I primi sei mesi di OspedArte: 26 eventi al Polichirurgico realizzati insieme a 22 partner. Bilancio positivo per il progetto lanciato da AVO insieme alla Ausl e Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Piacenza -
La promessa è stata mantenuta. I primi sei mesi di OspedArte hanno lanciato un segnale ben visibile. A gennaio, subito dopo l’arrivo del pianoforte, acquistato grazie a una vivace campagna di crowdfunding, sono partiti gli eventi di questo nuovo progetto che vede in prima linea l’Azienda Usl di Piacenza, la Fondazione di Piacenza e Vigevano e AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), in collaborazione con Coop Alleanza 3.0 e Iren. Il bilancio di questi primi 180 giorni di iniziative è senz’altro positivo.
“La nostra ricchezza? Innanzitutto, i 15 volontari AVO – afferma il direttore generale Ausl Luca Baldino – che hanno accompagnato i pazienti per assistere a concerti e performance di vario genere. I 26 spettacoli “live”rivolti ai degenti, i 20 film proiettati, i 22 partner che hanno offerto gratuitamente la loro arte, il loro talento e la voglia di mettersi in gioco in un contesto non pensato, in origine, per questi eventi”.
Il progetto nasce dalla consapevolezza che il tempo trascorso di ricovero possa essere scandito, oltre che da visite mediche, esami e pasti, anche dalla lettura di un romanzo o di una poesia, dall’ascolto delle note di un pianoforte o dalla visione di un film. “Offrire ai pazienti una dimensione ospedaliera meno monotona – ricorda Baldino - diventa di per se un momento della cura”.
OspedArte tornerà, con una nuova stagione di appuntamenti, a settembre di quest’anno.
Sabato la 32enne di Seattle è stata la protagonista della giornata conclusiva della prima edizione del Festival della Giustizia Penale al Forum Monzani di Modena. Sono passati 12 anni dall’omicidio di Meredith Kercher e la ragazza americana è stata assolta con sentenza inappellabile “per non aver commesso il fatto”, ma molti hanno giudicato la sua presenza “inopportuna”.
Di Manuela Fiorini – foto di Claudio Vincenzi
MODENA –
Se c’era un modo per attirare l’attenzione dei media nazionali, e non solo, sulla prima edizione di un festival che, altrimenti, avrebbe probabilmente interessato solo gli “addetti ai lavori” e qualche curioso è stato invitare un personaggio “scomodo”, controverso. In questo caso Amanda Knox, la 32 enne americana di Seattle che per quasi otto anni ha infiammato dibattiti, riempito pagine di giornali e dato voce a fior fior di opinionisti.
E il senso dell’invito di Amanda al Festival per prendere parte a un dibattito sul “processo mediatico”, sta tutto nell’introduzione di Guido Sola, Presidente della Camera Penale di Modena, tra i promotori dell’iniziativa. “Se l’errore è in natura”, ha detto Sola, “è in natura altresì l’errore giudiziario. La verità assoluta non esiste, la verità è per sua natura approssimativa. Il processo penale è per sua natura alla ricerca della verità”. Ma quanti tipi di verità ci sono?
Secondo Sola “C’è una conoscenza profana, che è quella dei cittadini, dei “non addetti ai lavori”, una conoscenza processuale, attraverso la quale viene ricostruita la vicenda processuale, e la conoscenza mediatica, che aggrava lo scollamento che esiste tra la conoscenza profana e quella giudiziaria. La conoscenza mediatica contribuisce a deformare la conoscenza processuale.
Mentre il Processo Penale non si lascia “leggere” nella sua interezza e complessità da chi non ha competenze giuridiche, il Processo mediatico opera a livello istintivo e per sua natura genera danni perché può permettersi di giungere a conclusioni usando persino la fantasia per introdurre elementi “avvincenti” per fare presa sul pubblico. Ma nello stesso tempo distrugge la vita di persone vere. Il processo mediatico crea il “mostro” ancor prima che inizi il processo penale, spesso tenendo conto solo dell’accusa e non della difesa.
