Domenica, 22 Settembre 2024 08:22

La Biblioteca del lavoro: Marcus Buckingham, Curt Coffman In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana
Il lavoro non è una merce. Il lavoro non è una merce.

Il talento degli altri. Break the rules.

Di Francesca Dallatana Parma, 22 settembre 2024 -

Del talento degli altri, i manager non hanno paura. Lo cercano. Non per competere. Ma per costruire. Un manager conduce senza imporsi al centro della scena. Non ama gli yes-men. Non ha bisogno di spie.

Manager non ci si improvvisa.

Benvenuti a bordo: il lavoro va in scena ogni giorno. E ha un direttore d’orchestra: il dirigente oppure la dirigente. Il pubblico dei manager sono i lavoratori dipendenti delle aziende. La loro tenuta dipende dall’indice di soddisfazione. E’ la gratificazione più importante. Più della retribuzione. E molto dipende da chi conduce l’azienda.

Ci si dimette dai manager, non dalle aziende. Lo stile della direzione condiziona motivazione al lavoro, tenuta e coesione dei gruppi di lavoro.

Un contributo datato 1999, pubblicato in Italia da Baldini&Castoldi, questo di Marcus Buckingham e Curt Coffman, di attualità non sorprendente, perché gli uomini – intesi come genere umano – sono sempre gli stessi a lustri di distanza e nonostante variazioni sul tema e mutamenti delle coordinate spazio-temporali.

Primo: rompere le regole. Come i manager possono mettere a frutto il talento dei loro dipendenti.”: è un rapporto divulgativo e di lettura immediata e agile di una delle ricerche di Gallup, Istituto statunitense di statistica e per l’analisi dell’opinione pubblica.

Dodici domande.

Rivolta a un ampio campione di intervistati, l’indagine ha verificato modalità di aggregazione e cause della tenuta e del turn over. Per capire quanto incidano azioni e stili di direzione.

A fare da guida alla riflessione proposta dagli autori, dodici domande. All’apparenza banali, ma nei fatti di una semplicità e di una forza concettuale tanto vera quanto di valenza generale.

La misura della potenza di un posto di lavoro può essere semplificata e ridotta a dodici domande”.

Eccole:

  • So che cosa ci si aspetta da me sul lavoro?
  • Ho a disposizione il materiale e gli strumenti di cui ho bisogno per fare bene il mio lavoro?
  • Ho l’opportunità di svolgere il mio lavoro sempre meglio ogni giorno?
  • Nell’ultima settimana, ho ricevuto riconoscimenti o apprezzamenti per un lavoro ben fatto?
  • Il mio capo, o altri che lavorano con me, sembrano interessati a me come persona?
  • C’è qualcuno sul lavoro che mi incoraggia a crescere?
  • Le mie opinioni sembrano contare qualcosa?
  • La missione o l’obiettivo della mia azienda mi fanno sentire che il mio lavoro è importante?
  • I miei colleghi si impegnano a fare bene il proprio lavoro?
  • Ho qualche amico particolarmente caro nel posto in cui lavoro?
  • Negli ultimi sei mesi, ho parlato dei miei progressi con qualcuno?
  • Ho avuto l’opportunità di imparare e di crescere?

La ricerca organizzativa e il libro hanno il merito di analizzare la reattività degli intervistati a queste domande-stimolo. Quanto più positive sono le risposte alle domande, maggiore sarà la coesione e la motivazione a rimanere al lavoro nella stessa azienda. E a contribuire a trasformarla costruttivamente e a farla crescere.

La valorizzazione dei talenti è la chiave di lettura per antonomasia.

Saperlo fare significa anche avere competenza in materia di selezione del personale, quindi avere consapevolezza delle esigenze organizzative e avere la capacità di riconoscere le competenze necessarie tra le potenzialità dei candidati. Quindi, avere un’autorevolezza organizzativa tale da poter accettare e valorizzare il talento degli altri.

Le domande seguono una scala di tipo relazionale precisa: dal rapporto tra lavoratore e mansione fino alle aspettative di crescita professionale e sociale del lavoratore.

Rappresentano una cartina di tornasole del benessere del lavoratore all’interno dell’azienda.

La metafora della montagna

Per arrivare in alto e per rimanerci con intorno un gruppo competente e motivato meglio non prendere l’elicottero per raggiungere un Campo intermedio della scalata. E per volare in una orgogliosa falcata finale fino alla cima.  

La cima è di chi la merita. Rimane in vetta chi conosce la strada e le dinamiche del Campo base.

Chi ricorda la fatica del primo fiato bloccato, prima dell’arrivo in extremis e dal profondo dei polmoni dell’ossigeno di riserva.

