Mercoledì 8 gennaio, proprio quando le trattative per il cessate il fuoco in Palestina stavano riemergendo in maniera preponderante, il quotidiano israeliano Haaretz, ha pubblicato un articolo in cui rivela che il governo di Tel Aviv ha bloccato l’avvio di una indagine delle Nazioni Unite sui presunti crimini sessuali condotti da Hamas nel 7 ottobre.
Il lettore bene attento che non si è lasciato trascinare da un joyciano flusso di coscienza non si è ingannato: l’indagine dell’ONU riguardava i crimini sessuali di cui è accusato Hamas, quello che ci sta venendo descritto dai media di tutto il mondo come l’eterno rivale del bene.
Andiamo per gradi. Ad avanzare la richiesta è stata Pramila Patten, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale nei conflitti. Patten aveva già documentato il verificarsi di crimini sessuali nei confronti di civili israeliani durante i fatti del 7 ottobre, tanto da stilarvici un rapporto, poi ripreso dal documento annuale sui conflitti del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e da numerosi altri rapporti dell’ONU su Gaza.
In seguito al rapporto di Guterres né Hamas né Israele erano stati aggiunti alla lista nera dell’ONU sulla violenza sessuale. Il motivo dell’esclusione del gruppo palestinese, ha spiegato Patten dopo le innumerevoli critiche israeliane, era che l’attacco del 7 ottobre non era stato condotto da una sola organizzazione, e che per tale motivo attribuire la violenza sessuale a un gruppo specifico avrebbe richiesto tempo e indagini più approfondite.
Torniamo alla questione principale. Con la richiesta di indagare su Hamas, Patten ha avanzato altre due istanze ben precise: la prima, che Israele firmasse un documento in cui si impegnava ad adottare le misure delle Nazioni Unite contro la violenza sessuale nei conflitti; la seconda, che Tel Aviv le concedesse accesso alle proprie carceri, così da fugare ogni dubbio relativo ai crimini di cui è accusata.
Il ministro degli Esteri israeliano ha risposto rilanciando la volontà di collaborazione e la stima del Paese nei confronti suoi e della sua attività, ma ignorando completamente le richieste di Patten.
Diversi movimenti per la tutela delle donne e docenti universitari hanno chiesto al proprio governo di collaborare con Patten, così da inserire Hamas nella lista nera dell’ONU. A questo punto, una domanda sorge spontanea: per quale arcano motivo Israele ha negato a una rappresentante ONU la possibilità di aprire un fascicolo contro uno dei propri arcinemici su accuse avanzate tanto arditamente da lei stessa?
Le risposte possibili sono poche, e per elencarle basta guardare gli oggetti della richiesta di Patten: l’indagine su Hamas e la richiesta di entrare nelle carceri israeliane. Tradotto: o Israele non voleva che Patten indagasse sulle proprie accuse verso Hamas perché conscia della loro falsità, o non voleva che entrasse nelle proprie carceri.
La prima opzione, per quanto non sia troppo inverosimile, visto che molte delle affermazioni fatte dallo Stato ebraico sul 7 ottobre sono state ripetutamente smentite, sembrerebbe da escludere.
In primo luogo perché ci sono già prove che documentano che almeno alcuni dei gruppi armati palestinesi che hanno partecipato all’operazione “Alluvione di Al-Aqsa” abbiano effettivamente condotto stupri – cosa che in azioni di guerra è tanto atroce quanto ordinaria. Successivamente perché Israele ha dimostrato più e più volte la sua capacità di respingere le smentite con una facilità disarmante. Se davvero lo scopo fosse stato quello di tenere sotto al tappeto le proprie menzogne, sarebbe stato più economico – e coerente con la condotta finora adottata dallo Stato ebraico – lasciarla fare per tacciarla di antisemitismo in una seconda tornata.
La seconda ipotesi risulta assai più probabile. Sono innumerevoli i rapporti che denunciano le condizioni di assoluto degrado in cui Israele lascia i propri detenuti, spesso soggetti a torture, vessazioni, trattamenti disumani e degradanti, nonché, per l’appunto, stupri.
La stessa Haaretz ipotizza a buon ragione che il motivo dietro il no del governo alle richieste di Patten sia proprio quello di tenere alto il velo di finzione che dipinge Tel Aviv come la “unica democrazia del Medioriente”, che verrebbe squarciato violentemente da chiunque mettesse piede nelle carceri israeliane.
Dopo tutto, lo dicono anche quegli stessi movimenti per la tutela delle donne e quegli stessi professori universitari che hanno esortato il proprio governo ad accettare le richieste di Patten: alle istituzioni non importa niente dei propri cittadini. Sin dal 7 ottobre, e anche prima, scrivono la Dott.ssa Sarai Aharoni e Shira Barbirai-Shaham in un rapporto, Israele ha trattato la questione della violenza sessuale per meri “scopi di pubbliche relazioni”, ignorando i bisogni delle vittime.
HASHTAG: #Israele #Gaza #Palestina #ONU #criminicontrolumanita
METATESTO: Israele ha negato a una rappresentante ONU di indagare sui presunti crimini di Hamas per impedirle l'accesso alle proprie prigioni.