Poi Sola parla di numeri: nel 2017 sono state accettate 1013 domande di risarcimento per ingiusta detenzione. Negli ultimi 25 anni le domande accolte sono state 26.550 su oltre 52 mila. Un’introduzione e cifre che, indubbiamente…fanno riflettere.
L’intervento di Amanda Knox
Poi tocca a lei, Amanda. Prende la parola con il viso provato dalla tensione di questi giorni. Ha accettato l’invito di Italy Innocence Project e su Twitter aveva annunciato di “tornare in Italia da donna libera”.
Visibilmente emozionata, ripercorre le tappe del suo rapporto con l’Italia. “Questo è il mio terzo soggiorno. La prima volta è stata quando avevo 14 anni con la mia famiglia, abbiamo visitato il Colosseo, mangiato lumache sulla Costiera Amalfitana…”, E prosegue con la voce rotta dall’emozione: “Sono tornata a 20 anni e ho incontrato la tragedia e la sofferenza”. Sono tornata per la terza volta perché lo dovevo fare, sono stata invitata da Italy Innocence Project e perché una volta sentivo questo paese come una casa e spero di sentirlo di nuovo così un giorno”.
Amanda ammette di avere avuto paura a tornare: “Tanta gente pensa che io sia pazza a venire qui, che non è sicuro, che verrò attaccata e falsamente accusata. Ho paura oggi, di essere molestata, derisa, incastrata, ho paura che mi vengano rivolte nuove accuse perché oggi vengo qui a raccontare la mia versione dei fatti”.
E la versione di Amanda è che la sera in cui Meredith è stata uccisa “io e Raffaele non eravamo là”. C’è un colpevole: Rudy Guede è stato catturato, processato e condannato, eppure un numero sorprendente di persone non ha mai sentito il suo nome, perché i media hanno incentrato l’attenzione su di me”. E continua: “con i furgoni delle TV ammassati davanti a casa, i poliziotti erano sotto una pressione immensa, che chiedeva loro di arrestare al più presto un colpevole. Hanno deciso di indagarmi, questa decisione era basata su prove fisiche, testimonianze, non era basato su nient’altro che su un’intuizione investigativa”.
Mentre il tono si fa più saldo, quasi con rabbia Amanda ripercorre i primi interrogatori, “mi hanno interrogata per 50 ore in cinque giorni, privandomi del sonno”, “in una lingua che non conoscevo bene e senza un avvocato”. “Alla fine mi hanno fatto firmare una dichiarazione…”. Proprio questi particolari renderanno inutilizzabili i risultati di quei primi interrogatori.
È molto dura anche nei confronti dei media, “che negli Stati Uniti sono la prima linea di difesa contro le autorità che frettolosamente ci privano della nostra libertà e in questo caso avrebbero potuto chiedere: “Avete arrestato tre persone, in base a quali prove? Così facendo avrebbero potuto incentivare la polizia a tirare i freni. Invece qui non hanno fatto altro che fomentare quelle idee che facevano loro più comodo, la storia più avvincente, quella che avrebbe fatto più audience”.
Le parole di Amanda si fanno più dure: “I giornalisti mi hanno ribattezzato “Foxy Knoxy”, i media si sono impegnati in speculazioni sfrenate. Sul palcoscenico mondiale io non ero una imputata innocente fino a prova contraria, ero una furba, psicopatica, sporca e drogata puttana, colpevole fino a prova contraria”. E continua: “Io avevo fiducia che la mia innocenza mi avrebbe rivendicata. Poi ho sentito il giudice pronunciare la parola “colpevole”, il verdetto mi è caduto addosso come un peso schiacciante”.
