PARMA UN’ANIMA
2021 l’anno della risalita. Ce lo auguriamo tutti. Sorpresi dalla pandemia, quando iniziavamo le celebrazioni di “Parma capitale italiana della cultura”, siamo vagliati dalla prova e scopriamo che solo risalendo all’anima della città ci si prende cura, mettendo le condizioni per ritrovarci. Siamo una comunità ferita che coltiva nell’anima il bene di tutti.
Nell’anno centenario della morte del beato Carlo Andrea Ferrari, gloria della nostra montagna, dell’ottocentesimo anniversario della nascita di Fra’ Salimbene, sentiamo la responsabilità di una storia che motiva a migliorarci. Ne sia segno la riapertura della chiesa di San Francesco, memoria di carità ai miseri nell’opera di padre Lino, tensione universale verso i fratelli tutti che abitano la madre terra.
1. LA SORPRESA
Il 2020 partiva con la grande partecipazione di pubblico proprio nella festa di Sant’Ilario per “Parma capitale italiana della cultura”. Una cultura non vanagloriosa, ma tesa al bello, al vero e al buono, capace di riparare la nostra casa1, al pari della chiesa di San Francesco.
Poi la sorpresa dell’epidemia che diventa pandemia e il pubblico si trasforma in “assembramento”. Da una città che voleva mostrare la bellezza raccolta nella storia e attrarre con nuove proposte ed eccellenze, siamo divenuti una città che dalla storia deve attingere forza e ragioni per guardare avanti, mentre chi aveva faticato per consentirci la serenità di farlo ci abbandonava, falcidiato da questo virus.
Il pensiero, la preghiera, il rammarico per i nostri anziani, per i defunti che ora ci guardano dall’Alto.
Li ricordo tutti e per loro prego, insieme alle loro famiglie. Li unisco alla memoria delle suore, dei padri Saveriani, del religioso Stimmatino e dei preti diocesani. I loro nomi sono nella palma della mano di Dio e nel nostro cuore. Finché campo e anche dopo, non dimenticherò mai il 20 e 21 marzo, quando portai tre presbiteri al cimitero, con pochissime persone, l’ultimo, addirittura, con i soli necrofori e il camposanto chiuso. Il groppo in gola strozzava ogni cosa, tranne la preghiera e la speranza.
La nostra città e la sua cultura sono state denudate da ogni apparenza e sono rimaste forti o deboli solo di se stesse, della fiducia e della solidarietà, attingendo alla fede, intesa come fedeltà dinamica a fondamenti irrinunciabili, per i credenti a Dio che si fa carne in Gesù di Nazareth. Mistero che si è svelato anche in questo anno 2020.
Un tempo che abbiamo vissuto insieme, in compagnia con Gesù il Signore, nato da donna, sotto la legge, che continua la sua incarnazione nella fragilità dei più fragili, come gli anziani, di chi si è reso vulnerabile per curarli e di chi avrebbe accettato questo rischio, se gli fosse stato concesso di assisterli.
Fare memoria di quanto è accaduto è condizione per costruire in modo sapiente l’oggi e il domani, alieni da forme illusorie di falso ottimismo: “Andrà tutto bene”; come da tagli radicali con il passato: “Niente sarà come prima”. È tempo di discernimento. È tempo di decisioni. È un tempo che è nelle nostre mani. Perché non lanciamo l’hashtag: “Nelle tue mani c’è il bene”?
2. LE CURE E LA CURA
La cura è il cardine sul quale si è aperta la resilienza e la speranza ed è una via privilegiata per ricostruire2.
Come il Samaritano della parabola (FT, capitolo 2) l’appello è stato raccolto subito, con interventi urgenti, sia pure nell’incertezza dei primi momenti. Hanno detto sì donne e uomini con mansioni, professionalità diverse e, in modo corale, il mondo del volontariato. Fin da subito si è capito che ognuno poteva dare il suo contributo perché sul lavoro condiviso tra i singoli poggia la resilienza di molti.
