È autore del saggio “L’onda anomala. Cronaca filosofica della pandemia” (Medusa edizioni, 2021). Un profilo culturale immenso, una profondità di analisi -politica, filosofica, antropologica- come davvero poche ce ne sono ormai in Italia, una voce poetica e suggestiva; con il professor Cuniberto abbiamo parlato di Terza guerra mondiale, mediazioni impossibili, cristianità al tramonto. A partire, e per finire -in un eterno ritorno apocalittico- a quelle due torri in caduta che hanno segnato la storia contemporanea mondiale.
Professore, parliamo subito di guerra. Lei ha scritto su facebook in proposito del conflitto in Ucraina:
«Il racconto ufficiale, diffuso da quasi tutti i media nazionali (notoriamente nelle mani di pochi gruppi oligarchici in stretto rapporto col grande Capitale euro-atlantico), si è imposto alla parte maggioritaria della popolazione. E’ la versione aggiornata, pseudo-democratica, pseudo-umanitaria, del vecchio «spezzeremo le reni alla Grecia», seguito da ovazione del pubblico: sostenere a tutti i costi una Ucraina brutalmente aggredita e invasa dalle truppe del Cremlino, la cui avanzata sarebbe «minacciosa per tutti noi» (secondo le parole di Mario Draghi in TV, a completare la non meno celebre patacca del «non ti vaccini, ti ammali, muori»)».
Gran parte della popolazione italiana crede di difendere gli interessi del popolo ucraino martoriato, invece sta sostenendo interessi USA, mandando al macello anche i propri interessi, oltre ai soldati di Kiev? Il sistema di potere ha congegnato un meccanismo di potere perfetto, parlando di una guerra umanitaria? E’ in atto un’ipnosi emotiva come quella che faceva leva sulla paura della morte e sul senso di colpa dell’untore durante la pandemia?
Le sue osservazioni sono corrette. Non c’è dubbio, parlerei proprio di ipnosi collettiva, il cui veicolo fondamentale rimane l’informazione «nazionale»: la TV e i giornali, praticamente tutti, con isolate eccezioni. Bisogna ammettere che l’intelligence americana, o meglio il deep state, ben sapendo di trovarsi a un punto di svolta, ha lavorato con estrema abilità: sottoponendo la Russia a uno stillicidio di provocazioni il cui esito non poteva essere che un’azione di forza. Ed è esattamente lo scopo a cui l’establishment americano mirava: poter dipingere lo Zar come un despota hitleriano, come l’Infame Aggressore da sbattere su tutti i media occidentali. L’operazione falsificante ha funzionato benissimo, grazie a una lunga e meticolosa preparazione.
Secondo lei la Cina o il Vaticano possono essere mediatori opportuni e affidabili per una risoluzione diplomatica del conflitto?
Per quanto riguarda la Cina, mi attengo alla massima prudenza. È una potenza enigmatica, la cui leadership è attraversata da correnti conflittuali, più o meno favorevoli ai compromessi con i potentati occidentali (intesi anche come potentati economici). La linea attuale, quella di XI Jin Ping, batte la strada di un mondo multipolare, dove l’America perderebbe il ruolo di Egemone globale. In questo senso la Cina è la grande antagonista dell’Impero americano. In omaggio però a una saggezza millenaria, la Cina cercherà di evitare finché possibile uno scontro diretto. E questo significa che anche nella crisi ucraina cercherà di mantenere un profilo abbastanza basso. Non neutrale, ovviamente, perché il rapporto tra Mosca e Pechino è molto più stretto di prima, ma rinunciando a immischiarsi direttamente nella crisi militare, almeno allo stato attuale delle cose.
Però di mezzo c’è una questione grande quanto un’isola, diciamo grande quanto Taiwan...
Sì, il principale motivo di attrito fra Pechino e Washington è la questione di Taiwan, che è un po’ l’Ucraina cinese (con tutte le differenze del caso). Se la crisi ucraina dovesse risolversi domani, grazie a una efficace mediazione diplomatica, il teatro dello scontro si sposterebbe drammaticamente su Taiwan. E la Cina non ha interesse ad affrettare uno scontro diretto. Per questo credo che non intraprenderà azioni diplomatiche sostanziali sul fronte ucraino.