Crolla ancora per l’emozione, Amanda, quando rivive i quattro anni di carcere, dove l’incontro con i familiari era concesso per sole 6 ore al mese, in colloqui di un’ora che passava in fretta, di quando implorava suo padre di farla uscire e di avere pensato anche al suicidio. Parla ancora del rapporto con Don Saulo, il cappellano del carcere, di come l’abbia ascoltata, ma non creduto alla sua innocenza, almeno all’inizio. Si sofferma sulla figura del PM Mignini, “una figura da incubo, un mostro, un uomo potente e spaventoso che aveva come unico obiettivo: distruggere la mia vita” e che le piacerebbe “incontrarlo faccia a faccia”, perché “l’immagine che avevo di lui era sbagliata, un’immagine piatta, come Foxy Knoxy. Nel documentario Netflix ho visto un uomo con ambizioni, che aveva la volontà di rendere giustizia a una famiglia distrutta”.
E a proposito di Meredith, (“Non avevo motivo di ucciderla, era una mia amica”, ha detto Amanda nel corso del suo intervento), si chiede “Ha avuto giustizia?” “Non ha avuto giustizia perché non è più viva. La sua famiglia ha dovuto sopravvivere in un sistema di ansie, verità distorte…Mi dispiace per loro. C’è un assassino in carcere e almeno in questo ci può essere soddisfazione…”.
Alla fine del suo intervento, Amanda riceve gli applausi di rito e torna a sedere per continuare la tavola rotonda. Sulla sua presenza a Modena il “popolo dei social” si è scatenato con ogni sorta di commenti, quasi tutti in un’unica direzione: è una furba che “l’ha fatta franca” e in Italia non è la benvenuta. Di fatto, c’è una sentenza basata su documenti probatori di cui la maggior parte di chi continua ad accusarla basandosi su metodi lombrosiani o sentimenti “di pancia” non è a conoscenza. E poi c’è la verità, anzi, le verità: la sua, la nostra, quella del Processo Penale e quella del Processo Mediatico.
Le tappe del “delitto di Perugia”
Nella notte tra il 1° e il 2 novembre 2007, una studentessa inglese di 22 anni, Meredith Kercher, viene trovata morta, uccisa con una coltellata alla gola, in una casa di via della Pergola, a Perugia, dove si trova per l’Erasmus. L’allarme viene dato all’ora di pranzo del 2 novembre dalla sua coinquilina, l’americana Amanda Knox, allora 20 anni, che rincasa insieme al fidanzato, Raffaele Sollecito, allora 23. Ancora prima dell’inizio delle indagini, parte il “processo mediatico” ad Amanda e Raffaele. La loro vita privata viene sezionata, le immagini dei due ragazzi che si abbracciano e si baciano mentre sono in corso i primi sopralluoghi fanno il giro del mondo. L’opinione pubblica si scalda e subito si focalizza su Amanda: troppo bella, troppo furba, ride troppo…deve essere stata lei. In un primo tempo, forse per paura, Amanda accusa dell’omicidio di Meredith Patrick Lumumba, allora 37 anni, congolese e titolare del locale dove l’americana lavora di tanto in tanto. Lumumba, sposato e padre di un bambino piccolo, viene arrestato e rimane per due settimane in carcere, prima che un testimone lo scagioni. Amanda viene condannata a tre anni per calunnia e sconterà la pena.
Nel frattempo, in scena entra Rudy Guede, 21 enne ivoriano che da tempo vive a Perugia. L’impronta della sua mano insanguinata viene trovata sul cuscino sul quale è adagiato il corpo della povera Meredith, sul tampone vaginale fatto alla vittima vengono rinvenute tracce del suo DNA, così come in altre parti della casa. Viene confermata come sua anche un’orma insanguinata, in un primo tempo attribuita invece a Sollecito. Guede viene rintracciato a Magonza, in Germania, dove era fuggito perché, a suo dire, temeva di essere coinvolto nell’omicidio. Ammette di essere stato in quella casa la notte in cui Meredith è stata uccisa, ma di non essere stato lui. Accetta, tuttavia, di essere processato con rito abbreviato. Il ché gli vale una condanna a 16 anni anziché 30. L’accusa è di “concorso in omicidio”, insieme ad Amanda e a Raffaele che, secondo l’accusa, avrebbero ucciso Meredith durante un gioco erotico finito male. Più avanti, si parlerà invece di litigi tra Amanda e Meredith per le pulizie di casa.