«Tutti abbiamo una responsabilità – ci ricorda papa Francesco - riguardo a quel ferito che è il popolo stesso e tutti i popoli della terra. Prendiamoci cura della fragilità di ogni uomo, di ogni donna, di ogni bambino e di ogni anziano, con quell’atteggiamento solidale e attento, l’atteggiamento di prossimità del buon Samaritano...»3.
Abbiamo resistito proprio perché queste persone sono state al loro posto, alleate ai tanti volontari che si sono adoperati nelle forme che conosciamo e che dovremmo apprezzare sempre di più, se non fosse che il bene va fatto bene, cioè anche nel silenzio che lo rende veloce ed efficace, proprio perché non appesantito dal clamore che frena e zavorra.
Tanti giovani hanno affiancato e sostituito gli anziani volontari, costretti a riguardarsi o ammalati, confermando una cultura della cura che è patrimonio condiviso anche da loro.
Hanno mantenuto comportamenti responsabili, accettando le restrizioni per il bene dei loro familiari più anziani. Si sono messi in gioco e si sono spesi per la famiglia, testimoniando di non essere più «giovani da divano»4. Hanno dedicato il loro tempo per gli altri, collaborando anche con associazioni a reinventarsi per svolgere le loro mansioni con modalità diverse. Il prendersi cura, infatti, implica atteggiamenti e azioni concrete, capaci di cambiamento per sostituire, ad esempio, il contatto fisico che prima era normale.
Donne e uomini sono restati e rimangono per offrire servizi indispensabili, a rischio loro stessi di ammalarsi. Chi ha ringraziato una cassiera, un’insegnante, un autotrasportatore…? Solo per citarne alcuni che, come i pastori del Vangelo, si sono sentiti chiamati e si sono mossi offrendo un sostegno indispensabile.
Sulla prima linea dell’emergenza si sono distinti gli operatori sanitari. È unanime la gratitudine per gli eroi in camice bianco, che hanno mutato la loro divisa abituale per assumere una tuta pesante e dispositivi di protezione, lasciando visibili solo gli occhi.
La riconoscenza porta, insieme a loro, ad uno sforzo per cogliere le problematiche sottese al loro servizio e per interrogarsi sulle scelte di politica sanitaria a livello nazionale e locale. È gratitudine “bioetica”, che compone il sacrificio del personale alla verifica e al desiderio di accrescere l’impegno per un sistema sanitario, vanto della nostra nazione ed anche dei nostri territori. È coessenziale al ringraziamento lo sforzo per una sanità aperta a tutti, eccellente, gratuita, nell’ambito del variegato e complesso mondo della salute.
La pandemia ha messo a rischio la sua tenuta, mentre si cercavano protocolli, soluzioni organizzative e cliniche e gli operatori sanitari – su tutte le linee di intervento – si coprivano di gloria italiana, quella magnificata dalla nostra storia, che vede gli italiani resistere, spesso, nonostante tutto. Sanità – nazionale e locale – chiamata ad affrontare impegni e sfide, che la pandemia ha evidenziato e reso improcrastinabili:
- La cura assicurata a tutti con forme sinergiche di collaborazione tra saperi diversi e complementari della scienza medica, perché, anche in medicina, ci si salva, cioè si aiuta a guarire, insieme, nel dialogo tra specialità.
- La convinzione e l’opzione decisa di fare scelte dettate solo da un’evidenza clinica e non dall’età o da altro, come ha raccomandato il Centro Nazionale per la Bioetica5.
- La vicinanza al personale sanitario con l’attenzione ai giovani che entrano generosi in questa lotta, quanto bisognosi di maturare quell’esperienza che, al pari degli studi, fa l’operatore sanitario. Grazie a loro, che speriamo presto a servizio pieno, si sono supplite situazioni critiche e urgenti.
- L’organizzazione del personale che, con umiltà e spirito di servizio, si è messo a disposizione, anche se formato per altre specializzazioni, e il ricorso alla generosità di chi era già in pensione, rientrato in servizio per sostenere i colleghi nell’emergenza.
- La gestione delle risorse esistenti, mai abbondanti, e di quelle che la generosità dei cittadini ha offerto, per l’oggi e in vista del futuro che non possiamo disattendere.
