Inizia in questo modo il capitolo V della "Lettera agli Ebrei". Papa Paolo VI, pontefice della Chiesa universale dal 1963 al 1978 e canonizzato da Papa Francesco il 14 ottobre 2018, ha colto molto bene il senso profondo di questa affermazione già a partire dalla prima Lettera Enciclica "Ecclesiam suam" del 1964 nella quale delinea il programma del suo pontificato.
Anche se il desiderio di avvicinare gli ambienti profani o di farsi accogliere dagli animi moderni costituisce un aspetto fondamentale del ministero sacerdotale, questo non può spingersi, precisa Papa Montini, fino al punto di relativizzare la disciplina e l'ascesi cristiana.
Una prassi pastorale tesa ad avvicinare i "lontani", ma distaccata dalla dottrina, corre il rischio di cadere in quel relativismo "che attenta al carattere assoluto dei principi cristiani" (cfr. paragrafo 51 della "Ecclesiam suam"). Penetrare nelle masse popolari, da parte del sacerdote, non implica nè omologazione, né conformazione ad esse (diverrebbe difficile distinguere il pastore dalle pecore affidate alla sua cura e premura), bensì distinzione, evitando quell' "inutile mimetismo" che conduce a perdere l'efficacia genuina della vocazione presbiterale.
Paolo VI invita ad essere "nel mondo, ma non del mondo" nella consapevolezza che questo non porta al riparo "dalla crisi di trasformazione che scuote oggi il mondo", come ebbe a dichiarare in occasione del messaggio a tutti i sacerdoti il 30 giugno 1968 a conclusione dell'Anno della Fede, ma semmai ad approfondire la propria missione nella quale scoprire una relazione biunivoca viva e feconda tra dimensione sacra e dimensione apostolica. La Chiesa celebra la memoria facoltativa (bianco) di san Paolo VI il 29 maggio di ogni anno, giorno che ricorda la sua ordinazione sacerdotale: sia un'occasione per riscoprire il sacerdozio quale atto d'amore di Dio per l'intera umanità.
_________________________________________________________