Chi sei?, chiede un giornalista su quelle ingiallite immagini del passato proiettate sullo schermo. Bella domanda…, gli risponde il giovanissimo Dylan: ed è questa l’apertura perfetta per porsi il quesito su chi sia davvero Bob Dylan, dalle molteplici vite, dal folk iniziale al rock, che si lega all’avvento dei Beatles, e in particolare all’amicizia con Lennon. E poi ancora il rapporto con i Rolling Stones (il chitarrista Brian Jones e il bassista Bill Wyman) con il racconto della notte di un grande black-out in cui nacque “Like A Rolling Stone”, e poi l’arrivo a Woodstock, con l’acquisto di appartamenti nella località rurale dello stato di New York, nota per il festival del ferragosto 1969 “La Fiera della Musica e delle Arti”, tre giorni di pace e musica rock con il famoso concerto per il quale si stima fossero accorsi quasi mezzo milione di figli dei fiori, e poi l’incidente in moto del 29 luglio 1966, emulato, quasi nello stesso giorno (25 luglio 2023) da Ezio Guaitamacchi…
In effetti, appena arriva sul palco, mi pare di vedere Ezio un po’ malconcio e meno fluido nei movimenti rispetto al solito, ma ahimè, gli anni passano per tutti, penso… Non si è trattato solo di usura del tempo, tuttavia, ma, appunto, come svelato nel finale di serata, appena prima dei bis non richiesti, (format abituale del duo, diametralmente opposta alla buonanotte – appunto i bis – che il direttore artistico di Musica in Castello Enrico Grignaffini chiede a tutti gli artisti della kermesse), di una brutta caduta in moto. Ecco spiegato il cerottone bianco sull’avambraccio destro e “il sopravvissuto”, pronunziato al suo indirizzo da Brunella Boschetti. Nonostante l’incidente, il nostro si disimpegna bene, col Panama in testa (poi passato a Van De Sfroos) e circondato dalle sue sei chitarre, che alterna nell’uso all’amato “autoharp”, strumento autoctono americano a corde di solito pizzicate con un plettro, anche se Guaitamacchi ne fa un uso più elaborato, suonando con le dita della mano destra (con le sommità protette da ditali), col pollice a suonare le note basse e le altre dita che eseguono la melodia armonizzata.
Tra i punti più alti raggiunti dal collettivo, la narrazione della storia di “Hurricane”, brano di apertura dell’album “Desire” che il 30 giugno 1975 Bob Dylan scrisse a quattro mani con Jacques Levy: si trattava di un’invettiva rabbiosa e dal ritmo irresistibile di oltre otto minuti e venti strofe (poi incisa anche, divisa a metà, con 4′ per lato, su un 45 giri) che racconta con dovizia di particolari, facendo nomi e cognomi, cosa accadde veramente il tragico 17 giugno 1966, giorno in cui ci fu una rapina per la quale il pugile afroamericano Rubin Carter sarebbe stato condannato a morte (successivamente all’ergastolo), per errore, con l’accusa di triplice omicidio da una giuria interamente bianca, così come era bianco pure il procuratore. Gli avvocati della Columbia Records convinsero Dylan a realizzare una seconda versione di Hurricane priva dei riferimenti a persone reali: ecco perché, dopo le prime esecuzioni dell’epoca, il bardo di Duluth, non avrebbe mai più eseguito dal vivo quel pezzo, il cui titolo era il soprannome del pugile, così ribattezzato per la sua irruenza sul ring, che lui stesso volle incontrare trovando la conferma alle sue sensazioni che dietro quell’uomo affabile, non potesse nascondersi un pluriassassino, bensì la vittima di una grave ingiustizia. Quell’incontro tra due persone all’apparenza così diverse venne immortalato in una celebre fotografia in bianco e nero che non poteva mancare nella preziosa collezione donataci sul maxi schermo da Guaitamacchi…
Il Dylan che volutamente ci narrano è quello dei primi anni, forse il più amato, ma le sue molteplici esistenze non finiscono certo qui: del resto parliamo dell’unico esempio di Premio Nobel per la letteratura (2016) conferito ad un cantante, poi con tutto comodo ritirato dopo un primo rifiuto.
Il finale vede trionfare Van de Sfroos con la sua personalissima versione di “A Hard Rain’s Gonna Fall”, tradotta in vernacolo comasco “Un gran brött tempuraal”: sia citando Bruce Springsteen (le cui due recenti esibizione italiane – ha rimarcato maliziosamente Guaitamacchi – sono coincise con l’alluvione in Romagna e i disastri di lunedì 24 in Brianza e a Milano) sia con questa danza della pioggia, era inevitabile che, proprio a fine serata, si scatenassero gli elementi, dopo i lampeggi che illuminavano sinistramente Villa Sforza Fogliani e i rimbombi del tuono che accompagnavano l’ultima parte dell’esibizione.
L’omaggio a Bob Dylan di Musica in Castello prosegue stasera, giovedì 27 luglio 2023, a Bedonia dove rivedremo all’opera la sua violinista (preferita persino ad Eric Clapton, come svelatoci nella serata con Teresa Mannino a Fontanellato dello scorso 28 giugno 2023) Scarlet Rivera, con Borderlobo e Raffaele Kohler, in un percorso dal rock americano a Fabrizio De André. Guaitamacchi ha celiato: “Mi avevano proposto di aggiungere alla nostra squadra la Rivera, la quale, tra l’altro, ha un grande cognome (il riferimento è al milanista Gianni, dal momento che Enzo è allergico all’altra squadra di Milano, nda), però, soprattutto le componenti femminili non hanno voluto…”, immediatamente smentito da Andrea Mirò che si è sentita tirare in ballo: “Ma non è assolutamente vero…”
Foto di Michele Bussolati
Di seguito la prossima serata di Musica in Castello: inizio ore 21.30, ingresso libero con offerte devolute a Fondazione Pangea che con i suoi progetti sostiene le donne, le loro figlie e i loro figli che vivono una condizione di violenza domestica. Finora sono stati raccolti circa 11.000 euro:
- Domenica 30 luglio 2023 a Sorbolo Mezzani (PR) BOBO RONDELLI con C. Laucci, piano, S. Soldani, chitarra e S. Padovani, percussioni in Forse che si, forse che no, il ritorno sul palco con i suoi amici di sempre.