Nel frattempo, comincia la lotta a suon di prove, prima confermate e poi smentite, ma talmente labili, contaminate e “non attendibili” da portare prima alla condanna di Knox e Sollecito, poi alla completa assoluzione. Il 5 dicembre 2009 Amanda Knox e Raffale Sollecito vengono condannati in primo grado a 26 e 25 anni dalla Corte di Assise di Perugia. Nel novembre 2010 inizia il processo di secondo grado, sempre sotto gli occhi di telecamere e riflettori, che si conclude il 3 ottobre 2011 con l’assoluzione dei due imputati e la loro scarcerazione. Il colpo di scena arriva il 26 marzo 2013, quando la Cassazione annulla la sentenza di secondo grado e rimanda alla Corte d’Appello di Firenze per un nuovo processo d’appello, che inizia il 30 settembre 2013.
Amanda è tornata negli Stati Uniti, dove l’opinione pubblica la difende e dove lei dichiara di rimanere per timore di tornare in carcere in caso venga confermata una sentenza sfavorevole: l’accusa, infatti chiede 30 anni per lei e 26 per Sollecito. La sentenza arriva il 30 gennaio 2014: il quarto verdetto condanna Amanda a 28 anni e 6 mesi e Raffaele a 25 anni per concorso in omicidio. La parola torna alla Cassazione, che il 28 marzo 2015 annulla senza rinvio le condanne ad Amanda Knox e a Raffaele Sollecito e li assolve “per non aver commesso il fatto”.
Avvistato squalo Mako in Croazia. L’esemplare misura circa 4 metri e vaga nel mar Adriatico e si teme possa raggiungere anche le coste italiane, ovviamente senza sapere quando e dove di preciso. A causa del riscaldamento del mare nell'Adriatico stanno arrivando nuove specie di squali.
14 giugno 2019
Negli ultimi anni si sono susseguiti sempre con maggior frequenza avvistamenti nel Mediterraneo, l’ultimo a Maiorca, dove il più temibile dei predatori del mare, il gigantesco squalo bianco è stato fotografato il 28 giugno 2018 vicino all’isola abitata di Cabrera, a sud di Maiorca. Ma anche l’Adriatico di recente è stato meta di specie di squali che mai in precedenza o assai raramente si erano viste nuotare nelle acque del bacino della Penisola Italiana. Nei giorni scorsi in Croazia è stato avvistato uno squalo Makohai di fronte al resort di Makarska, una popolare meta turistica. Solo pochi giorni prima era già stato visto a Korčula. Si stima che abbia nuotato per circa 70-80 chilometri.
L’esemplare misura circa 4 metri e vaga nel mar Adriatico e si teme possa raggiungere anche le coste italiane, ovviamente senza sapere quando e dove di preciso. La pericolosa presenza è stata trasmessa con un video postato sui social network diventato ormai virale e confermata dal ministero del Turismo della Croazia. La polizia marittima ha ovviamente pattugliato subito i tratti di costa maggiormente a rischio ma tracce dell’animale finora non ce ne sono per quanto riguarda il territorio italiano.
Nell’ultimo secolo gli attacchi di squalo nel Nord Adriatico sono stati 6 (4 mortali). Sulle coste croate, l’ultimo attacco di uno squalo contro l’uomo risale al 1971. Lo squalo Mako è una specie che vive principalmente nelle acque tropicali e subtropicali, tuttavia è presente anche nei mari temperati e dunque nel Mar Mediterraneo, sebbene sia piuttosto raro avvistarlo.