- La cura e le cure, compreso le palliative, per gli ammalati che, con visione sistemica, comprendono la famiglia e le relazioni, forzatamente escluse dalle corsie.
- La necessità che l’assistenza religiosa generosamente offerta, nella fase cruciale, dallo stesso personale sanitario, si protragga insieme alla presenza stabile dei cappellani, come voluto dalla nostra legislazione e dalla prassi, per il bene dei pazienti e degli operatori.
- La presenza rafforzata, in parallelo, sul territorio, rispondendo alle richieste dalle abitazioni, con i familiari degli ammalati da seguire anche clinicamente perché a volte anch’essi intaccati dal virus, e ai contagi che aumentano con il virus che irrompe nelle case di riposo e nelle comunità alle quali offrire un’attenzione particolare.
- Il mantenimento e l’investimento sulla prevenzione e sui controlli periodici per le altre patologie acute e croniche, come da protocolli e metodiche precedentemente definite.
- Il totale disinteresse per tornaconti personali e la vigilanza perché nel dramma non strisci la serpe raccapricciante del crimine nelle sue variopinte mutazioni.
Ho ancora negli occhi la celebrazione della prima Messa in presenza davanti alla Chiesa dell’Ospedale. Alla gratitudine di questa opportunità subito offerta, il grazie a tutti e la consegna dell’immagine della Madonna della Misericordia del Battistero, che così bene interpreta il servizio degli operatori sanitari, manifestato anche nella premura di rassicurare, instancabilmente, con un sorriso, e di celare il dolore e la paura del momento chi a casa attendeva notizie su un caro ammalato o semplicemente sull’evoluzione della situazione.
3. LA PROVA
L’Ospedale e l’operatore sanitario sono nella trama delle relazioni sociali, nell’organizzazione dei nostri territori, nel vivo di una comunità6. Pensiamo alle conseguenze della limitata socializzazione per i bambini, gli adolescenti e i giovani.
Ci sono segnali da cogliere: sfoghi di aggressività e vandalismi, l’aumentata richiesta di sostegno psicologico per l’avanzare di sintomi preoccupanti: apatia, non curanza di se stessi, insonnia. L’aumento dei neet, di giovani che non frequentano più la scuola e che non hanno opportunità di lavoro.
Così pure le persone con disabilità, a rischio di peggiorare o regredire, per la privazione di sostegni e delle forme di aggregazione per loro essenziali.
Anche gli adulti hanno vissuto personalissimi percorsi nei quali sentono emergere paure e angosce, incertezze, fobie.
In alcuni casi, gli adulti e le famiglie si sono chiuse nelle loro abitazioni, hanno costruito muri “da decreto” e hanno scelto l’isolamento e l’autoesclusione dalla comunità per prevenire il contagio, esponendosi alla mancanza di interazione con gli altri.
Il lavoro e l’occupazione, con le conseguenze per il mantenimento delle famiglie, destano tantissime preoccupazioni: non sono ancora chiusi i disastri della recente crisi del 2008 dalla quale non solo non si è usciti migliori, ma tagliati di tanti posti e di slancio occupazionale, con l’aumento di lavori sempre più precari che oggi sono messi ancora di più a rischio. Pure la crisi demografica si è acuita, fino a livelli inimmaginabili.
La nostra città e il nostro territorio, sia pure meno di altri, avvertono tutto questo e prova ne sono – da questo osservatorio parlo – la richiesta massiccia, soprattutto da parte di famiglie con figli minorenni, di aiuti alimentari, di contributi per sostenere gli strumenti della didattica a distanza, per bollette, ticket e impegni finanziari che, nonostante il dilazionamento dei pagamenti e degli sfratti, sono enormemente aumentati agli sportelli della Caritas parmense, delle Caritas parrocchiali, del Fondo San Lorenzo che eroga sostegni per l’emergenza Covid. E questo è purtroppo confermato anche da altre realtà assistenziali che operano sul territorio. La pandemia da sanitaria è diventata sociale, con criticità, urgenze da raccogliere e da affrontare in modo non solo emergenziale, riducendo le diseguaglianze diventate sempre più intollerabili.