La permanenza del manager al Campo base è fondamentale. Dove si lavora, si conoscono gli altri attraverso il lavoro e ci si mostra come lavoratori. Importante fermarsi subito e non a scoppio ritardato per le ricuciture di emergenza ma alle prime battute del ruolo da dirigente. E la provenienza da altri Campi base rappresenta un plus culturale non facilmente eludibile: la si chiami come si vuole: esperienza oppure allenamento organizzativo. Il Campo base rappresenta il potenziale di energia per la scalata della montagna. Equilibrio e potenziamento, valorizzazione e canalizzazione, risparmio energetico e stimolo: la presenza al Campo base è un detonatore importante, se azionato consapevolmente. La consapevolezza del manager dipende da cultura organizzativa e tempi di permanenza nei Campi base precedenti.

Non si governa il lavoro dei collaboratori se non lo si conosce. La metafora della montagna suggerita dagli autori del libro la dice lunga. La vetta è da conquistare con allenamento fisico, respiro profondo e il concerto delle intelligenze in azione.

Si raggiunge la vetta quando le risposte alle dodici domande suggerite nel paragrafo precedente hanno risposta positiva. Il passaggio da una risposta all’altra richiede fiato, gambe e motivazione alla salita. E il leit motiv di ispirazione in sottofondo: il cenno della bacchetta del direttore d’orchestra.

Tecniche e talento.

“Noi siamo il nostro cervello.” E’ il titolo di un libro famoso, scritto da Dick Swaab direttore della banca belga del cervello. Noi siamo il nostro cervello: è il senso di un capitolo fondamentale del libro degli studiosi americani.

La tecnica è l’insieme delle azioni necessarie per ricoprire una mansione. E’ operatività. La tecnica si impara, con metodo, motivazione e tempo ed esperienza. Anche la più complessa delle tecniche può essere insegnata attraverso la suddivisione delle fasi e delle azioni. La razionalità è la guida.

Il talento è la potenzialità personale che corre nell’autostrada cerebrale più rodata di ciascuno, quella a quattro corsie e a scorrimento veloce, rapida e gratificante perché molto frequentata e sollecitata. L’approfondimento dedicato allo sviluppo del bozzolato grigio proposto dal libro era d’obbligo.

Per sottolineare che non si insegna il talento, non lo si trasferisce. E non lo si può copiare.

Il talento è personale.

Talento di battaglia, talento di pensiero, talento di relazione: il guerriero; il pensatore; il negoziatore.

Una classificazione sintetica e ideale per la felicità di un romanziere.

In equilibrio sul confine di pensiero, relazione e battaglia: un ibrido d’eccezione per un manager fuoriclasse.

Al talento si permette di irraggiare l’ambiente operativo e di illuminarlo senza deflagrare la vista di chi sta intorno. Il manager non ha bisogno di specchi e di blandizie. Si guarda bene dalle lusinghe, indicatori di ipocrisia.

Il talento degli altri per un manager è importante quanto il proprio o forse di più. E’ il carburante dell’organizzazione. E’ risorsa per l’evoluzione e per il mantenimento, stimolo ed elemento di equilibrio.

Riconoscerlo non è immediato. Accettarlo non è umanamente agile. La competizione e le ansie da prestazione inquinano anche le menti brillanti.

Selezionare talenti è un capitolo che esula dalla direzione, ma presuppone una capacità professionale d’interfaccia non di tutti. Delega questa funzione oppure chiede supporto chi conosce potenzialità e delicatezza della selezione del personale come processo.

Il talento si manifesta a tratti, nel corso di un’intervista di selezione. Fa capolino tra una risposta e l’altra e sbircia in continuazione.

Rivoluzione.

Il manager guarda dentro l’azienda, osserva le differenze di stile, gli individui, i carichi di lavoro, gli indici di gradimento, riflette sul turn over. Il leader guarda fuori dai confini organizzativi, al futuro, alle possibilità di sviluppo.

Un manager è rivoluzionario se sceglie collaboratori visionari, se non teme la loro competenza, se non compete con il gruppo di lavoro interno, se non si impone. Se dirige l’orchestra con discrezione e autorevolezza. Se non umilia il lavoro degli altri. Se non nega i talenti.

La tecnica garantisce la durata.

Il talento dei lavoratori è il carburante dell’organizzazione. Assicura la tenuta. E il futuro.

Un libro d’inizio millennio visionario e verificato dalla ricerca di Gallup e dalla storia d’impresa. Il valore di una persona brilla di luce propria e non ha bisogno di guardarsi allo specchio. Manager oppure operaio che sia.

E’ la forza sicura del lavoro.

Marcus Buckingham, Curt Coffman, Primo: rompere le regole. Come i manager possono mettere a frutto il talento dei loro dipendenti, Baldini&Castoldi, Milano, 2001

(Link rubrica:  La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

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