Lungo fino a quattro metri, questo predatore è noto per i grandi salti di cui è capace e per la dentatura impressionante, molto più “spaventosa” di quella dello squalo bianco. A causa di questa caratteristica, nelle locandine del film “Lo squalo” i denti del carcarodonte erano sostituiti proprio da quelli minacciosi del mako. Oltre che per i sub e i bagnanti a causa dell'indole aggressiva e imprevedibile, questa specie, della quale ne fu pescato e liberato un esemplare ad Ostia nel 2014, può essere pericolosa anche per i pescatori: con i suoi grandi balzi, fino a sei metri di altezza, può infatti saltare sulle barche una volta preso all'amo.
Esperti del Dipartimento di studi marini dell'Università di Spalato in Croazia, ed in particolare Alen Soldo, hanno affermato che a causa del riscaldamento del mare, nel Mar Adriatico si è registrato un crescente numero di specie invasive, altrimenti inusuale per le regioni che si affacciano sullo stesso. Il dato più eclatante e che, in base alle statistiche disponibili, ogni settimana una nuova specie entra dal Mar Rosso nel Mediterraneo. Tra queste specie vi sono gli squali, le cui abitudini e movimenti sono influenzati anche dall'aumento della temperatura. Gli stessi, infatti, eviterebbero le zone che diventano troppo calde, ed essendo in cerca di cibo esplorerebbero nuovi areali. Presumibilmente il temibile squalo tigre, responsabile di numerosi attacchi nel Mar Rosso, è già entrato nel Mediterraneo. Tuttavia, non è ancora visibile nell'Adriatico, a differenza del grande squalo bianco. Il più mastodontico di questi vertebrati si adatta a diverse gamme di temperatura. E nell'Adriatico è legato alle migrazioni del tonno. Così come i branchi di tonno si spostano, così è possibile che li segua lo squalo bianco - spiega Soldo - e aggiunge che è un abitante occasionale del Mare Adriatico.
Il problema è che non si può far nulla. Ci sono troppe variabili che non possiamo influenzare - dice Soldo. Ovviamente le statistiche di attacchi di squali nei nostri mari ci dicono che è più facile essere colpiti da un fulmine che subire un’aggressione da parte di un pescecane, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti", che sottolinea come il fenomeno che si sta studiando del diffondersi di specie di squali non endemiche è qualcosa cui dovremo adattarci senza dover temere di fare un bagno in tutta tranquillità nei nostri luoghi tradizionali di balneazione.
Nella mattinata di ieri, durante un servizio volto a prevenire la commissione di reati, in particolare reati contro il patrimonio, il personale della Squadra Mobile di Parma ha arrestato due pericolosi truffatori in flagranza di reato.
Questi ultimi, un serbo di 46 anni ed un italiano, originario del sud Italia, di 60 anni, gravati da numerosissimi precedenti e condanne per reati contro il patrimonio, sono stati colti mentre stavano perpetrando una truffa ai danni di una coppia di ignari cittadini del senegalesi.
Il modus operandi dei due soggetti consisteva nel affittare per qualche giorno una casa e successivamente, dopo aver divulgato cartelli ed annunci online di “affitto”, organizzavano incontri per affittare lo stesso immobile.
Quindi, in tutta fretta, facevano vedere ad ignare vittime l’appartamento, stipulavano un contratto chiaramente fittizio di locazione, si facevano dare un anticipo, dopodiché si dileguavano.
Purtroppo, però, le vittime, dopo qualche giorno, venivano allontanate dai veri proprietari degli alloggi e solo in quel momento capivano di essere stati vittime di artifici e raggiri da parte dei due finti “agenti immobiliari”.
I due rei sono stati tratti in arresto e su disposizione del Pubblico Ministero di turno posti all’interno delle camere di sicurezza della Questura e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria.
