Martedì, 06 Febbraio 2024 05:47

Superare il primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno...come ha fatto la Polonia In evidenza

Scritto da Prof. Daniele Trabucco

 Di Daniele Trabucco (*) Belluno, 6 febbraio 2024 - Le legittime proteste degli agricoltori non solo italiani, ma anche di molti Stati membri dell’Unione Europea, dovrebbero portare a riflettere sulle conseguenze del primato del diritto UE su quello interno.

Il primo, infatti, rispondendo a logiche neoliberiste e globaliste, si pone spesso in antitesi rispetto agli interessi nazionali.

Ora, la prevalenza del «diritto comunitario» sul diritto italiano è stata il risultato di un preciso percorso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea cui si è adeguata la Corte costituzionale italiana (si veda la storica sentenza n. 170/1984 relativa al caso c.d. «Granital»), per cui tutte le norme europee dotate di «effetto diretto» (non solo quelle contenute nei regolamenti, ma anche nelle direttive, nelle decisioni e nello stesso Trattato di Lisbona del 2007) hanno la prevalenza sulle norme interne contrastanti con la conseguenza che quest’ultime vengono non applicate sia da parte dei giudici, sia da parte di tutte le strutture della Pubblica amministrazione.

Addirittura, le norme europee possono comportare deroghe alla stessa Costituzione repubblicana vigente con l’unico limite, ha precisato il giudice delle leggi, dei «principi supremi» dell’ordinamento costituzionale (c.d. teoria dei controlimiti. La minaccia dei «controlimiti» è stata prospettata dal giudice costituzionale italiano, in tempi recenti, in merito al caso Taricco).

Come si può constatare dalle riflessioni condotte, il principio del primato si è affermato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ed è stato recepito dagli Stati membri a seguito di un «dialogo» tra Corti, ma il tutto al di fuori del circuito politico-democratico ed indipendentemente da uno specifico riferimento all’interno dei Trattati istitutivi.

Il richiamo alle «limitazioni di sovranità» di cui all’art. 11 del Testo fondamentale del 1948 che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (fin dalla sentenza n. 14/1964), ha consentito e consente l’ampliamento delle competenze a favore prima delle Comunità europee ed oggi dell’Unione Europea, ha in realtà introdotto surrettiziamente, come ha ben evidenziato il Guastini, una vera e propria procedura di revisione costituzionale alternativa all’unica consentita dall’art. 138 Cost. a vantaggio di un ordinamento, quello europeo molto poco rappresentativo, dal momento che il Parlamento, unico organo eletto a suffragio universale e diretto dal 1979, non è l’unico titolare della funzione legislativa in ragione del ruolo di codecisione assunto dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, composto da rappresentanti dei Governi degli Stati membri e non da componenti eletti dal corpo elettorale.

     In questo contesto, un momento di rottura (di involuzione direbbero i benpensanti europei) è rappresentato dalla sentenza del Tribunale costituzionale polacco del 07 ottobre 2021 (K3/21) che afferma (con il dissenso di due giudici su dodici) il primato del diritto nazionale su quello «comunitario». La vicenda era collegata al sistema disciplinare dei magistrati nell’ordinamento della Polonia che, secondo la Corte di Giustizia UE, era incompatibile con la «legge europea».

Lussemburgo ordinava di sospendere provvisoriamente le competenze della sezione disciplinare della Corte suprema polacca, prevedendo il pagamento di un milione di euro al giorno per ogni giornata di mancato adeguamento alla decisione. In realtà, di fronte ad un’invadenza sempre più «manipolatrice e creatrice» da parte di alcuni giudici, la Polonia ribadiva, con la sua normativa, la netta separazione tra potere legislativo e funzione giurisdizionale.

Ora, al di là delle risoluzioni del Parlamento europeo che parlano con una retorica oramai stantia, nei confronti dei Paesi non allineati, di «smantellamento della democrazia e dello Stato di diritto» (perché non lo è imporre, in nome del «dialogo tra Corti», diritti sempre nuovi in spregio agli organi rappresentativi interni di uno Stato?) e dell’avvio della procedura di infrazione davanti alla Corte di Lussemburgo promossa dalla Commissione europea contro la Polonia, proprio il potenziale corto circuito tra Corti costituzionali e Corte di Giustizia UE potrebbe essere la strada e lo strumento giuridico per togliere il «velo di Maya» a quella «finzione», per utilizzare le parole dell’antropologa Ida Magli (1925-2016), che va sotto il nome di Unione Europea.

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(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.

Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.

Sito web personale

www.danieletrabucco.it

 

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