Domenica, 06 Ottobre 2024 06:26

La Biblioteca del lavoro: Marco Omizzolo In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana
Il lavoro non è una merce. Il lavoro non è una merce.

Articolo 1. Forgotten rule

Di Francesca Dallatana Parma, 6 ottobre 2024 -

Sbiadito. Nella memoria collettiva. E’ il senso profondo dell’articolo uno della Costituzione italiana. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro

Anzi, rettificato. In questo modo: “Articolo 1: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro sfruttato.” Ad imporre l’aggettivo è la realtà dei fatti quotidiani. Non il curatore del libro.

Marco Omizzolo, sociologo, docente presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, studia il fenomeno dalla trincea della prima linea. Per le edizioni Infinito ha curato una significativa raccolta di interventi proposti da studiosi e testimoni significativi, quali sindacalisti della Cgil e studiosi.

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All’articolo 1 della Costituzione italiana è doveroso aggiungere l’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.

Un cittadino, una persona.

Una persona, un cittadino. Una società può dirsi civile solo se rispetta e tende la mano dell’aiuto a chi è in condizione di necessità.  

Villa Literno, Caserta, Campania, 1989. E’ la fine dell’estate. Quando si scatena la caccia al nero. “È aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie e poiché scorrazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini.” Recitava un volantino diffuso sul territorio.

L’azione feroce di un manipolo di uomini si consuma ai danni di un gruppo di lavoratori stranieri rifugiati nello spazio fatiscente di un capannone per trascorrere le ore serali e notturne dopo il lavoro nei campi. Addosso hanno il denaro in contanti del lavoro diurno, banconote ad alto peso specifico di stanchezza.

La squadra punitiva li obbliga a consegnare il denaro e nella colluttazione feroce e imperativa da una delle armi da fuoco parte il proiettile che mette il punto fermo alla vita di Jerry Essan Masslo.

Viene dal Sud Africa. In Italia si aspetta di trovare uno squarcio di futuro. Gli viene negato l’asilo politico per la “riserva geografica dell’applicazione”, che all’epoca permette di godere della tutela internazionale solo alle persone provenienti dall’est europeo. Una barriera che non riconosce lo stato di sofferenza delle persone provenienti da altri Paesi del mondo, insicuri e a loro volta sofferenti per le precarie condizioni di stabilità e di equilibrio civile e sociale. Sarà la legge Martelli a superare la “limitazione geografica”, a seguito di un decreto legge dell’allora Governo Andreotti.

L’impossibilità della regolarizzazione del permesso di soggiorno peggiora lo stato di bisogno e aumenta la vulnerabilità allo sfruttamento.

Il fenomeno dello sfruttamento è un labirinto, un circolo vizioso con diversi elementi di forte criticità che espongono la persona al rischio di dipendenza.

Jerry Masslo è un lavoratore fragile: documenti, casa, necessità di autonomia economica. Nonostante la debolezza si permette di dire, di dichiarare aspettative di futuro e realtà quotidiana nella quale si ritrova a sopravvivere.

Di Jerry Essan Masslo ci si dimenticherà presto. Molto clamore a presa diretta. L’ovatta del silenzio nella memoria a lunga percorrenza.

Documento, soldi, casa.

Dimostrare di avere un lavoro, con un documento ufficiale, cioè un contratto: è fondamentale per ottenere un permesso di soggiorno oppure per poterlo mantenere valido nel corso del tempo di permanenza nel Paese.

La sottoscrizione di un contratto di lavoro non preserva il lavoratore dallo sfruttamento.

Federico Olivieri, nell’affondo dedicato al mercato del lavoro della Regione Toscana e in particolare al settore tessile, sottolinea quanto sia stretto il legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno. La persona migrante in stato di bisogno spesso accetta un contratto di lavoro che non fotografa la sua reale condizione lavorativa: il documento potrebbe riportare un monte ore settimanale più basso rispetto a quelle effettivamente lavorate oppure richieste e un inquadramento sottodimensionato rispetto alla reale mansione.

Lo stato di bisogno innesca il ricatto. E sbilancia ulteriormente il rapporto di lavoro formalizzato dal contratto dalla parte del datore di lavoro.

Un lavoro a tempo parziale e a tempo determinato e con basso monte ore di lavoro settimanali rende fragile il lavoratore. In costante attesa della retribuzione composta da una parte variabile consegnata a mano e una parte versata sul conto corrente. Lo mantiene in uno stato di subalternità rispetto al datore di lavoro.

E impedisce l’autonomia abitativa, obiettivo difficilmente raggiungibile in molte città italiane anche se titolari di contratti di lavoro a tempo indeterminato e pieno.