La Polizia Locale di Parma, con la collaborazione della Questura di Parma, ha dato esecuzione ad una ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali, in materia di spaccio di sostanze stupefacenti.
L’indagine ha avuto inizio nell’ottobre 2018, a seguito dell’aggressione subita da uno studente del Liceo Artistico Paolo Toschi ad opera di uno dei soggetti indagati e tratti in arresto ieri.
Una lunga attività investigativa ha fatto emergere che di fronte al Liceo Artistico, soprattutto in concomitanza con il termine delle lezioni, era quotidianamente presente un gruppo di persone che vendevano stupefacenti (soprattutto hashish) ai giovanissimi studenti, anche di altri Istituti, tanto che l’area era divenuta nota, fra gli studenti, come zona dove si potevano facilmente acquistare stupefacenti.
La Polizia Locale, anche grazie alla collaborazione del Preside del Liceo Artistico e di alcuni esercenti, ha monitorato la zona – comunemente conosciuta come “pensilina Toschi” – per mesi, riscontrando centinaia di cessioni di stupefacenti, da parte dei medesimi soggetti, spesso in collaborazione fra loro e sempre con analogo modus operandi; gli indagati, quasi tutti giovani fra i 20 ed i 25 anni, stazionavano sul parapetto del torrente Parma e spesso cedevano lo stupefacente dopo averlo spezzato con i denti o tagliato direttamente sul posto. Assai di frequente si è anche riscontrato che le sostanze venivano immediatamente utilizzate dagli acquirenti.
Il prezzo minimo della vendita era di € 10,00. Uno degli indagati si occupava anche della vendita di marijuana.
L’attività si è svolta attraverso servizi di osservazione, sia effettuati direttamente sui luoghi dalla Polizia Giudiziaria, sia con l’ausilio di telecamere (le cui riprese sono riversate su hard disc), sia attraverso lo studio di tabulati telefonici, intercettazioni e audizione di diverse persone informate sui fatti.
Ieri, sono state eseguite 7 ordinanze di custodia cautelare. L. H. nato in Marocco, classe 1996 e P. M., nato a Parma, classe 1989, sono stati arrestati. N. L. M., nato a Sassari, classe 1997 è agli arresti domiciliari, S. K. H. H., nato in Egitto, classe 2000 è stato raggiunto dal divieto di dimora a Parma. Z. L., nato a Parma, classe 1998 ha l’obbligo di presentarsi alla Polizia Giudiziaria. Due indagati non sono stati trovati in città, ma sono entrambi destinatari del divieto di dimora a Parma.
Nei confronti di cinque indagati il GIP, pur riconoscendo la gravità degli indizi, ha ritenuto non sussistenti le esigenze cautelari.
Nel complesso, al gruppo degli indagati sono contestati 95 capi di imputazione per attività di spaccio che vanno dalla seconda metà di ottobre 2018 alla metà del mese di marzo 2019, con decine di episodi di vendita illecita.
Peraltro ad uno degli indagati sono contestati circa 700 episodi di spaccio a beneficio dello stesso acquirente in un periodo compreso tra il 2015 ed il mese di gennaio 2019.
Il Gip ha, inoltre, disposto il sequestro preventivo di oltre 18.000,00 euro.
L’operazione in questione va inquadrata nell’ambito delle iniziative tese al contrasto alla vendita di stupefacenti, coordinate dalla Procura della Repubblica di Parma, poste in essere dai vari organi di Polizia giudiziaria.
Nell’ambito di mirati servizi finalizzati alla prevenzione e al contrasto del fenomeno del traffico di sostanze stupefacenti, nella giornata di ieri, a Modena personale della Squadra Mobile, unitamente alla locale Polizia Municipale, ha tratto in arresto due cittadini peruviani, padre e figlio, rispettivamente di 60 e 32 anni.