Non posso dimenticare come nello sforzo di prendersi cura si sia prodotta l’opera della Caritas, nelle sue articolazioni. L’offerta immediata del telefono amico “Noi ci siamo” ha accresciuto la capacità di ascolto e di risposta a richieste di aiuto alimentare, psicologico, sanitario e spirituale alle quali hanno fatto fronte gli operatori delle Caritas nei vari servizi, quali la mensa sempre aperta con la sicurezza dei pasti porzionati, i pacchi alimentari e l’opera di stoccaggio e distribuzione di quanto veniva raccolto, i dormitori resi sicuri e le esigenze urgenti, alle quali hanno sopperito nuovi volontari tra cui molti giovani. Senza dimenticare la bella sinergia con altre realtà che operavano, dando vita alla trama del prezioso tessuto dell’essere cura.
Intanto scorre questa seconda fase, nel sentore comune, meno epica, più carica di rabbia e faticosa. Con esigenze imprescindibili di prudenza, tra grida di aiuto e proteste di tanti operatori del commercio, del turismo – e Parma ne sa qualcosa – e l’impegno civico – morale di vaccinarsi, nel rispetto e per il rispetto delle fasce a rischio.
E non mancano, proprio in questi giorni, ulteriori e gravi preoccupazioni.
4. LA RISALITA
Come nella bruma del mattino si riconoscono le cose più appariscenti, in questi tempi emergono scelte significative. Ne intravvedo alcune, ma altre si possono cogliere con uno sguardo più globale e collettivo.
Il volersi bene nelle case, con i familiari e, in particolare, con i più deboli. Ci siamo scoperti una città che ama i propri vecchi, le persone fragili e a rischio e che non li lascia
andare, rimanendo con loro anche quando, saliti su un’autoambulanza, non sono più tornati. Il dolore per non essere stati accanto nelle corsie e addirittura, per molti, al cimitero lo denuncia tra le lacrime. A riprova della forza delle famiglie, che hanno retto spesso in situazioni precarie, poco supportate, come meriterebbero, nel loro ruolo essenziale per la società, in particolare come ambito quotidiano di cura della persona nella sua completezza e complessità.
La comunità civile, come del resto quella ecclesiale, guardandosi allo specchio, si trova fatta da famiglie, prima che da individui, e qui scopre ancora il suo tratto costitutivo, non sempre riconosciuto come tale, al quale si è appellata nella crisi.
Farsi prossimo è stata la sorpresa benedetta e la riconferma di un poliedro di persone e associazioni che non hanno smesso di esserci. Una scelta personale e collettiva che non si improvvisa, ma che matura nel tempo e si irradia nel territorio. Sono donne e uomini, giovani, gruppi giovanili parrocchiali e di varia estrazione e aggregazioni. Una scelta ribadita nel rischio della pandemia e riconosciuta dal doveroso e saggio esercizio del principio di sussidiarietà. Non sostituiscono l’impegno che enti e istituzioni debbono garantire per loro mandato, ma offrono un contributo proprio. Restano un patrimonio fondamentale con una specifica efficacia se riconosciute attorno allo stesso tavolo, con l’attenzione che nessuna prevarichi, che non ci sia nessun’altra competizione se non quella di cercare il bene e concordarlo per farlo meglio. Diffondono uno stile necessario in qualunque mansione volta al servizio.
Operare tenendo la testa alta, per riconoscere e darsi da fare in favore di persone e delle realtà più deboli tra i deboli, e verso gli invisibili che vivono rischi ancora maggiori. Capacità di una visuale che, a volte, va oltre le normative che non si adattano o che addirittura li dimenticano; uno sguardo penetrante unito all’azione, perché queste persone non possono aspettare lo sviluppo di qualcosa per loro, quando esigenze primarie le assediano. Attenzione che si traduce anche in realtà innovative, che anticipano risposte e percorsi concretizzando progettualità astratte (cfr. FT, n. 115 e 116).