Insieme al permesso di soggiorno, la casa è l’altro passaggio obbligato verso l’autonomia. La ricerca è una palude nella quale i lavoratori stranieri rimangono prigionieri in un pericoloso stallo che accentua la loro debolezza negoziale.

Nella ricerca di una soluzione interviene spesso il datore di lavoro. Federico Olivieri cita ampiamente la tragica attualità del falansterio, luogo dove si vive e si lavora.

Si muore nelle sartorie dove si cuciono abiti in versione fast fashion di tessuto sintetico: altissimo il rischio incendio per le regole di sicurezza, per gli spazi ridotti, per i materiali altamente infiammabili. E per lo stress da loro correlato ad altissima diffusione fra i lavoratori. In quelle sartorie si lavora e si dorme.

Il posto-letto nel tugurio lavorativo è a pagamento. Si paga per dormire e si paga per lavorare. Una parte del salario ritorna indietro. Il datore di lavoro se la riprende.

Il tracciamento del pagamento non garantisce correttezza della retribuzione: i soldi vanno verso il lavoratore e ritornano al datore di lavoro, che si fa consegnare le carte bancomat e ritira immediatamente una somma dopo il versamento dello stipendio.

Edilizia, pesca, agricoltura, tessile. Pesanti, pericolosi, precari, poco pagati: il sociologo Maurizio Ambrosini definisce in questo modo molte delle mansioni dei working poors.

Altri se ne potrebbero aggiungere. Ma non è il settore a fare ammalare il lavoro e a renderlo povero. E’ la negazione della dignità del lavoro. E’ la considerazione di un contratto di lavoro e di un rapporto di lavoro, non come la formalizzazione di una collaborazione operativa tra due interlocutori alla pari ma come rapporto tra un attore dominante e un suddito. E’ la rivisitazione del rapporto tra il padrone e il suo schiavo.

Fuori dai confini. Del diritto.

Ad indicare il nocciolo duro della disciplina del rapporto di lavoro è William Chiaromonte: retribuzione, orario di lavoro, tutela della salute, sicurezza nei luoghi di lavoro.

Dirty, dangerous, demeaning jobs: sporchi, pericolosi e umilianti: si crede che i tre aggettivi definiscano l’ambito dello sfruttamento. Ad esempio: il lavoro di cura, la filiera agroalimentare, l’edilizia. Settori nei quali alta è la presenza di lavoratori provenienti da altri Paesi.

Lo sfruttamento è molto più diffuso di quanto pregiudizio e immaginario collettivo dicano. Cronologicamente trasversale, subdolo e strisciante, lo sfruttamento lavorativo inquina anche le mansioni sorte in risposta ai nuovi bisogni della società contemporanea. Il settore del food delivery, la consegna del cibo a domicilio, gestito da piattaforme telematiche, incatena il lavoratore all’attesa della richiesta della consegna. Il tempo di lavoro, indefinito e frammentato, si dilata annullando il tempo del non lavoro. Non esiste più un tempo ad app spenta. Il rider, se non impegnato sotto l’egida di un contratto di lavoro subordinato, diventa uno schiavo dell’attesa.

William Chiaromonte autore del capitolo dedicato ai “riders fra carenze regolative e istanze di tutela” e docente di Diritto del lavoro presso l’Università di Firenze, introduce il tema dell’utilizzo distorto delle varie forme di lavoro flessibile e autonomo.  Strumenti utilizzati per dare una pennellata di legalità al rapporto di lavoro che, nei fatti, si configura spesso come rapporto di lavoro subordinato.

Ma lo stato di bisogno del lavoratore crea dipendenza. L’impossibilità di richiedere e ottenere la sostituzione della forma contrattuale di tipo flessibile con una più tutelante dipende dalla debolezza contrattuale del lavoratore. Che è direttamente proporzionale al suo stato di bisogno e alla sua debolezza negoziale. Più fragile è il lavoratore e più bassa la possibilità di ottenere tutele forti.

La debolezza negoziale è un forte richiamo per lo sfruttamento.  E caratterizza una classe sociale composta da working poors, lavoratori poveri, tra di loro in forte concorrenza al ribasso. In condizioni di forte necessità economica è frequente l’innesco di dinamiche di dumping salariali, cioè della disponibilità a lavorare per retribuzioni basse e sempre più basse. La guerra contro lo sfruttamento lavorativo la si combatte formalmente e giuridicamente nelle sedi delle Procure.

Per essere efficace la guerra deve tradursi nella rivendicazione quotidiana del diritto alla civiltà e alla dignità. Nell’orgoglioso rifiuto delle proposte di lavoro inaccettabili. In nome del ricordo delle vittime dello sfruttamento lavorativo. Delle quali troppo spesso ci si dimentica.

Marco Omizzolo (a cura di), Articolo 1. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro sfruttato, Infinito, 2022

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(Link rubrica:  La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

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