L’indagine ha preso avvio a seguito di una serie di servizi di osservazione e pedinamento nella zona di via Gramsci, della Stazione Ferroviaria e del parco XX aprile. Gli investigatori, anche alla luce di segnalazioni da parte dei residenti, hanno concentrato la propria attenzione sui due peruviani, che spesso si accompagnavano a noti personaggi pregiudicati di nazionalità nigeriana.
La perquisizione domiciliare, effettuata con l’ausilio di una unità cinofila della Guardia di Finanza, ha dato definitiva conferma ai sospetti della Polizia: all’interno dell’abitazione, dove tra l’altro erano stati accertati numerosi “andirivieni” sospetti, sono stati rinvenuti oltre 190 grammi di sostanza stupefacente in polvere e sasso del tipo cocaina, ulteriori 336,3 grammi di cocaina in stato liquido ed un barattolo contenente stracci imbevuti della medesima sostanza in stato liquido per un peso lordo di grammi 253. Trattasi di un sequestro peculiare in quanto la droga allo stato liquido viene successivamente raffinata attraverso un processo chimico: da 150 grammi di liquido si ricava circa un chilo di sostanza in polvere. La droga rinvenuta avrebbe fruttato sul mercato illegale oltre 150mila euro.
È stato, inoltre, sequestrato materiale per il confezionamento della droga, tra cui cinque bilancini di precisione ed un frullatore, e numerosi telefoni cellulari.
La perquisizione è stata estesa anche ad un magazzino, ubicato in un palazzo in zona Canaletto e adibito abusivamente a luogo di ritrovo e a studio di registrazione, le cui chiavi erano in possesso dei due peruviani. È stato pertanto richiesto l’ausilio dei Vigili del Fuoco e di personale dell’AUSL, i quali hanno accertato violazioni amministrative di carattere igienico sanitario e in materia di urbanistica ed edilizia.
Entrambi gli arrestati risultano gravati da precedenti di Polizia. Al termine degli accertamenti di rito, i due peruviani sono stati associati alla locale Casa Circondariale, come disposto dal Magistrato di turno, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria competente.
Nella giornata di ieri, personale della Squadra Mobile, unitamente ai colleghi dell’omologo Ufficio di Reggio Emilia e della Polizia Municipale di Modena, ha tratto in arresto due italiani di 20 e 23 anni.
Nell’ambito di mirati servizi finalizzati alla prevenzione e al contrasto del fenomeno del traffico di sostanze stupefacenti, attuati in collaborazione con la Polizia Municipale di Modena anche attraverso appostamenti e pedinamenti, gli agenti hanno fermato un giovane di 26 anni, poi denunciato in stato di libertà in quanto trovato in possesso di circa 58 grammi di marijuana, sul quale vi erano fondati sospetti che potesse essere legato in qual modo ad un giro di droga. Le indagini hanno poi permesso di risalire ai due giovani arrestati, residenti in provincia di Reggio Emilia, che svolgevano la propria attività illecita lungo la via Emilia Ovest.
All’interno dell’abitazione, che i due condividevano, sono stati rivenuti circa 24 Kg di sostanza stupefacente del tipo marijuana, suddivisa in 47 involucri in cellophane, materiale per il confezionamento (bilancini di precisione, macchine per sottovuoto e relativi sacchetti), quattro telefoni cellulari di cui uno micro e la somma in contanti di oltre 10.000 euro.
Droga, denaro e quanto recuperato nel corso della perquisizione personale e domiciliare è stato sottoposto a sequestro.
I due giovani, entrambi pregiudicati, al termine degli accertamenti di rito, sono stati tradotti in carcere, come disposto dal Magistrato di turno a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Sabato notte, la Polizia di Stato ha effettuato un servizio di controllo dedicato alla verifica delle condizioni psicofisiche dei conducenti. Tre pattuglie della Polizia Stradale, un Medico della Polizia di Stato, assistito da un ambulatorio mobile messo a disposizione dalla Croce Rossa e un’unità cinofila antidroga della Questura di Bologna, sono stato impiegati per il controllo sulla SS 62 km 111 in località Collecchio (PR).
