventa, per osmosi, qualcosa di feticistico, inscenato da mediocri surrogati, più che da artisti capaci di emozionare.
Riflettere sulla figura di Gian Maria Volonté e sui suoi compagni d’epoca significa fare i conti con la perdita di un’intera stagione culturale, in cui l’essere attore andava ben oltre il semplice 'performare'. Alcuni personaggi dello spettacolo odierno dichiarano che recitare è un gesto politico, ma in che modo questo viene oggi dimostrato? Non c’è momento storico più pertinente di questo per farlo. Forse, però, la risposta va cercata nel passato. Forse, ritornando a guardare quei personaggi straordinari, riascoltando quelle voci dense e inconfondibili e quegli sguardi carichi di significato, potremmo riscoprire non solo un’eredità storica, ma anche il potenziale di un mestiere che da troppo tempo sembra aver venduto la propria anima."
Del resto, “Recitare è anche un modo per prendere posizione”, giusto Gian Maria?