Il caso vaticano è diverso. Ma non poi troppo diverso, perché il «pensiero dominante» della Compagnia di Gesù, che regge il timone della Chiesa cattolica, è proprio la Cina. La Compagnia, e quindi il Vaticano, mira alla Cina come a una terra (non si sa bene come) di «conquista», e dunque a mantenere buoni rapporti con Pechino. Di qui l’equilibrismo che contraddistingue oggi la politica estera vaticana: legata per un verso all’America, che ha voluto Bergoglio sul soglio di Pietro, ma attratta dalla Cina. Anche il Vaticano non mi sembra perciò in grado di intraprendere un’azione diplomatica efficace. Preferisce mantenersi equidistante fra i due contendenti maggiori. Della Russia, al Vaticano, importa ben poco. E questo giudizio potrà sorprendere, considerando che la Russia è cristiana e la Cina no. Ma può sorprendere solo gli ingenui: la politica estera vaticana è dettata da una Ragion di Stato che non ha nulla a che fare con la dimensione religiosa e con i «valori cristiani». Basta vedere il cinismo con cui il Vaticano ha assistito ai massacri medio-orientali, che hanno colpito gravemente, e rischiato di cancellare, alcune tra le comunità cristiane più antiche e venerabili: quelle di lingua siriaca.
Parliamo ancora di Santa Sede e tradizione cattolica. Lei ha scritto:
«La Corale Pontificia "Fratelli tutti", guidata dall'ex-arcivescovo di Buenos Ajres, intona un inno devoto alla Dea amazzonica della Fertilità, sotto le sfarzose volte della Basilica di San Pietro.
Circa l'autenticità e la validità della legge mosaica, primo comandamento compreso ("Non avrai altro dio fuori di me"), l'autorevole Compagnia di Gesù solleva forti riserve di natura filologica. Prima fra tutte: l'assenza di registratori al tempo di Mosè.
Malgrado le fievoli obiezioni dell'apposito dicastero - la Congregazione per la dottrina della fede, ex-Sant'Uffizio -, la legittimità della dottrina cattolica è dunque da ritenersi superata a favore di una più moderna e inclusiva accettazione dei riti e dei culti non cristiani.
È in preparazione un'enciclica sul tema ispirata al modello gastronomico della macedonia di frutta, o del cono-gelato "tutti frutti", di universale gradimento».
Secondo lei questa chiave sincretica è un arricchimento culturale e spirituale o rischia di “annacquare” le diverse fedi in un miscuglio in cui ciascuna risulta in realtà svilito?
La questione del sincretismo è fondamentale, ma bisogna intendersi. I sincretismi sono in generale rischiosi perché appunto, «mescolando» elementi delle varie tradizioni abbandonano il rigore che contraddistingue ogni «via». Le tradizioni spirituali sono «vie», che hanno una propria logica coerente, come altrettante lingue. Vanno seguite fino in fondo e senza sbandamenti. In caso contrario è come se invece di parlare di una lingua credessi di arricchire il mio linguaggio mescolando pezzi di lingue diverse (che poi fu l’utopia dell’esperanto). E’ un modo di procedere che non porta da nessuna parte. Come non è possibile parlare più lingue contemporaneamente, non è possibile percorrere contemporeamente tradizioni spirituali diverse. L’arricchimento di cui parli è prezioso in quanto consocenza delle altre tradizioni: ma conoscere e rispettare o anche amare tradizioni diverse della propria – dal cristianesimo nel nostro caso – non è sincretismo. Il sincretismo si riferisce alla pratica, alla dimensione rituale, non alla conoscenza teorica, che è storia delle religioni.
Lei ha una sua «via»?
Per quel che mi riguarda, credo di essere profondamente legato a tutte e tre le tradizioni abramiche: ebraismo, cristianesimo, islam. Cerco di studiarle e di apporofondire quegli elementi che potebbero rivitalizzare, dall’esterno, la spiritualità cristiana in stato di agonia. Detto questo, la mia «via» è e resta il cristianesimo: l’approfondimento di cui parlo non ha a che fare col sincretismo. Mi piace l’immagine delle vie come raggi di un cerchio che convergono al centro; ma per arrivare al centro, cioè alla meta, bisogna percorrerli senza sbandamenti. Se incomincio a saltare da un raggio all’altro non arrivo da nessuna parte.
In quali sorti versa il cristianesimo oggi?
Il problema veramente drammatico riguarda lo stato attuale del cristianesimo, e in particolare della Chiesa cattolica, avviata, io credo, verso la propria autodistruzione. Faccio notare che questo giudizio estremamente negativo e allarmato non è condiviso solo da frange conservatrici estreme, ma anche da intellettuali molto lucidi come ad esempio il filosofo austriaco Joseph Seifert, che vede il rischio di una «sparizione» del cristianesimo da intere regioni della terra (cominciando dai paesi nordici, dove ormai è un fenomeno residuale).