75 i conducenti fermati, dei quali 3 sono risultati in stato di alterazione dovuta all’assunzione di sostanze alcooliche. Le patenti sono state pertanto ritirate per essere inoltrate al Prefetto ai fini della sospensione.
Da ultimo, ma non per rilevanza, sono state accertate e contestate altre 5 violazioni amministrative contrastanti con le norme del Codice della Strada per 2 delle quali è stata ritirata la patente.
I servizi proseguiranno nel corso delle prossime settimane.
L’incredibile episodio si è verificato nei pressi della vecchia stazione di Piazzale Marconi, a Reggio Emilia. L’uomo, un 28 enne di colore, ma con passaporto finlandese si aggirava in evidente stato di turbamento. Fermato per le procedure di accertamento, ha prima palpeggiato al seno l’agente in servizio, poi si è esibito davanti a lei.
REGGIO EMILIA –
Indossare una divisa, evidentemente, non mette al riparo le donne dalle molestie sessuali sul posto di lavoro. Ne sa qualcosa l’agente della Polfer in servizio sabato pomeriggio nei pressi della vecchia stazione di Piazzale Marconi, che è stata oggetto delle attenzioni indesiderate di un cittadino straniero 28 enne, durante le procedure di accertamento e di identificazione.
La zona attorno alla vecchia stazione è da tempo “monitorata” dalle Forze dell’Ordine in quanto luogo degradato e frequentato da persone poco raccomandabili. Proprio qui è stato notato un giovane uomo di colore che si aggirava nervosamente nell’area tra l’atrio e l’area della vecchia stazione, in evidente stato di alterazione psico fisica.
L’uomo, un 28 enne di colore, ma con passaporto finlandese, era già noto alle Forze dell’Ordine. Gli agenti lo hanno quindi fermato per procedere ai controlli di rito. A questo punto, il 28 ebbe ha cominciato ad agitarsi e a dare in escandescenze. È stato quindi accompagnato nei locali della Polfer per le operazioni di identificazione. Ed è qui che, all’improvviso, l’uomo a cominciato a palpeggiare il seno di un’agente in servizio. Non pago, ha messo ha cominciato anche a praticare atti di autoerotismo davanti alla donna sbigottita.
Immediata la reazione dei colleghi della poliziotta, che hanno subito bloccato l’uomo. Per lui sono scattate quindi le manette con l’accusa di violenza sessuale. Dovrà comparire presto davanti al giudice per la convalida dell’arresto.
Impegnati una cinquantina di agenti e funzionari della Polizia di Stato. Per consentire le operazioni è stata chiusa al traffico via Sinistra Tresinaro. I metal detector hanno rilevato una scatola di preziosi nascosta in un controsoffitto. Non risulta nessun fermo o arresto.
CORREGGIO (RE) –
Maxi operazione della Polizia questa mattina al campo nomadi di via Sinistra Tresinaro, dove vivono ufficialmente cinquanta persone e da tempo al centro di polemiche sul tema della legalità, non ultima una sparatoria che sarebbe finita con il ferimento di un uomo.
Per consentire le operazioni la strada è stata chiusa al traffico. Secondo quanto si apprende, il blitz, che ha visto impegnati nelle azioni di controllo cinquanta tra agenti e funzionari della Polizia di Stato, era finalizzato alla ricerca di armi. Per questo gli agenti si sono avvalsi di appositi rilevatori per monitorare sia l’area esterna che quella interna.
Se, al termine, non sono state trovate armi, i metal detector hanno tuttavia consentito di rinvenire, nascosta in un controsoffitto, una scatola con diversi preziosi. I gioielli sono stati sequestrati in attesa di capire la loro provenienza. Il sospetto, infatti, è che si tratti di proventi di furti. Le indagini sono in corso.