L’incontro tra quanto si è formato nel tempo e il suo evolversi in un raccordo dinamico tra storia e identità, con novità e persone che raggiungono la nostra città. Non è soltanto per la loro preziosa attività nelle nostre case e nei luoghi di cura o per lo scambio di aiuti reciproci, ma l’auspicio, direi di più, la preghiera perché non perdano la loro “anima” e si possano trovare insieme le modalità per ascoltarsi e arricchirsi a vicenda.
La Chiesa deve essere di esempio, partendo proprio dal suo presbiterio. Anch’esso ha una fisionomia, frutto di una storia laboriosa. Ora il Signore lo chiama a migliorarsi con sensibilità e carismi di presbiteri che vengono dal mondo, non per scelte comode, ma per dono di fede. Già il confronto sul trascorso personale e pastorale nel lockdown ha mostrato esperienze e storie di vita arricchenti, che invitano ad una conoscenza più profonda in uno scambio reciproco. Un impegno, ma anche un esempio concreto di quanto sia necessario e fruttuoso questo incontro di persone che provengono da continenti diversi per la risalita della nostra città7.
5. L’ANIMA
La città e il territorio sono più della somma aritmetica di chi li abita o delle cose che lì si trovano. Da quanto è emerso si rivela una coesione su fondamenti comuni che possono creare un’unità di intenti per i momenti di crisi.
Ad altri termini – cultura, etica… – preferisco definirla “anima” riproponendo il sostantivo ed anche il verbo “animare”, perché le scelte che abbiamo individuato e sperimentato sono certamente animate da convinzioni profonde che restano ancora nostro patrimonio.
Sì, Parma – la gente che vive la città e il nostro territorio – ha un’anima, che la identifica e che è lievitata nel tempo nell’intreccio tra i caratteri propri della gente, il territorio e vicende, persone, prove.
Nasce così la tensione al bene che ha preso forme diverse, legate a donne e uomini, alle famiglie o ad associazioni.
È un patrimonio presente, vivo, di tutti, ma non inattaccabile, definitivo. Può cambiare direzione e perdersi, come anche affinarsi e crescere.
L’anima della città va coltivata permanentemente, perché ne siamo responsabili. Per questo richiede cura, educazione e condizioni per continuare fedele e profetica. È custodita, con un senso comune, dalla gente, tutta!, a contatto con la vita quotidiana. Si arricchisce dallo scambio con chi, anche da lontano, ha raggiunto la nostra terra8.
Ha bisogno di maestri buoni che la trasmettano e di profeti che la rianimino specie negli snodi della storia. Come è questo tempo che viviamo.
Guarda in avanti al nuovo non in astratto, ma con concretezza. Ancora peggio della pandemia è non imparare nulla da essa9.
Le scelte evidenziate sono alcuni dei suoi frutti.
In questo anno ci sono stati segni ed eventi nei quali questa anima si è riconosciuta, o ai quali la gente ha guardato incoraggiandosi. Penso a gesti umili che, nella solitudine richiesta, hanno punteggiato questi mesi. La visita al cimitero, la preghiera davanti a Maria posta sul Palazzo del Governatore a tutela della nostra città quale segno civico.
Ricevo molte comunicazioni e ringraziamenti per le presenze che cerco di avere sui media e che, insieme ad altro, sono riconosciute anche come un segno e un auspicio di coesione della nostra città e di speranza. Proprio la speranza è il frutto atteso da queste radici.
Siamo un albero prezioso, quanto delicato, soggetto a tanti rischi che possono ridurne la produzione a qualche sparuto fiore e frutto in situazioni eccezionali, mentre invece abbiamo bisogno di raccolti abbondanti e regolari, come da piantamenti ai quali affidare un dignitoso, comune benessere.
Ci sono infatti inquinanti che, anche durante la pandemia, sono rimasti attivi e ammorbano il terreno mettendone a rischio le radici.
L’individualismo che porta a chiudersi sull’interesse dell’individuo o del gruppo, negando, di fatto, valore all’altro, senza prendersene cura. Allora ci si sorprende che gli altri esistano e avanzino la pretesa di essere riconosciuti.
