Di Guendalina Middei Cagliari, 6 agosto 2022 (Quotidianoweb.it) - Era stato accusato di empietà e corruzione dei giovani. Il tribunale popolare, l’eliea, lo condannò a morte: e Socrate, una delle menti più brillanti della storia, morì sorbendo una tazza di cicuta.
Ma perché tanta ostilità e tanto accanimento?
Apparentemente Socrate non faceva nulla di empio o di pericoloso: dialogava con gli uomini, poneva domande, parlava con chiunque, con i nobili, con i comuni cittadini, con i giovani.
Ma proprio le sue domande, nella loro schiettezza, nella loro semplicità demolivano le certezze dei suoi interlocutori, li costringevano a confortarsi con la vacuità delle proprie certezze, con l’egoismo delle proprie aspirazioni, con l’incoerenza dei propri ragionamenti. Insegnavano a dubitare.
La filosofia dopotutto nasce dalla “problematizzazione” dell’ovvio.
Socrate era un personaggio fin troppo scomodo con le domande e i dubbi che instillava.
Aveva avuto l’ardire di smascherare i politici corrotti e i falsi maestri che, credendo di sapere, dispensano false verità e falsa conoscenza. Ecco perché venne messo a morte. Era una minaccia allo status quo, un pericolo da eliminare.
Del resto, Socrate rifiutò di abiurare le sue idee, non volle pentirsi o implorare clemenza, svilendo le proprie convinzioni.
Rifiutò persino di ricorrere all’aiuto di un oratore (antesignani dei nostri avvocati) che si era proposto di difenderlo. Perché? Perché secondo Socrate: «Non puoi usare la tua arte retorica giocando con le parole, incantando la folla, magari mentendo, neppure se è in gioco la mia vita”.
Con coerenza e coraggio Socrate si difese davanti ai suoi accusatori, ribadendo l’importanza del suo operato, necessario perché spingeva, costringeva gli uomini a pensare.
L’intelligenza è scomoda, questo ci insegna il processo contro Socrate. La massa vuole illusioni e non verità, desidera in poche parole essere adulata. Gli uomini intelligenti vengono messi alla gogna.
Sono banditi, ostracizzati, disprezzati, poiché turbano il sonno delle masse, mettono in dubbio l’autorità, svelano gli inganni delle istituzioni. Gramsci per le sue idee venne imprigionato.
In Russia sotto la dittatura di Stalin gli intellettuali che si opponevano al regime venivano fucilati o deportati nei campi di lavoro della Siberia.
Giordano Bruno venne arso vivo sul rogo per aver osato divulgare idee dissidenti ai dogmi della chiesa. Lo stesso accadde al filosofo Vanini, ma prima gli venne tagliata la lingua come punizione per le sue eresie.
E ancora oggi, in molte zone del globo, intellettuali e liberi pensatori vengono incarcerati.
Lo scrittore turco Ahmet Altan per aver contestato il genocidio degli armeni è stato condannato all’ergastolo.
Eppure, i progressi fatti dall’umanità furono possibili grazie all’operato di chi riuscì a canalizzare la rabbia contro le ingiustizie e i fanatismi, promuovendo il libero pensiero.
La "resistenza” è una delle più belle parole della lingua italiana, poiché implica la volontà di non rassegnarsi, l’eroismo, grande o piccolo, di chi non si adatta al sistema.
Per l’antropologa Margaret Mead Eva fu la vera progenitrice dell’umanità. Eva con la sua curiosità, con il suo atto di disobbedienza, simboleggia la ribellione di una mente che non si limita ad acconsentire passivamente a ciò che le viene ordinato, come invece fa Adamo.
La curiosità di Eva e lo spirito inquieto di Socrate sono la conditio sine qua non della libertà e dell’autonomia intellettuale.
Oggi la nostra civiltà deve tutto a Socrate, ai tanti Socrate che hanno solcate le varie epoche.
Eppure, se riconosciamo la virtù e il valore dei grandi pensatori del passato, siamo diffidenti nei confronti dei Socrate odierni, per lo stesso motivo per cui lo erano gli ateniesi: pensare è faticoso e non sempre consola.
Chi si pone determinate domande, deve avere il coraggio di porsele.