Cosa contraddistingue la teologia cattolica, o ciò che resta di essa, in quelli che ha -poco sopra- ipotizzato essere questi gli ultimi tempi del cattolicesimo?
Senza affrontare un lungo discorso sull’era-Bergoglio e i suoi rapporti col pontificato precedente, direi in sintesi che la sua linea guida – dettata dalla Compagnia di Gesù – è una teologia «kenotica», orientata allo «svuotamento»: lo svuotamento della tradizione cattolica del suo patrimonio di riti, di pratiche spirituali e contemplative (o meditative). Uno svuotamento che mantiene sullo sfondo un vaghissimo deismo (di stampo illuministico-massonico), ma alla fine rinuncia anche a questo, cioè alla dimensione spirituale o metafisica dell’esistenza, riducendo la funzione della Chiesa a quella puramente orizzontale di un’agenzia paramassonica dalle finalità filantropiche. La Chiesa cattolica sta tagliando le proprie radici spirituali per ridursi a una associazione filantropica. Come dimostra l’enciclica «Fratelli tutti», dove già il titolo non ha niente di cristiano perché strizza l’occhio agli ideali umanitari della Rivoluzione Francese: ideali, fraternità compresa, che prevedono la liquidazione della sfera religiosa (e delle sue istituzioni).
Vorrei aggiungere che strizzando l’occhio all’umanitarismo illuministico, la Chiesa cattolica ammicca a un certa massoneria, quella di profilo più basso, oggi dominante, favorevole al cosiddetto «reset» delle società occidentali, in cui il patrimonio simbolico-metafisico è pura zavorra. E ci tengo a fare questa precisazione perché non condivido le condanne sommarie della massoneria. Il paradosso è quello di una Chiesa sempre più «massonica», ma intendendo la massoneria nella sua accezione più profana e orizzontale, ed escludendo a priori quella dimensione metafisico-simbolica che appartiene pur sempre al patrimonio della massoneria migliore (anch’essa ridotta ormai a poca cosa, o peggio ancora «deviata»).
La ragione di questo «svuotamento» del cattolicesimo è di natura spirituale o politica?
La ragione profonda di questa diciamo «decadenza» rapida o di questo «svuotamento» del cattolicesimo è di natura, io credo, politica. Nel senso che più abbassa il suo profilo identitario, più la Chiesa cattolica crede di potere estendere la propria influenza: pensando in particolare all’Estremo Oriente, alla Cina in particolare, come si diceva. Perché come istituzione globale, e anzi come matrice del globalismo, la Chiesa cattolica è ancora molto forte: in Africa, in Asia, ha diramazioni importanti, che intende rafforzare a costo appunto di svuotarsi della propria spiritualità (è una direzione opposta a quella suggerita da Joseph Ratzinger; ed è il motivo per cui Ratzinger è stato, ne sono convinto, costretto o indotto a dimettersi).
Lei è un docente di estetica. Qual è secondo lei oggi un’immagine, un simbolo o un’allegoria archetipica adatta a descrivere il nostro sciagurato tempo?
Bella domanda, che mi mette in difficoltà. Alla fine, dopo lunga riflessione, credo che nessuna immagina condensi l’elemento tragico, quello «epocale» e quello per così dire diabolico della nostra epoca (il diabolus è il Mentitore) meglio della foto storica delle Torri Gemelle sul punto di crollare l’11 settembre 2001. Tutta la storia recente parte da lì, non c’è niente di più emblematico: all’apertura del nuovo secolo, le Torri Gemelle «tengono a battesimo» l’epoca del Tramonto dell’Impero americano e della sua micidiale strategia per rallentarlo o esorcizzarlo. A una condizione, ovviamente: di vedere in quell’immagine la fotografia di un incredibile auto-attentato, un caso mostruoso di «false flag», architettato dall’élite neocon come «nuova Pearl Harbour», come pretesto per avviare la ventennale «guerra al terrorismo». E’ una tesi non ammessa dal mainstream? Appunto, è un motivo in più per considerarla emblematica: dall’11 settembre l’umanità (almeno occidentale) si divide in due fazioni contrapposte: i fautori obbedienti delle versioni ufficiali e gli spiriti indipendenti. Gli anni del Covid e la guerra ucraina confermano drammaticamente questa spaccatura.
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