Le reazioni scomposte, solo emotive, di pancia, che non maturano uno stile capace di contenerle, immagazzinandole in uno sviluppo organico, guidato dalla ragione. Qui nasce la cronica polemica che è il contrario del “bene - dire”, cioè del dire bene. Troppo spesso si parla male dell’altro, si “male - dice” creando il clima astioso che porta al conflitto10.
Alle spalle di questo atteggiamento spesso c’è il cedere all’ideologia che assolutizza una visione del mondo, una convinzione ritenuta l’unica e non disposta al dialogo. Vanesia o arrogante, non guarda in faccia a nessuno e, se assunta da chi ha potere, origina esclusioni e periferie, laddove sono possibili coinvolgimento e aiuti reciproci. Si innestano meccanismi pericolosi lontani dalla realtà che si ritengono inattaccabili e non giudicabili.
6. RISALIRE ALL’ANIMA
Non solo ci sono antidoti, ma c’è la possibilità di creare un clima salubre e di custodire una terra buona.
Per la città e il suo territorio partire o risalire sempre dalla gente e mettere di nuovo le periferie al centro11, come criterio che non si può dimenticare. Ogni scelta e azione deve porsi un simile interrogativo: che bene porta alla nostra gente? A chi porta aiuto? Nasce il bisogno di dare ascolto a chi è più prossimo all’anima della città e alle sue esigenze: la gente e chi sta peggio. Non significa averli solo come destinatari, ma tenere sempre presente il loro sentire e i loro volti12. Nel concreto si apre, da qui, una prospettiva che ricolloca al posto giusto ogni altra cosa, rimodula i servizi e l’economia e ogni risoluzione anche specifica.
A Parma ci sono uomini e donne dotate di competenze ed esperienze che possono verificare e approfondire questa pista che lo stesso Papa Francesco ci indica. Ci servono dei profeti, anche in politica. Per l’oggi e per il prossimo futuro (FT, n. 177 ss.).
Abbiamo bisogno di una politica capace di cogliere la complessità delle situazioni, di farsi carico di questioni concrete, di argomentare e di confrontarsi. Occorre fare alleanze, intergenerazionali, multietniche e multiculturali, protese al bene comune. L’impegno politico – «l’amore politico» dice il Papa – deve essere vissuto come un progetto per il futuro, come capacità di analisi critica e di visione del domani.
E abbiamo bisogno di educare cittadini consapevoli e pronti a riconoscere e valorizzare la politica del bene comune13, legittimandola ad agire.
Questo richiede di procedere insieme, in un tempo – stando all’etimologia di questo termine ecclesiastico - sinodale, cioè nel quale si “cammina insieme”. Significa trovare il modo di ascoltarsi, liberi, per cercare solo il bene di tutti, dando spazio a pensieri ed esperienze. Trovare il modo di far parlare e ascoltare chi è più fragile, chi vive questi tempi con apprensione e difficoltà. I giovani, in particolare. Per l’esperienza che hanno maturato e patito in questi mesi e per i sogni che conservano, per un mondo più giusto e rispettoso della comune madre terra.
Potremmo trovare la sorpresa di soluzioni più ricche di quanto normato, più aderenti alla realtà complessa. L’apporto della gente ha una propria forza che difficilmente può venire sintetizzata in un decreto, che deve contemperare tante esigenze in una ricerca continua di mediazioni.
Il tempo e l’umiltà di trovare forme che danno voce e spazio è prezioso e carico di frutti.
Siamo una città vecchia e patiamo un inverno demografico senza fine. La sfida è attivare lo scambio tra anziani e giovani, tanto a rischio di scarto quanto essenziali per il rilancio duraturo e creativo della nostra collettività.
I giovani possano essere davvero coinvolti, perché hanno un profondo desiderio di esserci e di partecipare alla rinascita della nostra città e del nostro Paese, impegnandosi attivamente e mettendo a disposizione i loro doni.
Tra di loro i giovani cattolici, anche associati, hanno un proprio carisma da giocare nel servizio degli altri e della nostra città.
Qui la Chiesa deve dare maggiore testimonianza. Lo Spirito Santo ci ha fatto capire l’esigenza di un anno sinodale. Camminare insieme, lasciandoci raggiungere dal Pellegrino che si affianca ai viandanti sulla via di Emmaus e indica a noi oggi il tracciato che la Chiesa e tutta la società civile sono chiamate a compiere.
È il tempo opportuno per leggere quanto stiamo vivendo alla sua Luce. Dobbiamo fare sul serio! Non solo per conoscere quanto il Signore ci indica, ma per offrire se non un modello, una pista percorribile. “Partire senza indugio” seguendo i messaggi che ci giungono anche in questi tempi non facili. E con la gioia alla quale tutti aneliamo. Gioia data da una Presenza che può fare di ognuno un portatore di Luce e un artigiano di pace.
Non sono sufficienti, per saltarci fuori, proposte solo strumentali che si arenano come navi possenti sulle secche. L’anima ha bisogno di aria pulita e di andare in alto, richiede la meta verso la quale tendere che è e resta la persona nella sua realtà globale e nell’appartenenza alla nostra comunità e all’unica famiglia umana.
Essa è il riferimento primo dell’anima della nostra città ed anche la meta.
Risalire all’anima va di pari passo con il riconoscimento e le espressioni di questo sentire comune che diventa – come abbiamo sperimentato – solidarietà, inclusione, compassione e speranza. C’è una correlazione strettissima che si riverbera sull’intera collettività e il bene di ognuno.
La concezione di persona umana nel corso del tempo si è affinata sempre più chiedendo, come è di un corpo vivo che ancora cresce, di ricomporre un’armonia e un equilibrio nel quale tutte le sue componenti sono coinvolte e nessuna va dimenticata. Questo è l’impegno continuo, il lavorio che non deve mai venire meno per vincere la tentazione di enfatizzare alcuni suoi caratteri, a discapito di altri, creando squilibri che, non ricondotti ad unità, portano alla negazione di diritti inviolabili e all’esclusione di uomini e donne fragili.
L’anima di Parma sa cogliere l’armonia, come espressa nel volto dei mesi antelamici, ne è innamorata, e certo non mancherà di rinnovarsi con gli appelli e le esigenze che proprio le persone che la abitano le rivolgono, senza rimanere ad una superficie che illude, ma cercando la profondità che l’attira.
Donne e uomini di Parma possono offrire contributi essenziali, creare occasioni per parlare e riflettere, ascoltando gli apporti di chi viene a noi da altri contesti sociali e culturali.
Chiama la Chiesa. L’evento inaudito di Dio, che prende la nostra carne, illumina il mistero della persona e dell’umanità intera di Luce viva, garbata e penetrante, che neanche il nostro peccato può nascondere. Preghiamo di essere un lucernario perché tutti la possano godere.
Questo è stato ed è il nostro leale contributo all’anima di Parma.
Parma 13 gennaio 2021
+ Enrico Solmi
Vescovo di Parma
Abate di Fontevivo
NOTE
1 ENRICO SOLMI, Francesco va’, ripara la mia casa, Parma 2020.
2 a PAPA FRANCESCO, La cultura della cura come percorso di pace, Messaggio per la 54 Giornata della pace, 1 gennaio 2021.
3 PAPA FRANCESCO, Fratelli tutti, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, n. 79, Assisi 3 ottobre 2020. D’ora in poi FT.
4 PAPA FRANCESCO, Veglia di preghiera con i giovani, Cracovia 2016.
5 CENTRO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Covid-19: la decisione clinica in condizione di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”, Roma 8 aprile 2020.
6 GIOVANNI PAOLO II, Visita pastorale in Emilia, Discorso durante la visita all’Ospedale Maggiore di Parma, 6 giugno 1988.
7 FT, n. 103: «La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore».
8 FT, n. 134: «È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui».
9 PAPA FRANCESCO, Omelia di Pentecoste, Roma 31 maggio 2020.
10 PAPA FRANCESCO, Discorso alla Curia, 21 dicembre 2020.
11 ENRICO SOLMI, Al centro delle periferie, Parma 2018.
12 ENRICO SOLMI, Ascoltiamo i volti di Parma, Parma 2017.
13 ENRICO SOLMI, Il tempo di Parma città d’Italia e d’Europa, Parma 2019.